Ep. 3

Quali competenze per un’Italia digitale

La digitalizzazione avanza e le competenze digitali diventano sempre più cruciali per evitare che la tecnologia escluda. Spesso, proprio chi è già escluso

Foto di SIMON LEE via Unsplash

La povertà digitale. Quando nel 2022, alla Caritas di Bologna, si è trattato di capire quali fossero i nuovi bisogni delle persone in difficoltà seguite dall’organizzazione, non hanno avuto dubbi. «È emerso il problema della povertà digitale, cioè della mancanza di quelle competenze e di quegli strumenti ormai necessari, senza i quali le persone rimangono sempre più ai margini della società», spiega una nota dell’organizzazione.

 

Ai centri di ascolto cittadini, quegli spazi di primo aiuto che si trovano in molte delle parrocchie italiane, arrivavano «tante richieste ogni giorno», per avere un «aiuto all’uso dello SPID e del fascicolo sanitario elettronico, nel supporto alla compilazione di domande online come l’assegno unico e l’iscrizione ai centri estivi», prosegue la Caritas Diocesana di Bologna. E così, nell’estate del 2022, ha preso il via il progetto sperimentale dello Sportello per l’inclusione digitale, che ha sede presso la parrocchia di San Donnino, ai confini orientali del capoluogo.

 

L’Emilia-Romagna è una delle regioni con il miglior indice di digitalizzazione tra quelle italiane ed è sia una di quelle meglio posizionate in termini di competenze digitali sia una di quelle più attive in progetti per promuoverle.

 

Eppure, anche qui, una delle più grandi e storiche organizzazioni di contrasto alla povertà ha sentito l’esigenza di intervenire in questo ambito, sempre più cruciale per tutti i cittadini, non solo per quelli che si rivolgono alla Caritas.

Foto di Jorge Ramirez via Unsplash
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Per questo, lo Sportello per l’inclusione digitale di Bologna è un buon punto di partenza per capire come sta andando la corsa dell’Italia verso la digitalizzazione e il ruolo delle competenze in questo percorso. Perché, come scrive ancora Caritas Bologna, «non essere in grado di accedere ai servizi e alle prestazioni online genera esclusione sociale e nel lungo periodo la perdita di diritti fondamentali».

Come procede la trasformazione digitale in Italia?

«L’Italia sta guadagnando terreno e, se si considerano i progressi del suo punteggio Desi negli ultimi cinque anni, sta avanzando a ritmi molto sostenuti», ha scritto la Commissione Europea nel luglio del 2022.

 

Il Desi è l’Indice di digitalizzazione dell’economia e della società, una relazione annuale che registra i progressi compiuti dagli Stati membri dell’UE nel proprio sviluppo digitale. Questa relazione comprende profili nazionali, che aiutano gli Stati membri a individuare i settori di intervento prioritari, e capitoli tematici, che forniscono un’analisi a livello dell’UE nei quattro principali ambiti strategici: capitale umano, connettività, integrazione delle tecnologie digitali e servizi pubblici digitali.

 

Per quanto riguarda il nostro Paese, la Commissione rileva che «negli ultimi anni le questioni digitali hanno acquisito attenzione politica, in particolare grazie all’istituzione di un ministero per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale, all’adozione di varie strategie chiave e al varo di molte misure strategiche. Ciò premesso, la trasformazione digitale sconta ancora varie carenze cui è necessario porre rimedio».

 

Storicamente, infatti, l’Italia è uno dei paesi con i valori più bassi di tutto il DESI. Nel 2017, occupava la venticinquesima posizione (gli stati Ue allora erano 28) e, nonostante i miglioramenti, nell’ultima edizione (che ha dati relativi al 2021) si trovava al diciottesimo posto su 27.

 

Proprio per questo, il PNRR, il Piano nazionale di ripresa e resilienza sostenuto da fondi Ue, ha stanziato ingenti risorse in questo campo (ci torniamo) e si è posto cinque obiettivi da raggiungere entro il 2026:

  1. – Diffondere l’identità digitale, assicurando che venga utilizzata dal 70% della popolazione;
  2. – Colmare il gap di competenze digitali, con almeno il 70% della popolazione che sia digitalmente abile;
  3. – Portare circa il 75% delle PA italiane a utilizzare servizi in cloud;
  4. – Raggiungere almeno l’80% dei servizi pubblici essenziali erogati online;
  5. – Raggiungere, in collaborazione con il Mise, il 100% delle famiglie e delle imprese italiane con reti a banda ultra-larga.

A livello di competenze come siamo messi?

La mancanza di competenze digitali è uno dei motivi dello storico ritardo dell’Italia nella digitalizzazione e, al tempo stesso, anche una delle ragioni dei miglioramenti degli ultimi anni.

 

«Dagli indicatori di quest’anno – scrive ancora la Commissione nel profilo Desi del nostro Paese – emerge che l’Italia sta colmando il divario rispetto all’Unione Europea in fatto di competenze digitali di base; ancor oggi però oltre la metà dei cittadini italiani non dispone neppure di competenze digitali di base».

 

Molto è stato fatto, insomma, ma molto è ancora da fare e, infatti, l’analisi dell’Ue si conclude dicendo «è assolutamente necessario un deciso cambio di passo nella preparazione dell’Italia in materia di competenze digitali».

 

Le persone che chiedono aiuto alla Caritas di Bologna, quindi, da un lato, hanno visto avanzare veloce la digitalizzazione intorno a loro, a maggior ragione con la pandemia, e, dall’altro, non hanno avuto l’occasione per migliorare conoscenze e strumenti diventati ancora più importanti. E così si sono trovate a doversi districare in una giungla fatta di password, identità digitali, iscrizioni a servizi o richieste di sussidi che sono passate dalla fisicità di un ufficio alla freddezza di uno schermo. Un cambiamento che non tutti sono in grado di affrontare allo stesso modo, per questioni di istruzione, genere e geografia.

 

«L’80,3 per cento delle persone di 25-54 anni con un’istruzione terziaria possiede competenze digitali almeno di base, valore quasi in linea con quello medio EU27 (83 per cento), mentre tale quota cala al 25 per cento per quelli con titolo di studio primario, con una distanza di circa 8 punti percentuali rispetto al valore medio EU27», scrive l’Istat.

Foto di Jorge Ramirez via Unsplash
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Non solo. «Le competenze digitali almeno di base – prosegue l’istituto nazionale di statistica – sono caratterizzate da un forte divario di genere a favore degli uomini, che, nel nostro Paese è di 5,1 punti percentuali. Va però sottolineato che fino ai 44 anni tale distanza si annulla e in alcuni casi si inverte di segno».

 

Infine, come spesso accade, le differenze sono anche geografiche. «Nel nostro Paese è presente un forte gradiente tra Centro-Nord e Mezzogiorno», sottolinea l’Istat. Le regioni dove le competenze digitali almeno di base sono più diffuse sono il Lazio (52,9 per cento), seguito dal Friuli-Venezia Giulia (52,3 per cento) e dalla Provincia Autonoma di Trento (51,7 per cento). L’Emilia Romagna, con il 51,9 per cento, viene subito dopo mentre, dall’altra parte della graduatoria, Calabria, Sicilia e Campania si trovano tutte sotto il 35 per cento.

 

«Avere competenze digitali di base – ha spiegato al Corriere della sera Luca Gastaldi, direttore dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano – significa saper usare la posta elettronica, informarsi, gestire un conto corrente on line».

 

In Italia, secondo il Desi 2022, è in grado di farlo solo il 46 per cento della popolazione (contro una media Ue del 54 per cento). L’obiettivo indicato dal PNRR è far sì che, entro il 2026, questo dato arrivi al 70 per cento. «È una sfida improba, ma abbiamo un piano valido, investimenti adeguati e indicatori per valutarne l’andamento», ha aggiunto Gastaldi.

Quali azioni stiamo mettendo in pratica per colmare questo ritardo?

Il piano cui Gastaldi si riferisce è il Piano operativo della Strategia nazionale per le competenze digitali completa, adottato nel dicembre 2020 e aggiornato nell’ottobre 2022.

 

L’aggiornamento, spiega il Dipartimento per la trasformazione digitale, responsabile della Strategia, «risponde all’esigenza di indirizzare le nuove sfide sorte a fronte dell’emergenza pandemica e di recepire e valorizzare i cambiamenti determinati dall’evoluzione del contesto di policy”, tra cui il già citato Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

 

Tra gli obiettivi che la Strategia nazionale si pone vi sono anche «combattere il divario digitale di carattere culturale presente nella popolazione italiana, sostenendo la massima inclusione digitale» e «garantire a tutta la popolazione attiva le competenze digitali chiave per le nuove esigenze e modalità del lavoro». Per raggiungerli, gli assi su cui agire sono quattro: istruzione e formazione Superiore, forza lavoro attiva, competenze specialistiche ICT e cittadini.

Foto di Jorge Ramirez via Unsplash
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Quest’ultimo asse è quello più ampio e trasversale, quello che riguarda il maggior numero di persone, tra le quali anche quelle che, dalla scorsa estate, hanno iniziato ad usufruire dei servizi dello Sportello per l’inclusione digitale di Bologna.

 

L’istituzione che ne è responsabile è il Dipartimento della trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ma le 14 azioni previste entro il 2026 vedono il coinvolgimento anche del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, dei Dipartimenti per le Pari Opportunità e per le Politiche Giovanili, dell’Agenzia Nazionale Giovani, del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e, infine, di Regioni e Comuni.

 

Tra le iniziative previste ci sono una versione del Servizio civile nazionale dedicata al digitale, la costituzione di una rete di punti di facilitazione digitale, lo sviluppo di un ambiente di autovalutazione e apprendimento online, una settimana nazionale e un premio dedicato al tema delle competenze digitali e alcune campagne di comunicazione, tra cui una serie Rai «contro la disinformazione».

 

Per quanto riguarda il servizio civile, il PNRR prevede che, in tre anni, circa 9.700 volontari svolgano formazione ed esperienza sul campo in circa 900 progetti che dovrebbero raggiungere un milione di persone.

 

Per la facilitazione digitale, invece, 600 punti di facilitazione sono già attivi, ma, prosegue Italia Domani «la loro presenza sarà ulteriormente rafforzata attraverso attività di formazione dedicate e nuove attrezzature, con l’obiettivo generale di creare 2.400 nuovi punti di accesso in tutta Italia e di formare oltre 2.000.000 di cittadini a rischio di esclusione digitale. Su 3.000 centri, circa 1.200 saranno concentrati nel Mezzogiorno».

Foto di Jorge Ramirez via Unsplash
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Anche altri attori come istituzioni locali, privati ed enti del terzo settore promuovono iniziative per migliorare le competenze digitali della cittadinanza. In alcuni casi, come in quello della Caritas Bologna, lo fanno con risorse proprie, in altri possono anche accedere ai fondi europei, in particolare a quelli della politica di coesione (ci torniamo).

 

Mappare tutte queste azioni, però, è molto difficile, ma, sempre nell’ambito della Strategia nazionale, nel 2020 è stata lanciata l’iniziativa “Repubblica Digitale”, che ha spinto proprio questo tipo di realtà ad attivarsi per le competenze digitali.

 

Nel 2021, riporta la sezione del Desi relativa all’Italia, questi progetti «hanno raggiunto più di 2 milioni di studenti e 90 000 insegnanti, 240mila lavoratori e 1,6 milioni di altre persone». Resta però difficile valutare l’efficacia e l’impatto di questi interventi.

 

A fine di gennaio 2022, infine, il Governo ha annunciato l’istituzione di un “Fondo per la Repubblica Digitale”, che stanzia 350 milioni di euro per sostenere iniziative sulle competenze digitali e formare due milioni di cittadini nel periodo 2022-2026.

Con che fondi?

I fondi dedicati alla digitalizzazione sono molti in questo momento in Italia, provengono da fonti diverse e sono destinati a numerosi ambiti di intervento. Tra questi ambiti vi sono anche le competenze.

 

Il capitolo di spesa più ampio è quello relativo al PNRR, il Piano nazionale di ripresa e resilienza da 190 miliardi di euro circa finanziato in larga parte da sovvenzioni e prestiti dell’Unione Europea. Il 27 per cento del PNRR è dedicato alla transizione digitale, nella quale la fanno da padrone la digitalizzazione della pubblica amministrazione (6,74 miliardi di euro) e le reti ultraveloci (6,71 miliardi di euro).

 

Alle competenze digitali, sono assegnati invece 195 milioni di euro, per due delle misure citate nel Piano operativo della Strategia nazionale, di cui abbiamo scritto sopra.

Foto di Jorge Ramirez via Unsplash
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«L’obiettivo di questo investimento è ridurre la quota di popolazione attuale a rischio di esclusione digitale lanciando l’iniziativa “Servizio civico digitale”, una rete di giovani volontari di diversa provenienza in tutta Italia per fornire alle persone a rischio di esclusione digitale una formazione per lo sviluppo e il miglioramento delle competenze digitali e rafforzando la rete esistente di “Centri di facilitazione digitale”», si legge sul sito di Italia Domani, dedicato all’attuazione del PNRR.

 

Prima dell’avvento del Piano nazionale di ripresa e resilienza altri fondi europei hanno svolto un ruolo importante nella digitalizzazione dell’Italia, e continuano a svolgerlo anche oggi. Sono i fondi della politica di coesione Ue e i fondi nazionali ad essa connessi.

 

«Dal 2007 ad oggi il valore dei progetti monitorati e sostenuti dalle politiche di coesione in Reti e servizi digitali ha superato i 10 miliardi di euro di cui oltre 6 miliardi riguardano progetti finanziati nel periodo di programmazione 2014-2020», ha calcolato il sito OpenCoesione.

 

Anche in questo caso, la fetta più ampia dei finanziamenti è servita per realizzare infrastrutture. Cercando neldatabase di OpenCoesione, però, si scopre che su 69.347 progetti finanziati, 2.725 riguardano in modi diversi le competenze digitali.

Con quali risultati?

Molti degli indicatori usati per valutare come, nel suo complesso, sta procedendo la transizione digitale in Italia sono in crescita. Per capire quanto vengono usati i servizi digitali, per esempio, si possono prendere in considerazione le identità digitali.

 

«Con oltre 6 milioni di identità SPID attivate e più di 7 milioni di carte di identità elettronica rilasciate, continua ad aumentare il numero di cittadini che utilizzano l’identità digitale per accedere ai servizi online pubblici e privati», ha spiegato il Dipartimento per la transizione digitale in un comunicato relativo al 2022. Lo scorso anno, gli accessi tramite SPID sono stati oltre 1 miliardo, quasi raddoppiati rispetto ai 570 milioni del 2021.

 

Lo SPID, però, bisogna saperlo usare e, quindi, bisogna capire se questi ampi progressi riguardano anche le competenze.

Foto di Jorge Ramirez via Unsplash
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Nell’ottobre 2022, insieme al nuovo piano operativo, è stato pubblicato il Rapporto di monitoraggio di quanto fatto dalla Strategia nazionale per le competenze digitali dalla sua approvazione nel 2020. Su 35 indicatori analizzati, il documento ha rilevato che:

  • – 9 indicatori presentano un valore più alto rispetto all’annualità precedente e in linea o al di sopra del tasso di crescita necessari per raggiungere gli obiettivi del piano;
  • – 7 indicatori non presentano alcun miglioramento e talvolta mostrano un peggioramento rispetto alla rilevazione precedente;
  • – 18 indicatori presentano sì un miglioramento, ma non sufficiente per raggiungere gli obiettivi del piano.

 

Tra questi ultimi, vi sono otto dei nove indicatori che riguardano l’asse di azione quattro, quello che riguarda cittadini e cittadine e, in particolare, quelli con livelli di istruzione bassi, scarsi o nulli.

 

I miglioramenti, insomma, ci sono, ma non sono tanto veloci quanto il ritardo accumulato dal paese richiederebbe. Nel rapporto, infatti, si legge che la «situazione complessiva italiana appare compromessa da una diffusa carenza di consapevolezza digitale e da una consistente parte della popolazione che presenta fattori di svantaggio. In questo senso, il divario digitale, come sottolinea il rapporto BES 2021 “tende a sommarsi alle disuguaglianze socio culturali ed economiche e ad acutizzarle ulteriormente”».

 

Per questo, le conclusioni del documento chiedono di «sviluppare la progettazione di azioni volte al sostegno delle fasce della popolazione più deboli, con un focus sul tema del divario di reddito e delle pari opportunità che è necessario garantire alle fasce più vulnerabili della cittadinanza».

 

Proprio come hanno fatto alla Caritas Bologna.
Proprio come servirebbe fare su scala ben più ampia.

E le persone fragili?

Le categorie di persone che si trovano in difficoltà di fronte alla transizione digitale possono essere diverse e variegate. Il Fondo per la Repubblica Digitale, per il momento, si sta concentrando su alcune di esse.

 

Con i primi due bandi che ha lanciato dalla sua nascita, ha finanziato 23 progetti dedicati a Neet (giovani che non lavorano né studiano) e giovani donne mentre altri due bandi sono dedicati persone disoccupate o inattive e lavoratori con mansioni a forte rischio sostituibilità a causa dell’automazione e dell’innovazione tecnologica. In tutto, sono stati stanziati 40 milioni di euro.

 

Vi sono però fasce ancora più fragili, che rischiano di vedere la loro esclusione aumentare a causa della digitalizzazione.

 

In un documento del 2021 dedicato al Pnrr e alla transizione digitale la Caritas nazionale scriveva che «le persone fragili potrebbero restare fuori dal processo, anche in tempi rapidi. È fondamentale dare una direzione nazionale affinché le opportunità del digitale raggiungano tutti».

Foto di Jorge Ramirez via Unsplash
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Con quel «tutti» l’organizzazione si riferiva soprattutto alle persone escluse, fragili e in povertà, che in Italia sono spesso straniere. E che si ritrovano quindi ad affrontare grandi e specifiche difficoltà nell’accedere ai servizi digitali, in particolare modo quelli pubblici di welfare.

 

Il Centro Hermes per la Trasparenza e i Diritti umani digitali ha dedicato al tema un rapporto intitolato “Digitalizzazione escludente” e pubblicato nel gennaio 2023.

 

«I servizi online – si legge nel rapporto – sono integralmente accessibili solo in lingua italiana, e richiedono competenze digitali nonché un livello di alfabetizzazione elevato. Stando alla situazione attuale e vista la mancanza di previsioni differenti sul tema, il processo di digitalizzazione delle Pubbliche amministrazioni – ulteriormente favorito dai finanziamenti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) – non è uguale per tutti e a farne le spese saranno perlopiù le persone straniere, e vulnerabili».

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