Ep. 4

Tutte le difficoltà delle isole minori

L’Elba, pur essendo atipica, soffre di marginalizzazione come tutte le altre isole. L’Ue vorrebbe sostenerle di più, anche con la politica di coesione. Ma c’è da fare i conti con un modello di turismo sempre meno sostenibile

Resti di miniere di Rio Marina
Dalle nostre serie Serie Giornalistiche
L’altra Elba

L’Elba è un luogo periferico, ma ricco. Marginale, ma attraente. In crescita, ma forse non sostenibile. Ha tante facce, plasmate anche dai fondi di coesione Ue. Alice Facchini ci porta a conoscerle

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«Oh isola dell’Elba, infame scoglio, che ti combatti con l’onde del mare,
e se non tocca a me di’ che ti voglio, e tocca a te a venirti a rinchinare».

 

La canzone popolare Lo scoglio verde è una canzone di galera, perché l’Elba, come tante altre isole, per molti ha significato soltanto carcere e detenzione. La struttura è quella di una tipica lamentazione: la donna che si è vista portare via l’innamorato si rivolge al luogo dove lui è rinchiuso come ciò che le ha rubato il suo amore. Il testo riassume la strana ambivalenza dell’Elba: magnetica e respingente, dolce e crudele, amata e odiata. Lo abbiamo raccontato già nella prima puntata di questa serie: questa è un’isola minore atipica. È la più estesa di tutte le oltre 800 isole minori italiane ma, a differenza di molte altre, ha un suo ospedale, è collegata alla rete elettrica nazionale e i suoi abitanti sono in aumento. 

 

Allo stesso tempo, però, questo territorio sembra accomunato alle altre isole dallo stesso destino di marginalizzazione. Chi vive qui deve affrontare problemi che vanno dall’elevato costo dei trasporti e dell’energia fino allo scarso accesso ai servizi di base come scuole e ospedali, dalla bassa natalità a una crisi abitativa esacerbata dal turismo di massa. «Per tutte queste ragioni, oggi le isole fanno fatica a trattenere o attrarre risorse specializzate», spiega Claudia Guzzon, segretaria esecutiva della Conferenza delle Regioni Periferiche Marittime d’Europa (Crpm), organizzazione no profit che mette insieme diverse regioni insulari europee. «Molti giovani sono costretti a lasciare la propria isola per proseguire gli studi, e la mancanza di prospettive di lavoro qualificato a volte impedisce loro di tornare», aggiunge.

Quantificare le difficoltà delle isole minori non è facile e, infatti, ci sono pochi dati attendibili sul tema. Per farsi un’idea, però, si possono consultare le cifre relative alle grandi isole. Secondo un prospetto realizzato dai ricercatori dell’istituto Bruno Leoni, think-tank torinese, si stima che ogni abitante della Sardegna sia sottoposto a un costo invisibile di 5.700 euro all’anno a causa della condizione di insularità. Un altro dato emerge da uno studio della regione Sicilia, che calcola come costo annuale necessario a colmare gli svantaggi dell’insularità un totale di 6,5 miliardi di euro per la Sicilia e a 5,8 per la Sardegna, ovvero rispettivamente il 7,4 per cento e il 16,8 per cento del prodotto interno lordo annuale delle stesse regioni. 

 

Cosa fa la politica per sostenere questi territori e colmare il gap che viene a crearsi? In Italia sono stati adottati alcuni provvedimenti. Esistono, tra gli altri, i fondi nazionali per il contrasto degli svantaggi derivanti dall’insularità che vanno a Sicilia e Sardegna, fondi regionali per la continuità territoriale (e cioè per garantire i trasporti, solitamente aree o marittimi, agli abitanti di regioni sfavorite e periferiche), e finanziamenti per le isole minori per la messa in sicurezza di edifici e porti. Dal 2021 l’incentivo statale “Resto al sud”, già attivo nelle regioni del Mezzogiorno e in alcune aree del centro Italia, è stato esteso anche alle isole minori del centro-nord. 

«Le normative ci sono, il problema è che non sempre vengono applicate».

Ma la misura più importante è arrivata nel 2022, quando all’articolo 119 della Costituzione italiana è stato aggiunto un nuovo comma che «riconosce le peculiarità delle Isole» e «promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità». Nello stesso anno, le isole minori sono state inserite all’interno della Snai, la Strategia nazionale delle aree interne, costituendo la 73^ area ultra-periferica, nominata “Progetto speciale isole minori” e composta da 35 comuni. Questo comporta anche la possibilità di accedere a fondi ad hoc per un totale di  11,4 milioni, che però non sono stati ancora erogati.

 

«Le normative ci sono, il problema è che non sempre vengono applicate», spiega Gian Piera Usai, segretaria dell’Ancim, l’associazione nazionale dei comuni delle isole minori. «Ancora oggi, vari bandi pubblici escludono le isole minori, anche se questi territori avrebbero tutte le caratteristiche per poter partecipare. Noi come Ancim facciamo spesso segnalazioni e ricorsi: le isole minori esistono e vanno riconosciute», denuncia.

La politica europea non fa abbastanza

Anche l’Unione Europea riconosce gli svantaggi dell’insularità, e lo fa innanzitutto nel Trattato di Lisbona. L’articolo 174 afferma che, a causa di gravi e permanenti handicap naturali e demografici, le isole devono ricevere un’attenzione particolare nelle politiche europee, per ridurre le disparità territoriali. 

 

Tra i fondi europei destinati a questo scopo ci sono innanzitutto quelli della politica di coesione, che nasce proprio per intervenire sui gap di sviluppo fra le regioni degli stati membri. Eppure, le isole fanno ancora fatica a intercettare questi fondi. 

 

Uno studio del 2021 commissionato dal Parlamento europeo mette in evidenza come, in assenza di una categorizzazione specifica, nella politica di coesione le isole non possono ricevere finanziamenti ad hoc, e siano assimilate alle altre aree interne, condividendone indicatori demografici, economici e di sviluppo. Lo studio, inoltre, sottolinea come non esista una lista sistematica e armonizzata delle isole, e come manchino dati statistici riguardo alla loro popolazione.

Valentina, nata e vive a Bologna ma da questa estate sta organizzando di venire a vivere sempre più spesso a Campo per aiutare il cmpagno con la gestuione degli appartamenti in affitto.
Valentina, nata e vive a Bologna ma dall’estate 2024 sta venendo sempre più spesso a Campo per aiutare il compagno con la gestione degli appartamenti in affitto - Foto di Max Cavallari

«La complessità delle procedure di accesso ai fondi europei è una sfida spesso troppo grande per le piccole amministrazioni pubbliche delle isole, che non sono sufficientemente strutturate», spiega Claudia Guzzon, che con la Crpm lavora ogni giorno per spingere le istituzioni europee ad attuare politiche mirate per le isole. «Inoltre, ci sono grandi difficoltà nel mobilitare le competenze tecniche e le risorse umane necessarie legate alla gestione e allo sviluppo dei progetti europei», aggiunge. 

 

Entrambe le difficoltà indicate da Guzzon sono le stesse che vivono molti comuni italiani piccoli e periferici. Nelle isole, data la loro geografia, sono ancora più accentuate. 

 

Anche  l’Ancim le riscontra e chiede di superare il meccanismo di finanziamento che passa attraverso singoli bandi per andare verso un sostegno più strutturale a questi territori. «Oggi esistono solo bandi settoriali, ognuno dei quali si occupa di un singolo ambito, mentre quello che manca è una programmazione coordinata e concertata», afferma Gian Piera Usai. «È un meccanismo molto dispersivo e spezzettato, che fa perdere la visione di insieme, oltre al fatto che i piccoli comuni non sempre hanno la forza di partecipare a queste gare».

 

Un passo avanti in questo senso è stato fatto il 7 giugno 2022, quando il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che chiede alla Commissione di varare politiche specifiche per le isole. In particolare, la risoluzione parla di un Patto europeo per le isole, che abbia un approccio olistico e che garantisca che tutte le politiche europee di rilevanza siano adattate alle realtà specifiche delle isole. Inoltre, nella sua attuazione, questo Patto dovrebbe portare a un’Agenda europea per le isole, che definisca una strategia e delle priorità a lungo termine e a una gestione dei fondi Ue attuali più adatta alle esigenze delle isole stesse.

La Presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola partecipa a una tavola rotonda sul Patto per le isole, nel giugno 2022 - Video: europarl.europa.eu

«La risoluzione esiste, ed è una conquista importante: il problema è che ancora non è stata attuata», spiega Usai, la quale spera che nel corso della nuova legislatura europea «il Patto e l’Agenda diventino realtà».

 

Proprio per fare pressione sulle istituzioni europee l’Ancim, insieme a una rete di associazioni e istituzioni, ha lanciato la Carta dell’Elba per una Europa dei cittadini insulari più coesa e cooperativa, presentata durante la Conferenza sull’insularità che si è svolta sull’isola d’Elba lo scorso marzo. Con questo documento, i sottoscrittori auspicano che venga previsto un fondo per le isole minori e che siano approvate normative tese a riconoscere le fragilità e le peculiarità delle isole, con la previsione di normative speciali in tema di trasporti, scuola e sanità.

Territori a due velocità

Nel frattempo molte isole minori – come l’Elba – hanno un’economia a doppio ritmo: nei periodi estivi risentono della forte pressione dell’overtourism, mentre d’inverno sono spopolate e faticano a offrire opportunità ai loro abitanti. All’Elba, ad esempio, come abbiamo raccontato in questa serie, continuano ad essere finanziati molti progetti in ambito turistico, spesso con fondi di coesione, mentre altri settori – come la sanità o i trasporti – hanno molte meno risorse pubbliche di quelle di cui avrebbero bisogno.

 

«Il turismo è uno dei principali motori economici per le isole: rappresenta una quota significativa del  Pil, talvolta superiore al 25%, e sostiene gran parte dell’occupazione”, afferma Guzzon. “Allo stesso tempo, però, negli ultimi anni la crescita sproporzionata del settore turistico ha creato un’enorme pressione sui territori insulari e sulle loro comunità, mettendo a repentaglio un ambiente e una biodiversità unici, ed esacerbando le tensioni sociali, ad esempio a causa della mancanza di alloggi, spesso destinati ai soggiorni brevi». 

 

Ogni estate, il turismo consuma grandi quantità di energia, acqua, combustibili fossili, suolo, allo stesso tempo riduce la biodiversità, contribuisce all’erosione costiera e fa aumentare la produzione di rifiuti e acque reflue. La dipendenza economica delle isole da un unico settore, insomma, non è senza conseguenze. 

 

«Durante la pandemia da Covid-19 (quando i flussi turistici erano praticamente azzerati, ndr), si è evidenziata ancora di più la necessità di un’economia diversificata e sostenibile, con investimenti in altri settori, e la garanzia di servizi adeguati per i cittadini», conclude Guzzon. «La questione è sempre più urgente, e i policy maker a tutti i livelli hanno la responsabilità di affrontarla. Le isole non dovrebbero essere considerate solo come destinazioni turistiche».

Alcuni studenti dell'ITC Cerboni durante alcune attività di formazione
Studenti dell'ITC Cerboni di Portoferraio, all’Isola d’Elba. L’istituto ha ottenuto 250mila euro di fondi UE per un laboratorio didattico ecosostenibile e green. I progetti di coesione in ambito non turistico esistono, ma sono molto meno nunerosi - Foto di Max Cavallari

L’Elba è il simbolo di questa dicotomia tra turisti e residenti: lo sforzo di destagionalizzare i flussi per ora resta solo un tentativo, e ogni anno nei mesi di luglio e agosto l’isola è occupata da centinaia di migliaia di visitatori. «Ogni estate i prezzi crescono senza poi calare in inverno», spiega Umberto Mazzantini, elbano, che è stato il primo fondatore della sezione di Legambiente sull’isola. «Per molti elbani è un problema trovare casa in affitto, e per acquistarla bisogna essere benestanti. In più si continuano a costruire nuovi parcheggi, invece di pensare seriamente a trovare alternative con il trasporto pubblico: e infatti il traffico automobilistico è in aumento», dice preoccupato.

 

Nel frattempo, però, anche il turismo inizia a scricchiolare all’Elba: la stagione 2024 non è stata florida come ci si aspettava, e i dati sulle presenze sono in calo per il secondo anno consecutivo. Anche la durata media dei soggiorni si è ulteriormente accorciata, così come si è ridotta la capacità di spesa dei turisti in visita. 

Pressione e proteste

Pur non conoscendo ancora le ragioni effettive di questa flessione, la sensazione è che abbia avuto un ruolo la contrazione della capacità di spesa dei turisti italiani: «Il 70% dei nostri ospiti arriva dall’Italia, mentre solo il 30% viene dall’estero», ha dichiarato il presidente degli albergatori elbani Massimo De Ferrari. «Il dato preoccupa, visto che la situazione economica del nostro Paese la conosciamo», ha aggiunto.

 

Secondo Mazzantini, «il turismo elbano è in crisi di identità».

Rimane però il settore su cui si basa l’economia dell’isola.

Sentieri dell 'Elba
All’Elba, i fondi di coesione Ue sono stati usati anche per sistemare parte dei 400 sentieri interni all’isola - Foto di Max Cavallari

Grazie al turismo, l’Elba è cambiata e si è arricchita. La domanda, ora, è se questo tipo di accoglienza sia sostenibile sul lungo periodo. Diversi elementi fanno pensare che la risposta sia no. «I disagi degli elbani derivano da una mancanza di visione per l’isola», dice Giada Manzoni, milanese di origine trapiantata all’Elba, titolare del ristorante L’Ottavo di San Piero in Campo, uno dei pochi che resta aperto anche durante l’inverno. «Qual è la soluzione? O chiudiamo le frontiere e diciamo addio a  gran parte delle nostre entrate economiche, oppure proviamo a costruire un modello davvero sostenibile», continua.

 

Il dilemma non riguarda solo l’Elba. Nell’isola greca di Santorini il sindaco ha annunciato che a partire dall’anno prossimo verranno stabilite delle quote massime di croceristi da accogliere ogni giorno, dichiarando che «è impossibile per un’isola come questa avere cinque navi da crociera che arrivano contemporaneamente». L’isola, che ha circa 15.500 abitanti, nel 2023 ha accolto 3,4 milioni di viaggiatori. 

 

Nell’estate in cui il fenomeno dell’overtourism sembra esploso, non si è parlato solo di limiti o contributi di accesso, come quello che abbiamo raccontato a Venezia, che alla fine è anch’essa un’isola. A fare notizia sono state anche le proteste degli abitanti delle mete turistiche più gettonate, isole comprese. Ad aprile, sono scesi in piazza cittadini e cittadine dell’arcipelago spagnolo delle Canarie. A luglio, quelli delle Baleari, con 20mila manifestanti nel capoluogo di Palma di Maiorca. Il motto della protesta era «Cambiamo rotta e poniamo dei limiti al turismo».

Come ha spiegato Afp, le proteste sono state indette da circa ottanta associazioni e movimenti che vogliono porre dei limiti all’eccessivo turismo nell’arcipelago spagnolo. Secondo queste organizzazioni, l’attuale modello ha portato i servizi pubblici al limite della sopportazione, danneggia le risorse naturali e rende sempre più difficile l’acquisto e l’affitto delle abitazioni per i residenti. Rivendicazioni molto simili a quelle sentite all’Elba. 

 

Uno dei cartelli esposti dai manifestanti spagnoli recitava «Il vostro lusso, la nostra miseria», accusando implicitamente il turismo di creare disuguaglianza. Se davvero l’Unione Europea vorrà sostenere le sue isole minori e, soprattutto, se vorrà farlo con la politica di coesione nata proprio per combattere le disuguaglianze, dovrà tenere ben in considerazione anche questa questione. 

In copertina: Resti di miniere di Rio Marina – Foto di Max Cavallari

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Dalle miniere al turismo

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Il diritto di restare

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