C’è del buono in Airbnb?
L’impatto del fenomeno Airbnb sulla vita delle comunità e sulle persone che lo sfruttano per sopravvivere
La situazione abitativa di Parigi è critica da sempre e Airbnb l’ha aggravata. Ecco come la città ha risposto
Un’indagine per raccontare gli effetti del fenomeno Airbnb sulle comunità, sulle città e su tutti noi.
La situazione abitativa di Parigi è critica da decenni. La capitale francese è celebre per la difficoltà di trovare casa. I prezzi al metro quadro stanno per superare in media i 10mila euro (9990 euro a luglio 2019). È una città grande come Milano, ma densa come Mumbai, e negli ultimi anni ha visto ai problemi a cui era abituata aggiungersi un nuovo concorrente, che inquieta sia gli albergatori professionali, sia le autorità. Gli arrondissement di Parigi sono diventati uno dei campi di battaglia più importanti della sfida tra Airbnb e comunità, un confronto che va a seconda dei casi dalla fredda collaborazione di facciata, al braccio di ferro, alla guerra sotterranea e a quella aperta.
La sera del 16 luglio 2014, intorno alle 8, durante l’edizione serale del telegiornale di France2, il giornalista Julian Bugier annuncia un reportage curato da Justine Weyl e Frédéric Faure, dedicato a un fenomeno che in quel momento è ancora ignoto alla gran parte dei francesi sintonizzati su France2. Nell’estate del 2014, nel mercato degli affitti turistici a breve termine c’è un nuovo competitor che spaventa sia il reparto alberghiero parigino, sia i vertici amministrativi della città.
Bugier definisce il fenomeno con queste parole: «Un servizio che permette al signor e alla signora Laqualunque di affittare casa propria per una notte o per delle settimane. […] Il gruppo è diventato un mastodonte che pesa miliardi di euro e che porta i professionisti del settore a parlare di “concorrenza sleale”». Sta parlando di un’azienda americana lanciata nel 2009 da tre californiani, Brian Chesky, Joe Gebbia e Nathan Blecharczyk, che probabilmente molti spettatori non hanno ancora mai sentito nominare. Una start-up che quando ha aperto il suo ufficio a Parigi, nel 2012, valeva poco più di 1 miliardo di dollari e stava per festeggiare il diecimilionesimo cliente, che in quel momento, nel 2014, di miliardi di dollari ne valeva 10 e che, nel giro di altri 5 anni, sarebbe diventata il primo operatore alberghiero di mezzo mondo. Sta parlando, ovviamente, di Airbnb.
È solo una coincidenza, ma resta curioso: quello stesso giorno, il 16 luglio del 2014, Airbnb annuncia una serie di passi avanti molto importanti nel suo cammino: il cambio del logo, il rinnovamento del sito, il lancio della nuova applicazione. Nel corso dei mesi successivi di quel fondamentale 2014, la società californiana non si limiterà a questo. Le mosse successive saranno l’aumento sostanziale della copertura assicurativa sia per gli ospiti che per gli host e la chiusura dei primi accordi con alcune metropoli per guadagnarsi il consenso delle amministrazioni locali.
Legalità e riconoscimento ufficiale. Le due merci più preziose in quel momento per un marchio che ha già conquistato i viaggiatori, che è già diffuso al punto da far concorrenza reale agli hotel, che ha sede in Irlanda e che quindi paga pochissime tasse dei paesi europei dove opera realmente, e che porta via una fetta importante, anche se poco quantificabile, di contributi fiscali da parte dei proprietari. Il programma di “collaborazione”, che partirà nel novembre 2014, prevede che Airbnb raccolga e poi versi ad alcune città una percentuale degli introiti. Le città in questione sono Amsterdam, San Jose, Chicago, Washington e, naturalmente, San Francisco, città in cui Airbnb ha la sede e a cui i fondatori promettono di versare una tassa del 14 per cento sulle loro attività in città. Nel frattempo, Parigi, sebbene sia la città con il più alto numero al mondo di abitazioni su Airbnb, e nonostante la start-up californiana già nel 2012 ci abbia aperto una delle sue più importanti sedi in Europa, non è tra queste.
Per capire perché basta finire di seguire il servizio di France 2, quella sera del 16 luglio. L’ultimo a intervenire è un giovane politico che per il Comune di Parigi si occupa di alloggi e politica dell’abitare. È uno dei più giovani aiutanti del sindaco Anne Hidalgo, si chiama Ian Brossat, ha da poco compiuto 34 anni, fa parte del Partito Comunista Francese e nei pochi secondi che ha a disposizione va dritto al punto: «Non possiamo accettare che a Parigi, una città che soffre di mancanza di alloggi, si perdano spazi abitativi. Il nostro obiettivo è quello di fare in modo che Parigi resti una città dove i parigini possano abitare».
Nel suo libro dedicato alla questione, pubblicherà qualche anno dopo, nel 2018, Brossat scrive: «L’esplosione degli affitti turistici a breve termine ha un impatto negativo evidente sul mercato immobiliare e quindi sull’accesso alla casa. A partire dal 2008, vista la forza sempre maggiore della locazione ammobiliata di corta durata, gli investitori del settore immobiliare hanno capito al volo che una casa dedicata a questo tipo di affitti offriva guadagni molto più alti di una lasciata in affitto per più anni a una stessa famiglia». Per questo, continua Brossat, «hanno comprato migliaia di appartamenti e ne hanno fatto degli Airbnb, ammobiliati in maniera impersonale e pensati per ospitare turisti uno dopo l’altro durante tutto l’anno».
Il timore di Brossat è molto semplice. Il 7 maggio del 2014, a poche settimane dalla sua elezione, lo dice chiaramente a Le Monde: «Non voglio che Parigi diventi una gigantesca Venezia, una città museo». Curiosamente, due anni più tardi, anche Nicolas Ferrary, all’epoca country manager Airbnb France, dice la stessa identica cosa. Ciò nonostante, gli effetti dell’invasione di Airbnb sulla città, secondo Brossat, ci sono: dalla perdita di alloggi disponibili per gli affitti a lunga durata, ovvero dei residenti (tra il 2011 e il 2016 sono state 25mila gli alloggi persi in città), fino all’aumento degli affitti e degli acquisti delle case (per l’acquisto, ormai siamo a 10mila euro al metro quadro di media); dal deperimento del tessuto sociale e della vita di quartiere, a quello delle abitazioni coinvolte; dalla crisi del piccolo commercio di quartiere (o quantomeno, di quello che aveva resistito fin qui) fino, addirittura, alla chiusura e alla fusione di alcune classi nelle scuole dei quartieri conquistati dai turisti, solo nel 2017 87 classi chiuse contro 23 aperte. Sono gli stessi punti che avevamo scoperto ascoltando il responsabile del Comune di Edimburgo, Andrew Mitchell, che cercava di spiegare alla signora Mann che cosa stava succedendo al suo quartiere:
Ma come si sta difendendo Parigi? In Francia, dal 2014, è entrata in vigore una legge — la Loi Alur — che in materia di affitti a breve termine è molto chiara. Un annuncio è legale solo e soltanto se riguarda la residenza principale, la prima casa, che deve essere registrata e munita di codice identificativo, e può essere affittata per un massimo di 120 giorni all’anno. Per affittare per più tempo, i proprietari, se vogliono continuare a sfruttare commercialmente l’appartamento, sono obbligati a trasformarne l’uso da residenziali a commerciale, ma anche a compensare tale trasformazione. Cosa significa? Che per ogni metro quadrato di spazio residenziale trasformato in commerciale, il proprietario dovrà trasformare uno spazio uguale da commerciale a residenziale nello stesso arrondissement. In più, ciascun appartamento deve essere munito di un numero identificativo di riconoscimento che il proprietario deve richiedere al comune.
Le regole di ingaggio della città sono queste. Ma non è così semplice farle rispettare. A Parigi su Airbnb ci sono circa 60mila annunci, di cui circa 52 mila – ovvero l’86,8 per cento – è di un appartamento intero. Di questi, secondo i dati che possiamo trovare su InsideAirbnb, esattamente in 16mila e 28 risultano attivi e ipertrofici, con una media di notti affittate pari a 213. Ben oltre il limite dei 120 giorni della città di Parigi. La lotta non è per niente semplice. Il comune prova a combatterla praticamente casa per casa. Per questo la Mairie de Paris ha messo in piedi una squadra di controllori composta prima da 20 e poi da 30 agenti che hanno il compito di controllare la legalità dell’affitto e, in caso negativo, far fioccare le multe. Giusto per capirci, dal 2017, la squadra ha controllato circa 13 mila 500 appartamenti, comminando più di 2 milioni di euro di multe.
E Airbnb? «Dobbiamo constatare che Airbnb non accetta le regole del gioco». A dirmelo, senza troppi giri di parole, è Maxime Cochard, un altro giovanissimo politico che fa parte della squadra di Brossat sotto il sindaco Hidalgo, che sono andato a trovare il 22 aprile 2019 all’Hotel de Ville, il comune di Parigi. «C’è poco da fare», continua Cochard, «visto il bassissimo tasso di appartamenti su Airbnb che si è dotato del codice identificativo — cosa che è per l’appunto illegale». E la reazione della piattaforma? Non si è fatta attendere.
«Siamo in pieno processo, ma già possiamo dire che Airbnb pratica una politica lobbistica molto aggressiva. Parigi è la loro prima meta per alloggi di tutto il mondo e per loro mantenere il business in questa città è fondamentale. Per questo intanto che si mostrano disponibili tentano in ogni modo di bloccare i regolamenti locali e quelli nazionali, a tutte le scale di grandezza possibili. L’ultimo esempio è il ricorso al Consiglio costituzionale francese. Sperano di far bloccare la legge che ci permette di richiedere la registrazione obbligatoria. Ma agiscono anche a livello europeo e a Bruxelles hanno messo in piedi un gruppo di 30-40 altre piattaforme alleate».
Era il 22 aprile del 2019. Qualche settimana prima, il 5 di quello stesso mese, il lavoro di lobby di Airbnb portava qualche frutto: il Consiglio costituzionale francese poneva dei dubbi sulla legittimità delle modalità dei controlli da parte degli agenti. «La questione sollevata», si legge nella sentenza, «è di natura grave, dal momento che tali disposizioni riconoscono agli agenti giurati del servizio di edilizia comunale il potere di accedere a locali residenziali in assenza e senza l’accordo degli occupanti dei locali, senza essere stati precedentemente autorizzati dal tribunale». La battaglia per Parigi, insomma, è ancora lunga e sarà sempre più complessa. Diversamente alle battaglie a cui ci siamo abituati nel Novecento, il confine tra il bene e il male non è affatto netto. Ci stiamo per scontrare con una dinamica che avevamo intravisto già a Edimburgo e che fa di quella che chiamiamo Sharing Economy una bestia a due teste che ci sta dilaniando.
La dinamica servo-padrone, che fino a pochi anni era una lotta di classe, ora è implosa e si è inoculata nella classe media. Più ancora che guerra tra poveri, sembra essersi fatta guerra civile interiorizzata. La generazione a cui appartengono quella coppia parigina, ma anche chi scrive, e probabilmente anche chi legge, è la prima che sta facendo concorrenza a se stessa. È la prima che, in modo sempre più simultaneo, da una parte segue i suoi desideri e i suoi sogni, dall’altra, subisce l’inseguimento dei desideri e dei sogni degli altri. Ma gli uni e gli altri sono intercambiabili. La lotta sta tendendo a somigliare a un delirio schizofrenico. È una dinamica molto complessa, e indagheremo anche quella.
Nel frattempo, prima di lasciare Parigi, diamo un’occhiata alla coppia che a Edimburgo avevamo spiato attraverso lo sguardo preoccupato della signora Mann che li guardava si sottecchi dall’uscio di casa. Nel weekend a Edimburgo hanno vissuto un’esperienza decisamente upper class, ma ora, al loro ritorno a casa si sono risvegliati dal sogno, ritrovandosi negli stessi panni della signora Mann. Mentre entrano nel loro condominio, nel centro di Parigi, incontrano le loro nemesi per strada: famiglie con figli che strillano in altre lingue, coppie di innamorati che somigliano a loro. Li guardano e, come la signora Mann aveva fatto con loro a qualche migliaio di chilometri più a nord, mentre salivano esaltati le scale dell’affascinante palazzo del centro di Edimburgo dove hanno lasciato un pezzo di cuore, li odiano. Li sentono nemici, avversari. Ma li sentono anche simili, pazzescamente simili, perché anche se parlano lingue diverse, i loro desideri si capiscono al volo, perché sono sono gli stessi.
Per approfondire:
[1] Inside Airbnb, Parigi: la piattaforma indipendente che raggruppa tutti i dati relativi agli affitti tramite la piattaforma a Parigi.
[2] Il mercato immobiliare a Parigi: un dossier [PDF in francese] con tutti i dati aggiornati al marzo 2019 sul mercato delle case nella capitale francese.
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