Le soluzioni degli altri
Venezia è unica. Ma non è l’unica. E non è sola.
A Pisa, le persone senza dimora vengono aiutate a lasciare la strada grazie all’approccio housing first. Un cambio di paradigma, sostenuto anche dalla politica di coesione Ue.
Le immagini che accompagnano questo pezzo sono state realizzate durante un workshop fotografico promosso da fio.PSD nell’ambito dei Workshop dei fotografi Sandro Ariu e Federica De Angeli con l’obiettivo di diffondere conoscenza dell’Homelessness con immagini nuove e rispettose del tema nel suo complesso.
Una sera, l’ennesima in cui il padre operaio era tornato a casa ubriaco pronto a picchiare la madre casalinga, Sergio decise di reagire. Aveva solo 14 anni, ma lanciò una caffettiera contro l’uomo, lasciandolo a terra quasi svenuto, col naso rotto.
Arrabbiato, diede a sua mamma gli ultimi soldi che gli erano rimasti da qualche lavoretto illegale fatto in giro per gli ippodromi di Roma e se ne andò. Partì alla volta di Milano dove, per sopravvivere, riprese a fare l’unico mestiere che aveva imparato: truccare le corse dei cavalli, questa volta all’ippodromo di San Siro.
Tra una rissa e l’altra, Sergio si arricchì grazie a un lavoro da dipendente in una scuderia e, soprattutto, al malaffare. Aveva case, auto, beni di lusso e, a un certo punto, anche una moglie e un figlio. Poi, a fine anni Novanta, i suoi affari illegali furono scoperti, lui si diede alla latitanza, ma venne arrestato prima che potesse fuggire in Svizzera.
Uscì dal carcere una decina di anni dopo e, interrotti i rapporti con la famiglia, si ritrovò a vivere per strada. A Pisa. Solo. Per circa un decennio, passato tra dormitori e marciapiedi e segnato da violenza, alcool e sostanze stupefacenti.
«Per strada – riflette oggi Sergio – finisci per essere semplicemente demotivato: ti abbandoni al tuo destino e non hai la forza di rialzarti da solo». Almeno fino a che qualcuno non ti aiuta. E, nel suo caso, ti offre una casa.
Nel 2019, Sergio è stato inserito dalla cooperativa Il Simbolo di Pisa in uno progetto di housing first e ha ottenuto una casa tutta sua.
L’housing first è un approccio, quasi una filosofia, che si basa su un principio fondamentale: la casa è un diritto inalienabile dell’essere umano. Di ogni essere umano. «L’approccio dell’housing first individua l’accesso alla casa come punto di partenza del percorso di inclusione», spiega il laboratorio di ricerca Percorsi di secondo welfare in una sua pubblicazione.
Questo approccio, continua il documento, «è pensato per venire incontro ai bisogni delle persone in condizione di grave vulnerabilità e caratterizzate dalla presenza di un bisogno multidimensionale, quali coloro che presentano disagi psichici, problemi di dipendenza, significativi problemi di salute dovuti a malattie e disabilità o che, più semplicemente, si trovano in una condizione cronica di homelessness».
È proprio il caso di Sergio e della sua storia lunga e complessa, in cui si sono sommati e mischiati tanti tipi di problemi. Eppure, da quando è stato accolto in una delle abitazioni messe a disposizione da Il Simbolo, il suo stile di vita è cambiato. La sua casa è stata il punto di partenza per smettere – seppure con qualche difficoltà – di commettere illeciti, per ridurre drasticamente il suo consumo di alcol e droghe e per vivere una vita dignitosa. Quella che può sembrare una magia, è infatti una delle costanti dell’housing first.
Come racconta Gilda Camillucci, una delle operatrici sociali della cooperativa, nella stragrande maggioranza dei casi le persone senza dimora che si attaccano alla bottiglia lo fanno perché hanno bisogno di un supporto. Nella disperazione legata alla condizione di homeless, l’alcol diventa uno strumento per ignorare la realtà. Quando però a queste persone viene data una casa, prosegue Camillucci, «quella necessità inizia a venir meno e smettono quasi del tutto di bere». È capitato anche a Leonard.
Quando nel 1989 è caduto il comunismo in Romania, Leonard ha lasciato il paese con in testa, ricorda, «il sogno dell’Occidente». Ha vissuto irregolarmente in Germania, in Francia e nei Paesi Bassi, quindi, negli anni Novanta si è spostato in Italia, dove ha ottenuto i documenti grazie a una sanatoria.
Ha lavorato in Sicilia come bracciante agricolo e ha fatto l’operaio a Torino, dove viveva con la moglie. Poi nel 2010 ha divorziato e, nonostante avesse un impiego, si è ritrovato in povertà, a dormire prima in una fabbrica del capoluogo piemontese e poi in auto.
Si è spostato in Toscana, attratto dalla promessa di un lavoro rivelatasi poi falsa ed è così finito anche lui per strada. Solo, con problemi di dipendenza dall’alcool e con quelli causati da un ictus che l’ha colpito nel 2017.
Due anni dopo, anche per lui, è arrivata la proposta del Simbolo di entrare nel progetto di housing first: un tetto sulla testa che, dice oggi, gli ha fatto «ritrovare la dignità».
Leonard, spiegano gli operatori della cooperativa, ha ritrovato una sua dimensione nei libri e in alcuni piccoli lavoretti domestici e, anche passando per una serie di incontri organizzati dal Simbolo, ha smesso anche lui di bere.
Il rapporto delle persone inserite nelle case con la dipendenza da alcool o sostanze è una delle controversie principali, quando si parla di housing first. Ma per arrivare a capirla bisogna spiegare nel dettaglio l’approccio messo in pratica dal Simbolo e da molte altre realtà sociali in tutta Italia.
Le abitazioni che la cooperativa ha proposto a persone come Sergio e Leonard sono oggetto di un regolare contratto di affitto tra i proprietari e le persone che le abitano. Queste ultime pagano una quota dell’affitto, in base alle loro possibilità economiche, mentre il resto della cifra è sostenuta dall’associazione che le segue e, di fatto, garantisce ai proprietari della casa che ci sarà un accompagnamento sociale. Quello che aiuta a combattere le dipendenze.
«Dando una casa a queste persone il loro bisogno di birra, vino o superalcolici è drasticamente diminuito, quasi azzerato», ribadisce l’operatrice del Simbolo Camillucci. Ad argomentare con i numeri questa dinamica è la FioPSD, la Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora, che da anni ha investito sulla diffusione dell’housing first anche nel nostro paese.
Nelle sue Linee Guida all’Housing First, l’organizzazione scrive che «nel 2013 il progetto di ricerca dell’Housing First Europe indicava che il 70 per cento dei partecipanti di Amsterdam aveva ridotto l’uso di stupefacenti, con 89 per cento degli intervistati che segnalava di miglioramenti in termini di benessere ed il 70 per cento che riferiva di progressi di salute mentale. […] I progetti danesi di Housing First offrivano un quadro della situazione più eterogeneo, benché il 32 per cento dei partecipanti dimostravano miglioramenti in quanto a consumo di alcol, il 25 in termini di salute mentale e il 28 in termini di salute fisica».
Tutto questo è possibile, senza ricatti. Diversamente da altri approcci, infatti, l’housing first non prevede precondizioni per la casa. Per ottenerla e mantenerla non si deve smettere di bere, per esempio. Certo, gli operatori sociali che applicano questo modello supportano in tutto e per tutto le persone seguite per far sì che possano farlo ma, continua Camillucci, «è un loro risultato vero, non un ricatto al quale hanno dovuto cedere».
È un vero e proprio cambio di paradigma, per quanto riguarda i percorsi di inclusione delle persone senza dimora, come Sergio e Leonard. Ma anche, più in generale, per l’intero sistema di welfare italiano. Ed è stato reso possibile anche grazie ai fondi della politica di coesione Ue.
Il Simbolo è una cooperativa nata nel 1996, che oggi dà lavoro a circa 130 persone e si sostiene anche con fondi europei. I diversi progetti finanziati incidono solitamente per circa il 15 per cento del fatturato della cooperativa, che negli ultimi anni si è attestato intorno ai quattro milioni di euro.
I finanziamenti, che riguardano anche i progetti di housing first, arrivano dal Fondo Povertà e dal Piano operativo nazionale Inclusione. Quest’ultimo, in particolare, durante il periodo di programmazione 2014-2020, è stato molto importante per consentire lo sviluppo dell’housing first non solo a Pisa, ma in tutta Italia.
I progetti finanziati con circa 25 milioni di euro, si legge in una pubblicazione di Secondo welfare dedicata al tema, hanno consentito «il superamento dell’approccio emergenziale alla marginalità estrema in favore di interventi organici basati sulla presa in carico dei destinatari» e hanno sostenuto i principi dell’housing first.
«Ci piace pensare che le persone possano essere riconosciute in base ai diritti che hanno e poi, sulla base di questi, dovrebbero essere definiti gli interventi necessari per loro», ragiona il vicepresidente del Simbolo Alessandro Carta. Nel caso di Pisa, i finanziamenti europei sono serviti soprattutto a coprire i costi del personale (lavoro e formazione) e gli affitti delle case in cui risiedono gli utenti dell’housing first.
«Pensare che le persone possano abitare i loro desideri e non solo i loro bisogni – conclude Carta – è la cosa che in assoluto dà più soddisfazione».
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