Le soluzioni degli altri
Venezia è unica. Ma non è l’unica. E non è sola.
Grazie a un ingente quota di fondi Ue di coesione, il comune toscano ha avviato una serie importante di progetti di rigenerazione urbana
Chi scende alla stazione di Empoli e si incammina in direzione del centro storico si imbatte quasi sicuramente nell’ex ospedale San Giuseppe, un edificio di tre piani che occupa un intero isolato. L’immobile, costruito nel 1765, si è svuotato nel 2008 quando l’attività ospedaliera è stata trasferita in una nuova struttura, in una zona meno centrale della città. Negli anni, l’edificio ha ospitato diverse realtà, come il Centro per le attività musicali (Cam) e, in maniera più discontinua, corsi di laurea e laboratori, ma da allora i suoi volumi non sono più stati utilizzati a pieno.
Oggi l’ala ovest del complesso è un cantiere, avviato con l’obiettivo di recuperare tutti i suoi edifici e installare nuove funzioni pubbliche che andranno ad aggiungersi a quelle esistenti, come uffici istituzionali, un coworking e una sala conferenze. Presto anche l’ala est dovrebbe essere ristrutturata per ospitare, fra i diversi servizi, un’area museale e nuovi spazi per il Cam.
La ristrutturazione dell’ex ospedale San Giuseppe è l’intervento più visibile nel centro storico di Empoli, ma non è l’unico. Dal 2016 l’amministrazione comunale, accedendo a una serie di finanziamenti pubblici come i fondi di coesione europea e poi quelli del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), ha iniziato a pianificare il riutilizzo di una serie di immobili di proprietà pubblica rimasti senza funzione, con lo scopo di attribuirne loro di nuove: servizi sanitari, abitazioni per persone in disagio economico e sociale, spazi per il lavoro, luoghi per la cultura, uffici istituzionali. Insieme agli edifici, la progettazione ha coinvolto anche le strade e le piazze circostanti, con lo scopo di renderle accessibili a tutta la popolazione.
A Empoli sono molti i cantieri che sembrano destinati a trasformare il modo in cui gli abitanti vivranno alcuni pezzi della propria città. La maggior parte sono in corso d’opera, altri in fase di progettazione, mentre solo alcuni sono stati inaugurati di recente. Per valutare se davvero un processo di rigenerazione urbana ha raggiunto il suo scopo, però, bisogna attendere molti mesi dopo il taglio del nastro. Bisogna aspettare che i progetti entrino nella quotidianità delle persone.
Per Brenda Barnini, sindaca dal maggio 2014, oggi al suo secondo mandato, il percorso di Empoli «nasce dalla consapevolezza che questa città di circa 50mila abitanti vive di impresa e di industrie, non certo di rendita e turismo: per stare in equilibrio deve muoversi». «Quando mi sono insediata mi sono accorta che da tempo mancava una pianificazione dell’uso di una serie di immobili di proprietà pubblica. La strada della rigenerazione è stata una scelta naturale. Abbiamo ascoltato i bisogni della città, individuato i suoi punti di forza e di debolezza e compreso anche che il tessuto commerciale cittadino poteva trarre opportunità di rilancio grazie a nuove funzioni pubbliche», spiega Barnini.
Molti dei finanziamenti a sostegno di questa politica arrivano dai fondi di coesione europea, in particolare dal Programma operativo regionale del Fondo europeo per lo sviluppo regionale (Por-Fesr). La rigenerazione dell’ex ospedale San Giuseppe, per esempio, fa parte del progetto Hope, acronimo di Home of People and Equality, avviato nel 2016 nell’ambito dei Progetti di innovazione urbana (Più), il programma con cui la regione Toscana ha messo a disposizione di una serie di comuni 46 milioni di euro di fondi di coesione. Empoli ha avuto accesso a questi fondi perché rientra tra le quattordici Aree funzionali urbane, conosciute come Fua (Functional Urban Areas), che in base a una serie di parametri stabiliti dalla Commissione europea individuano i territori con indici di disagio socio-economico e di criticità ambientale superiori alla media regionale. Per i vari interventi di cui si compone Hope, il comune di Empoli ha ottenuto circa 5,3 milioni di euro dall’Europa su una spesa totale di circa 8 milioni.
Sempre nell’ambito di Hope è stato ristrutturato l’ex convitto degli infermieri, con l’annessa Torre dei Righi, l’ultimo bastione rimasto della seconda cinta muraria di Empoli, quella costruita nel trecento, all’interno del quale sono stati ricavati spazi pronti a ospitare una serie di servizi, tra i quali una sezione della biblioteca dedicata ai ragazzi. Di Hope fa parte anche la ristrutturazione dell’ex Sert, gestito dalla Asl Toscana, chiuso nel 2013. Affaccia su una piazza delimitata dalle mura storiche. Anche il suo nome, piazza XXIV luglio, è parte della storia della città. Per capirlo basta leggere la targa sul muro dell’ex Sert: il 24 luglio 1944 in quello spiazzo i nazifascisti uccisero 29 persone. L’immobile, ristrutturato e reso efficiente dal punto di vista energetico, da giugno 2023 ospita i 14 appartamenti del progetto Condominio solidale: uno di questi è stato trasformato dall’associazione Vorrei Prendere il Treno, impegnata in progetti di abbattimento delle barriere architettoniche, in una smart home che con un sistema di domotica avanzata garantisce autonomia a una ragazza con disabilità; altri tre a un’associazione che si occupa di fornire servizi socio-sanitari e altri dieci sono stati assegnati ad anziani soli e famiglie in disagio abitativo. Due categorie in aumento a Empoli.
Secondo dati Istat diffusi dal comune, l’incidenza degli anziani soli sul totale delle persone con più di 65 anni, circa un quarto dell’intera popolazione, è passata dal 15,3 al 21 per cento tra il 1991 e il 2011, mentre le famiglie in disagio abitativo, sempre nel 2011, erano il 4,1 per cento del totale rispetto a una media regionale del 3,7 per cento. Ai piani inferiori dell’ex Sert dovrebbe invece arrivare una Casa di comunità, una struttura di «medicina del territorio» che punta a offrire un «servizio di assistenza socio-sanitaria», si legge sul sito comunale. E, poi, ancora, di Hope fa parte anche la risistemazione delle strade e delle piazze circostanti, con l’obiettivo di renderle accessibili. «Il filo conduttore degli interventi sugli spazi esterni è la permeabilità. L’ex ospedale, per esempio, occupa un intero isolato. Stiamo lavorando per rendere il piano terra aperto e transitabile, collegando così due diversi assi urbani. Questa connessione è un grimaldello per mettere in moto nuove relazioni», continua la sindaca Barnini.
Tra gli interventi ancora da realizzare, sostenuti con la programmazione Pr Fesr 2021-2027, ancora in fase di coprogettazione con la regione Toscana, c’è il progetto Arno Vita Nova, la cui previsione di spesa ammonta a 9,8 milioni di euro, l’80 per cento dei quali sono fondi di coesione. Empoli è il comune più popoloso tra quelli coinvolti. Tra i progetti che interessano il suo territorio c’è il recupero degli ex macelli comunali, costruiti nella seconda metà dell’800 lungo la riva sinistra dell’Arno e oggi quasi del tutto abbandonati, che dovrebbero ospitare un mercato coperto, spazi per la formazione e abitazioni a canone calmierato in parte destinate a favorire l’autonomia di persone con disabilità. Invece in piazza Farinata degli Uberti, una delle più antiche della città, verrà ristrutturato il palazzo Ghibellino, di proprietà comunale, dove nel 1260 si tenne il famoso congresso Ghibellino durante il quale il nobile che dà il nome alla piazza, che Dante collocò nell’Inferno della Divina commedia per l’accusa di eresia che gli venne mossa, si oppose alla distruzione di Firenze. Oggi l’edificio è sottoutilizzato e bisognoso di interventi. A due minuti a piedi dal palazzo storico c’è Porta Pisana, l’unica conservata dell’ultima cinta muraria, quella quattrocentesca, che verrà restaurata.
Rigenerare spazi e immobili abbandonati o sottoutilizzati non è un’operazione semplice per un’amministrazione. Quasi sempre i finanziamenti pubblici coprono solo la componente materiale dei progetti, e cioè l’intervento edilizio. Per fare in modo che, dopo la chiusura dei cantieri, ex ospedali ed ex scuole non restino vuoti di nuovo, però, bisogna progettare anche come verranno gestiti e utilizzati, individuando i soggetti e selezionando funzioni e servizi in grado di rispondere a bisogni reali della popolazione o coinvolgendo abitanti, associazioni e realtà territoriali in progetti condivisi.
Per Marco Cardone, portavoce di Trasparenza per Empoli, un comitato cittadino nato per favorire la partecipazione «spesso si sente dire che mancano spazi per le associazioni, ma ristrutturare le mura non basta, così come non basta costruire spazi culturali o teatri: servono fondi anche per le attività da svolgere all’interno o per la programmazione culturale». «Inoltre – aggiunge -, anche quando i singoli progetti forniscono risposte interessanti per il futuro, bisogna vedere se ci sarà la forza di investire su vasta scala sui modelli che hanno funzionato di più».
Si tratta di una questione ricorrente in molte città italiane: la rigenerazione urbana, spesso presentata come una strada per trasformare le città senza consumare nuovo suolo, mette raramente del tutto in discussione le politiche urbanistiche locali, per lo meno non in maniera radicale. Come abbiamo già scritto nel corso di questo lavoro, in Italia non esiste una legge per fermare il consumo di suolo, che continua a essere impermeabilizzato a un ritmo elevato: 19 ettari al giorno nel 2022, secondo l’ultimo Rapporto Ispra. Empoli non fa eccezione e, seppur con un rallentamento tra 2015 e 2019, dal 2006 al 2021 ha consumato 23 ettari di nuovo suolo, sempre secondo Ispra.
Il tema preoccupa anche il comitato Trasparenza per Empoli. Al centro c’è la Variante urbanistica al Piano strutturale e al Regolamento urbanistico in merito al quale la giunta comunale ha deliberato l’avvio del procedimento di formazione nel maggio 2023 e che, mentre scriviamo, è stata sottoposta alla cittadinanza. Come ha scritto sul suo sito il comune nel maggio del 2023 la variante serve a «garantire la continuità del governo del territorio» e a dare «un’accelerazione, a quei contributi che si ritengono strategici e di interesse generale». La variante prevede da un lato interventi che riguardano attività produttive, commerciali e di servizio e dall’altro opere pubbliche o private di interesse pubblico.
Per Cardone «la variante raccoglie una serie di richieste puntuali – pur legittime – delle industrie del territorio che replicano i soliti modelli di ampliamento delle attività e di consumo di suolo». Per esempio, denuncia il portavoce del comitato, «uno dei progetti accolti nella variante comporta un notevole consumo di suolo agricolo che ridurrà la fascia di rispetto (oggi verde, ndr) tra l’abitato e la zona industriale gettando le premesse per ulteriori edificazioni». Secondo Cardone, quindi, l’amministrazione, da un lato, promuove «interventi di rigenerazione urbana con una finalità più alta» mentre, da un altro, replica «vecchie pratiche che generano un impatto immediato in termini di peggioramento della qualità della vita del territorio».
Per la sindaca Brenda Barnini «la variante urbanistica risponde a necessità del sistema produttivo del territorio». A suo parere, «la logica è quella di far rimanere Empoli una città industriale e manifatturiera perché, in assenza di quelle imprese, tutto l’equilibrio sociale ed economico della città scomparirebbe. Siamo stati la città del vetro verde, dove a metà del novecento erano insediate più di 60 vetrerie industriali nel centro della città. Gran parte di quei siti oggi ha trovato nuova vita, questa è la rigenerazione». Allo stesso tempo, continua la sindaca, «dobbiamo pianificare lo sviluppo impedendo la deindustrializzazione e indirizzando le nostre imprese verso sistemi di produzione e di costruzione sostenibili. Non c’è un solo metro quadro in più di quello necessario a raggiungere questo obiettivo. Nuove pianificazioni per gli insediamenti produttivi e rigenerazione del patrimonio edilizio esistente pubblico e privato per la residenza».
«Il futuro delle città – conclude – è questo». E passa anche per i fondi di coesione Ue, che finanziano un pezzo della rigenerazione del patrimonio edilizio esistente pubblico di Empoli.
Per molti enti territoriali l’accesso a questi fondi è un’operazione complessa. Spesso a pesare sono le scarse competenze di funzionari e dipendenti amministrativi, elemento che a volte porta al paradosso di penalizzare i territori con meno risorse, non solo economiche. Altre volte dipende dalla capacità di intercettare i bisogni del territorio e rispondere allo stesso tempo ai criteri fissati dai programmi, nazionali o regionali. Il rischio, come già raccontato, è che si realizzino progetti solo per non perdere i fondi senza che poi abbiano un impatto reale.
Interpellata in merito, la sindaca Barnini ricorda che l’amministrazione di Empoli ha «partecipato per la prima volta a un bando del Por Fesr della regione Toscana nel 2015», durante il suo primo mandato. «Non era mai accaduto che il nostro comune avesse l’opportunità di lavorare con fondi europei. All’inizio è stato faticosissimo perché la struttura comunale non era pronta e né dirigenti né dipendenti erano abituati a lavorare in un sistema con standard di valutazione così importanti. Abbiamo assunto persone nuove e organizzato corsi di project management per i dipendenti, altrimenti non ci saremmo mai riusciti», ricorda Barnini. «Accedere ai fondi di coesione tra il 2015 e il 2019 – aggiunge – è stata una palestra straordinaria: quando è arrivato il Pnrr, gli uffici erano già pronti. Solo dal Pnrr, considerando tutte le linee di finanziamento, Empoli ha intercettato quasi 30 milioni di euro».
Alcuni di questi sono stati investiti anche nella rigenerazione urbana. Oltre all’ultimo lotto dell’ex ospedale San Giuseppe, la cui ristrutturazione verrà finanziata con cinque milioni di euro del Pnrr, quello che più di altri è destinato a modificare la percezione e l’uso dello spazio cittadino è la demolizione di un ecomostro nella frazione di Ponte a Elsa: lo scheletro di un palazzo di quattro piani costruito vent’anni fa e mai terminato, prima per il sequestro del cantiere da parte del tribunale di Milano poi per la dichiarazione di fallimento della ditta costruttrice, nel mezzo di una zona residenziale.
Nel 2022 il comune ha acquisito all’asta la porzione rimasta privata e ad aprile 2023 l’ha demolito. Al suo posto punta a realizzare un altro immobile, che rispetterà lo stesso perimetro ma avrà solo un piano, destinato a ospitare spazi con funzioni sociali, culturali e sanitarie come una caffetteria, una sala lettura, una biblioteca e un centro per i prelievi. Il tutto circondato da un parco. Il progetto è stato chiamato Home e anche in questo caso porta con sé una serie di altri interventi disseminati nel quadrante: la riqualificazione di altre aree verdi, la realizzazione di un sistema ciclabile con punti di scambio attrezzati, il rifacimento della copertura del vicino palazzetto comunale utilizzato da associazioni e società sportive del territorio. Costo totale: 5,6 milioni di euro, due dei quali del Pnrr nell’ambito del Programma Innovativo Nazionale per la Qualità dell’Abitare (Pinqua).
Infine, c’è il progetto del Nuovo teatro civico Ferruccio, che per la sindaca è la «cartina tornasole» dell’interno piano di rigenerazione. «Un teatro pubblico a Empoli non c’è dal dopoguerra. È una sfida enorme», dice Barnini. Troverà spazio accanto all’attuale Palazzo delle esposizioni di piazza Guido Guerra, appena fuori dal centro storico, lungo le rive dell’Arno. È un edificio di un solo piano la cui architettura è scandita dal ripetersi delle forme geometriche della copertura, nascosto dietro agli alberi e agli arbusti del giardino che lo circonda. Oggi viene utilizzato da alcune associazioni e ospita eventi e iniziative. Il progetto del nuovo teatro è quello che più di tutti pone l’amministrazione di Empoli di fronte alla necessità di coinvolgere la popolazione e le diverse realtà attive sul territorio.
Anche se per capire davvero se l’attività del teatro risponderà alle attuali aspettative bisognerà aspettare la sua inaugurazione, secondo la sindaca, il percorso sta funzionando. «Abbiamo avviato un processo partecipativo con i cittadini, con una serie di incontri e con una campagna di raccolta fondi, il cui obiettivo non è solo quello di raccogliere finanziamenti ma anche di creare identità e appartenenza al progetto già in fase di pianificazione, non solo al momento del taglio del nastro. Abbiamo già raccolto cinquecento microdonazioni», racconta Barnini.
Il costo previsto è di dieci milioni di euro, di cui 7,5 per i lavori. Il finanziamento del Pnrr copre 9 milioni e con la campagna di raccolta fondi si punta a ottenere il milione rimanente. Anche in questo caso non verranno tralasciati gli spazi esterni. «Sono convinta che la rigenerazione fisica e quella sociale e culturale debbano sempre stare insieme», dice Barnini. «Non dico che riqualificare una piazza senza che dietro ci sia un progetto o un ingaggio della popolazione siano soldi buttati, ma di certo – conclude – nuovi arredi urbani non bastano a innescare le relazioni sociali e culturali di cui la città ha bisogno».
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