Elezioni 2022: la scuola, le materie umanistiche, l’ora di religione, la valutazione e la media literacy
La mercificazione del sapere nei programmi dei principali partiti italiani
La mercificazione del sapere nei programmi dei principali partiti italiani
Elezioni politiche 2022: lo speciale di Slow News
Tecnica della scuola e Orizzonte scuola hanno già offerto una rapida e sintetica comparazione dei programmi dei vari partiti sul tema scuola. Leggerla è un ottimo punto di partenza per parlare di scuola nei programmi elettorali. Anche questo pezzo di Sbilanciamoci fa il suo dovere.
Per questo motivo, e ricordandoci le premesse dell’impossibilità di un’analisi asettica (diventa un riassunto) e il fatto che, come ci ricorda Pagella Politica, il 96% delle promesse elettorali non ha una copertura economica esplicitata, possiamo concentrarci su alcuni argomenti che sfuggono alla conversazione principale e che pure sembrano importanti, a noi e alla comunità di persone che ci segue.
Il tema compare solo nel programma di Possibile
«L’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche è impartito da docenti scelti dalle curie e pagati dallo Stato italiano, un insegnamento improntato a una logica confessionale che andrebbe eliminato nelle scuole del primo ciclo, mentre in quelle secondarie di secondo grado dovrebbe essere sostituito da un insegnamento non confessionale obbligatorio del fenomeno religioso, declinato nei suoi aspetti storici, sociologici e antropologici, sostenuto da docenti regolarmente selezionati tramite procedure pubbliche». Fa così, il programma di Possibile, unico a citare l’ora di religione a scuola, in un paragrafo che parla esplicitamente della Laicità della Scuola.
«Pur consapevoli delle difficoltà che comporta la sua realizzazione», scrivono nel programma, «avalliamo la
prospettiva di una scuola pubblica laica».
Vale la pena di ricordare che l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non è obbligatorio e che si può richiedere alla scuola l’attivazione delle ore di cosiddetta alternativa, che sono un «servizio strutturale obbligatorio».
Purtroppo, a giudicare dalle conversazioni che abbiamo con le nostre comunità di riferimento (qui, per esempio, ne parlavo con i miei contatti su Facebook) e dalle nostre esperienze personali, non sempre questo servizio strutturale obbligatorio è garantito: tutto sembrerebbe lasciato alla buona volontà del singolo istituto scolastico.
Ci sono esempi virtuosi e altri dove bambine e bambini che non fanno religione, semplicemente, vengono lasciati in classe a disegnare in silenzio, oppure accompagnati in un’altra classe dove devono disegnare in silenzio. A volte le famiglie che scelgono le ore di alternativa (alla primaria sono due) vengono quasi fatte sentire in colpa per la loro scelta. In altri casi, ci sono scuole molto organizzate che hanno programmi e libri di testo per le ore di alternativa.
Vale la pena di ricordare anche che richiedere l’attivazione di un diritto consolidato è meno difficile del previsto: di solito basta mandare una PEC alla dirigenza scolastica, citando esplicitamente la nota n. 26482 del 7 marzo 2011 del M.E.F. e la CMin 3-5-1986, n. 129.
Le materie umanistiche sono praticamente scomparse dalla conversazione, citate giusto con un genericissimo e nazionalistico riferimetno al «recupero della nostra cultura umanistica e civica» nel programma di Italexit, come se non esistessero altre culture. È impressionante: se cerchi STEM (dall’inglese, scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) trovi riferimenti di ogni genere.
Il centrodestra, compatto, vuole «incentivare i corsi universitari per le professioni STEM». Verdi e Sinistra Italiana sottolineano che «anche nell’area STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematic) sempre più numerose sono le donne che si laureano, in tempi più celeri e con voti più alti rispetto ai compagni», mentre il Partito Democratico vuole «incentivare le ragazze nella scelta delle materie STEM, attraverso l’orientamento».
Benissimo: la tecnologia è importante, si dirà. Eppure, secondo Fabiola Giannotti, direttrice del CERN di Ginevra, dice chiaramente: «Spesso la gente ritiene che le scienze, le arti e le discipline umanistiche appartengano a compartimenti stagni che non comunicano tra loro. In realtà sono tutte espressioni somme della creatività umana e dobbiamo rompere le barriere che le separano».
«Oggi la tecnologia avanza velocemente, e ormai non è un problema per nessuno realizzare un sito internet, aprire dei profili sui social o avviare un’attività di e-commerce. Quindi l’attenzione delle aziende, più che sulla forma, si sposta sempre più sul contenuto, sulla capacità di raccontare e di raccontarsi, di creare contenuti interessanti», ha dichiarato Carlo Barberis, presidente di ExpoTraining. «Delle materie umanistiche sono inoltre apprezzate le capacità di sintesi e quella di mettere in collegamento tra loro fatti, suggestioni, idee».
E potremmo aggiungere l’importanza dell’approccio delle scienze sociali a temi cruciali quali l’uso dell’intelligenza artificiale, l’etica nell’applicazione delle nuove tecnologie e degli algoritmi e via dicendo.
Niente di tutto questo si trova nei programmi.
Se non altro, c’è il programma di Verdi e Sinistra Italiana che invita a considerare «ogni indirizzo della scuola secondaria superiore come occasione di formazione e crescita umana e civile» e più in generale la scuola come «plurale, aperta, partecipata, in cui ogni individuo possa riconoscere le proprie aspirazioni e le proprie potenzialità, indipendentemente dalle domande del mercato» per «formare dei cittadini critici, consapevoli, liberi».
Uno degli sport preferiti del giornalismo, di una certa politica, di certi editorialisti, è sparare a zero sulla scuola, spesso basandosi su aneddotica, esperienze personali, una scuola che non esiste più (di solito te ne accorgi quando parlano di “scuola materna” e “scuola elementare”, non aggiornandosi nemmeno sulle classificazioni).
Di solito la scuola viene aggredita brutalmente – si va dai “tre mesi di vacanza per gli insegnanti” ad altre amenità. Su tutte, la valutazione è quella che regala più gioie.
In un’intervista a La Padania, Giulio Tremonti aveva sintetizzato così la sua idea di valutazione scolastica: «I numeri sono una cosa, i giudizi sono una cosa diversa. I numeri sono una cosa precisa, i giudizi sono spesso confusi. Ci sarà del resto una ragione se tutti i fenomeni significativi sono misurati con i numeri… Un terremoto? È misurato con i numeri della scala Mercalli o Richter. Il moto marino? In base alla scala numerica della ‘forza’. La pendenza di una parete in montagna? In base ai gradi. La temperatura del corpo umano? Ancora in base ai gradi. La mente umana è semplice e risponde a stimoli semplici. I numeri sono insieme precisi e semplici. Il messaggio che trasmettono è un messaggio diretto».
Ebbene, questa idea di misurazione ritorna.
Più Europa ne parla per la formazione degli insegnanti, pensando «a un sistema di valutazione degli obiettivi di performance» (ma anche per i dirigenti delle P.A.)
Italia Viva e Azione, che vogliono adottare un sistema di valutazione anche per i magistrati, scrivono nel loro programma che «non può esserci autonomia senza valutazione. E solo un sistema nazionale di valutazione efficace può consentire di individuare le aree su cui è necessario migliorare». Qual è questo sistema efficace? Al momento non è dato saperlo.
Nessuna traccia esplicita del concetto nei programmi del centrodestra, anche se al Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini Giorgia Meloni ha preannunciato la sua idea di ritornare ai voti nella primaria (attualmente vengono espressi giudizi descrittivi relativi a obiettivi di apprendimento). Si parla, genericamente e senza alcuna spiegazione, di «rivedere in senso meritocratico e professionalizzante il percorso scolastico». La Lega, nel programma esteso, chiarisce la propria definizione di valutazione: «Compiti della valutazione sono la verifica dei livelli di conoscenza/competenza e l’orientamento finalizzato
al superamento delle criticità formative e verso i settori più consoni alle potenzialità di ciascuno».
Italexit vuole valutare anche gli Atenei.
Verdi e Sinistra Italiana hanno una posizione radicalmente opposta e molto argomentata. In generale, ricordano che «Il mondo della scuola, in tutte le sue componenti, non può più essere oggetto passivo di provvedimenti imposti dall’esterno, ma deve essere coinvolto seriamente nei propri processi di riforma e cambiamento».
Chiedono, in effetti, di Modificare il sistema di valutazione.
«L’impianto di una valutazione quantitativa e selettiva è un fattore determinante nella cristallizzazione delle diseguaglianze in seno alla scuola perché classifica e non favorisce alcuna reale consapevolezza. Inoltre, la competitività data dal sistema numerico influisce, come fattore di stress, nell’emersione del forte disagio che accompagna i percorsi scolastici di molti alunni e alunne. Per questo pensiamo sia fondamentale che una scuola realmente democratica, universalistica e inclusiva, si apra a un dibattito serio sulla valutazione numerica, anche al di là della scuola primaria».
Possibile, infine, parla di valutazione delle scuole e di sistema tramite l’INVALSI, che «devono essere indirizzate a una più equa ed efficace destinazione delle risorse sul territorio e fra le diverse istituzioni scolastiche, soprattutto quelle che presentano elementi di criticità». E, per gli studenti, immagina una « didattica laboratoriale e per competenze», cui la valutazione andrebbe adeguata.
Vivere nell’infosfera e nell’era della pervasività del contenuto richiede, a giudizio del sottoscritto, di affrontare seriamente il tema della comprensione dei media, della loro storia e trasformazione, degli algoritmi di distribuzione, dei meccanismi di diffusione. Il tema non sembra essere molto interessante per i partiti, se si eccettuano i Verdi e Sinistra Italiana che propongono di «diffondere un pedagogia critica dell’era digitale; la digitalizzazione deve essere un processo serio e profondo da non affrontare con interventi propagandistici o estemporanei, come l’introduzione burocratica e posticcia delle cosiddette “competenze non cognitive”, così com’è accaduto con l’inserimento dell’Educazione civica».
Il Partito Democratico ritiene «essenziale promuovere un approccio critico al digitale nel ciclo dell’istruzione, a partire dall’educazione civica digitale fino alla digital literacy e all’educazione sull’uso del dato, all’impiego di elementi di informatica di base, alla difesa dalla disinformazione»
Le idee sulla scuola e gli argomenti che ho scelto di cercare tradiscono come io la pensi, ovviamente. Però, la trasparenza nel metodo – e il fatto che, se lo desideri, anche tu puoi fare lo stesso percorso sui temi per te importanti: basta che tu ci chieda accesso alla collezione di documenti elettorali che abbiamo creato – dovrebbero metterci al riparo da equivoci.
Che scuola vorresti? Pensi che un numero sia davvero oggettivo? Pensi che tutto sia misurabile e riconducibile a una classifica dove ci sono i più bravi e i meno bravi? E pensi che chi oggi ha meno possibilità possa scalare facilmente quella classifica? Pensi che la scuola vada adeguata alle non meglio specificate “esigenze del mercato”? O credi che ciascuna persona abbia il diritto di esplorare e sviluppare le proprie potenzialità e inclinazioni?
Il modo in cui rispondi a queste domande è cruciale per trarre conclusioni insieme: non sono le mie, che contano, ma le nostre.
Su Slow News abbiamo ospitato il professor Cristiano Corsini parlando della Scuola per il mondo nuovo e abbiamo parlato con lui anche di Invalsi.
Elezioni politiche 2022: lo speciale di Slow News
La mercificazione del sapere nei programmi dei principali partiti italiani
Se l’Unione vuole avere successo in questa nuova fase, deve rivolgersi verso il Sud. Per Amedeo Lepore, la politica di coesione può consentire di ancorare l’Europa alle profonde trasformazioni della globalizzazione, a condizione che sia in grado di sviluppare un metodo euro-mediterraneo.
Nel solco dei “neo-idealisti”, l’ex presidente estone riflette in questa intervista sulla necessità di continuare lo sforzo di coesione attorno al sostegno militare all’Ucraina. Secondo lei, le trasformazioni nate in mezzo alla prova della guerra dovrebbero permettere all’Unione di approfondire la sua integrazione interna e di rafforzare le relazioni con il suo vicinato a Sud.
Ridurre i divari e le disuguaglianze tra le regioni è un obiettivo fondamentale dell’integrazione europea. Destinata a favorire la convergenza e la crescita, la politica di coesione si sviluppa su un lungo periodo, ma è stata messa a dura prova dagli shock improvvisi della pandemia e della guerra in Ucraina. In 10 punti e attraverso 26 grafici e mappe, tracciamo un bilancio dello stato attuale della politica di coesione e del suo futuro, mentre gli Stati membri si preparano a un allargamento che potrebbe sconvolgerne le coordinate.
La pietra angolare vacilla. Dopo la pandemia, mentre la guerra si estende da Gaza a Kiev, per liberare le forze vitali della costruzione europea, bisogna avere il coraggio di intervenire sul cuore dell’Europa: il mercato unico. Un contributo firmato da Enrico Letta.