Il primo tema, apparentemente banale, riguarda quello che la Politica di coesione dovrebbe fare. Nel tempo gli obiettivi della Politica di coesione si sono evoluti e ampliati, anche come risultato di una serie di compromessi e della volontà di far coesistere, all’interno di questa politica, gli obiettivi di coesione e competitività.
A questo proposito diversi autori hanno suggerito che l’enfasi sulla competitività economica è arrivata a dominare quella sulla coesione sociale e territoriale, tanto che alcuni hanno parlato di “lisbonizzazione” della Politica di coesione per indicare il suo allineamento con gli obiettivi di competitività stabiliti nella strategia di Lisbona a scapito dell’attenzione sulle disparità regionali.
Oggi molti sono gli obiettivi che la Politica di coesione dovrebbe raggiungere: aiutare le regioni in ritardo a recuperare, aiutare le altre a mantenere la prosperità in un periodo di transizione, compensare le regioni strutturalmente svantaggiate, promuovere la solidarietà, soprattutto durante le crisi, e non solo. È evidente che perseguire molti (e non sempre coincidenti) obiettivi contemporaneamente rende difficile raggiungere progressi significativi nei singoli temi, portando così ad una generale percezione di inefficacia della politica.
Un rilancio della Politica di coesione passa, dunque, innanzitutto, dall’individuazione di priorità negli obiettivi. Questo significa utilizzarla prioritariamente per lo scopo per cui era stata originariamente ideata, vale a dire per ridurre le disparità tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e l’arretratezza di quelle meno favorite, ma anche per prevenire l’emergere di nuove disparità; cosa che oggi può avvenire a causa delle transizioni verdi e digitali (l’introduzione del Just Transition Fund è un esempio interessante di un approccio forward-looking).
Significa puntare alla mobilitazione del potenziale economico nei territori meno sviluppati e in quelli che, per diverse ragioni, sono o sono diventati vulnerabili (si pensi alle zone rurali e geograficamente periferiche dell’Europa o alle aree che stanno vivendo profonde transizioni industriali: le regioni nella “trappola dello sviluppo intermedio”), promuovendo la convergenza e diffondendo prosperità e opportunità in tutta l’UE.
Si tenga anche conto che, alla luce dei forti effetti di spillover generati da questa politica, la sua spesa genera effetti positivi non solo nelle regioni target, ma anche in quelle limitrofe e, soprattutto, in quelle dotate di più avanzate capacità produttive. Le ambizioni della Politica di coesione dovrebbero, in realtà, andare oltre la crescita economica: migliorare la qualità della vita e garantire a tutti i cittadini europei un più equo accesso, grazie a infrastrutture e servizi, alle opportunità di vita e di lavoro. Naturalmente, da sola non potrà mai bastare se l’obiettivo di una maggiore coesione territoriale e sociale non orienterà le più complessive scelte di politica fiscale e di organizzazione dei grandi servizi pubblici degli Stati Membri. L’Italia, purtroppo, offre un importante esempio di come molte politiche pubbliche nazionali, dalla sanità all’istruzione, abbiano ampliato le disparità territoriali e di come le regole con cui sono stati costruiti il decentramento amministrativo e il federalismo fiscale abbiano penalizzato i territori a minor gettito fiscale.
Per garantire il conseguimento di questi obiettivi è necessario adottare una prospettiva a lungo termine. Le recenti crisi, come la pandemia di COVID-19 e la crisi energetica seguita all’invasione russa dell’Ucraina, hanno spostato le priorità verso risposte a breve termine. Se è vero che la Politica di coesione ha dimostrato la sua adattabilità alle esigenze immediate, questa flessibilità ha, però, compromesso i suoi obiettivi a lungo termine.
Uno sviluppo regionale sostenibile può essere raggiunto solo attraverso investimenti a lungo termine, in particolare nella diversificazione delle economie regionali, nel rafforzare l’adattabilità al cambiamento ambientale, tecnologico e demografico e nel migliorare le competenze della forza lavoro. È fondamentale scongiurare il rischio che la Politica di coesione nel prossimo ciclo di programmazione diventi un meccanismo di risposta di emergenza per i periodi di crisi, tenendo conto della debolissima capacità fiscale comunitaria.