Ep. 01

Prepararsi a lasciare andare

Il 25 ottobre 2019 Kim Robroeks ha bevuto un caffè con suo padre e sua madre. Poi, alle 16.42, suo padre Albert ha chiuso gli occhi per sempre.

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Quando morirò

In Italia il Parlamento non si è mai espresso sulla normativa riguardo l’eutanasia, nonostante sia stato chiamato più volte a farlo.

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Il 25 ottobre 2019 Kim Robroeks ha bevuto un caffè con suo padre e sua madre nel loro salotto a Elsloo, cittadina nel sud dei Paesi Bassi. Hanno chiacchierato di cose serie e di cose frivole, hanno ascoltato musica insieme. Sarebbe stato un pomeriggio come tanti se non che alle 16.42 suo padre Albert, 72 anni, ha salutato tutti e ha chiuso gli occhi per sempre.

«È stato bellissimo e terribile» racconta Kim, seduta su una poltrona proprio in quella stanza, proprio nell’anniversario dell’eutanasia di Albert. Guarda sorridendo sua madre, come in cerca di una conferma. Simili nei movimenti composti e nell’eleganza naturale nei toni, le due donne ricordano Albert come un bravo marito, un padre e un nonno dolce e affettuoso. E molto perfezionista. «Quando si metteva in testa qualcosa, non c’era modo di fermarlo» racconta Kim. Come quando a 20 anni aveva conquistato Marijke, all’epoca diciassettenne, sulla pista da ballo. O come quando, dopo un ictus che l’aveva colpito a 51 anni impedendogli di continuare a lavorare, aveva comprato un camper e aveva cominciato a viaggiare con lei in tutta Europa.

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Kim e Albert. Una foto insieme

Albert ha mostrato la stessa risolutezza quando gli hanno diagnosticato la SLA (sclerosi laterale amiotrofica), malattia neurodegenerativa che provoca la progressiva paralisi dei muscoli volontari, annunciandogli che gli sarebbe rimasto solo un anno di vita. L’eutanasia non era mai stata un tabù per Albert e Marijke; molti anni prima avevano concordato che se si fossero trovati nella situazione avrebbero voluto soffrire il meno possibile. Però, quando è arrivata la diagnosi di Albert, non è stato facile prendere la decisione.

La legge olandese

I Paesi Bassi sono stati il primo paese al mondo a legiferare sull’eutanasia nel 2001, seguiti in Europa dal Belgio (2002), dal Lussemburgo (2009), e recentemente dalla Spagna (2021). Il diritto non garantisce di per sé l’accesso all’eutanasia, ma la possibilità di farne richiesta al medico, che diventa perseguibile penalmente nel caso in cui l’atto non rispetti i requisiti previsti dalla legge.

Negli ultimi tempi Albert passava molto tempo a riorganizzare il garage, per fare ordine nei propri pensieri, per placare almeno temporaneamente la tempesta dentro di sé, come diceva alla moglie. Poi un giorno ha annunciato alla sua famiglia di essere pronto per dire addio. Da quel momento ha rivolto la sua attenzione alla pianificazione del funerale e della cremazione nei minimi dettagli. Ha lasciato lettere e messaggi vocali ai suoi figli e ai suoi nipotini.  «Ancora una volta voleva fare tutto a modo suo» ricordano moglie e figlia.

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Il tavolo del soggiorno di casa Robroeks.

Per accedere all’eutanasia o al suicidio assistito bisogna passare per un processo estremamente regolamentato: in primo luogo, la richiesta deve essere volontaria e ponderata, proveniente da parte di un paziente informato, in una situazione di sofferenza insopportabile e senza possibilità di miglioramento.

Il paziente deve quindi fare la richiesta personalmente, nel pieno delle proprie facoltà mentali. Operazione relativamente poco problematica per pazienti con patologie fisiche come cancro (71% dei 6.938 casi registrati nel 2020 secondo il report annuale), o disturbi del sistema nervoso quali Parkinson, sclerosi multipla e SLA, malattie cardiovascolari o polmonari (19% del totale). Più delicata è la situazione per pazienti affetti da demenza e patologie psichiatriche. Per questo un comitato apposito analizza ogni eutanasia singolarmente.

Anche se non strettamente necessario, i medici coinvolgono spesso anche i familiari del paziente, per assicurarsi che sia una scelta autonoma. Per Kim, uno dei momenti più duri di quelle lunghe tre settimane intercorse tra la decisione di Albert e la somministrazione fatale è stato proprio quello: confermare al dottore che sì, suo padre era veramente pronto a morire.

Successivamente, è richiesto che il medico consulti almeno un altro professionista, il quale deve incontrare personalmente il paziente e assicurarsi che la procedura sia conforme al protocollo. Infine, l’atto deve essere eseguito da un medico o dal paziente sotto strettissima supervisione del medico secondo una serie di norme codificate. Nel primo caso si parla di eutanasia, nel secondo invece di suicidio assistito.

Prepararsi a lasciare andare

Nelle ultime tre settimane Albert ha ricevuto in casa sua tutte le persone più importanti della sua vita, ergendosi faticosamente dalla poltrona per abbracciarle ad una ad una. «Eravamo noi a dover consolare loro» commenta Marijke con un sorriso di pacata tristezza. «È stato difficile, ma mi ha dato forza per prepararmi a quello che è venuto dopo».

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Kim, Marijke e Rob a casa di Marijke.

Nello stesso periodo, a qualche chilometro di distanza, anche Gerda, 74 anni e malata di cancro ai polmoni allo stadio terminale, si trovava nella stessa situazione. Suo figlio Rob Delbressine ci raggiunge nel pomeriggio a casa di Marijke per un tè. Ricorda le ultime due settimane come uno dei periodi più strani della sua vita: «Abbiamo parlato tantissimo, non credo che ci sia stato un pensiero che non ci siamo scambiati» racconta. «Mia madre amava la vita e ha lottato fino all’ultimo. Quando ha capito che non c’era più nulla da fare, ha preso una decisione coraggiosa. La ammiro per questo. Ha visto che stavamo soffrendo molto e ha voluto farlo anche per noi».

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Gerda, la madre di Rob.

Complice la barriera linguistica, Kim, Marijke e Rob usano termini semplici, in un inglese quasi scarno. Non sembrano esserci molte parole per descrivere le settimane di calore e malinconia del lutto anticipato in famiglia. C’è qualcosa di paradossale nel dire addio a una persona che è ancora fisicamente con noi, nel recitare al proprio padre il discorso per il suo funerale quando ce lo troviamo ancora di fronte in carne e ossa, come ha fatto Kim.

Una legge in evoluzione

«Penso che la legge olandese com’è adesso funzioni molto bene» commenta il dottor Eduard Verhagen specializzato in fine vita pediatrico e autore del Protocollo di Groningen, l’insieme di linee guida in base a cui è possibile interrompere la vita di un neonato in una situazione di malattia terminale e sofferenza intollerabile. Dal 2007, data di approvazione del protocollo, i casi in tutti i Paesi Bassi sono stati tre. Tale pratica, che all’estero e anche in Italia passa facilmente come “eutanasia neonatale”,  qui  viene definita “cessazione attiva della vita”. Non si usa la parola eutanasia perché non è frutto della richiesta meditata di un paziente consapevole, che per legge deve avere almeno dodici anni.

Per i bambini tra uno e dodici anni, non coperti dal protocollo di Groningen né dalla legge sull’eutanasia, c’è un vuoto legislativo: nell’ottobre 2020 il governo olandese ha annunciato che avrebbe formulato dei protocolli anche per questa fascia d’età.  «Nei bambini ci sono alcuni casi di sofferenza così palesi che, anche se il paziente non può comunicarlo, è un obbligo morale tentare di interrompere quella sofferenza» dice Verhagen, che si aspetta la nuova regolamentazione per l’inizio del 2022.

«La legge sull’eutanasia è solo l’inizio. Nei Paesi Bassi abbiamo creato un sistema per monitorare le pratiche di eutanasia e capire cosa sta cambiando. Le società si trasformano e le modalità del fine vita cambiano con loro, si tratta di un processo dinamico». Per esempio, negli ultimi anni Verhagen nota un incremento della sedazione palliativa, ovvero la somministrazione di medicinali per rendere incosciente il paziente nelle ultime fasi di vita, applicabile solo quando l’aspettativa di vita ammonta a massimo due settimane.

Inoltre, racconta Verhagen, i giovani medici sono sempre più riluttanti ad accompagnare i pazienti nell’eutanasia. Per l’operatore sanitario  si tratta di un compito con un pesante carico emotivo, ogni scelta deve essere motivata scrupolosamente, senza escludere la possibilità di dover andare a processo.  «Ma non c’è da preoccuparsi. Si troverà sempre qualcuno disposto a garantire l’eutanasia per i casi che rispettano i prerequisiti. Rimane un processo complesso, ed è giusto che sia così» conclude Verhagen.

Kim ci mostra l’urna dove sono conservate le ceneri di Albert. «Mio padre era il mio eroe prima dell’eutanasia e lo è anche adesso. È rimasto fedele a se stesso e si è preso cura di noi fino alla fine. Psicologicamente è stato massacrante, ma se tornassimo indietro, rifaremmo tutto allo stesso modo» racconta Kim.

Quest’anno ha trascorso il 25 ottobre insieme a sua madre, il suo amico Rob e a noi. Ci ha letto una poesia che ha scritto in ricordo di suo padre e quando il pendolo del soggiorno ha segnato le 16.42 abbiamo osservato alcuni secondi di silenzio insieme.  «Mi piace raccontare la sua storia.  In questo modo onoro il suo ricordo, e lo sento vicino» ci dice sulla strada per la stazione di Elsloo.

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