Il reddito di base universale è una soluzione alle intelligenze artificiali
E serve anche al mondo della cultura
Da settimane, forse mesi, la mia “bolla” di conversazione è invasa da discussioni sul diritto di autrici e autori a essere pagati per il loro lavoro e di poter disporre delle loro opere a piacimento. Il che è sacrosanto. Tutto nasce dal fatto che le macchine IA generative sono diventate “pop” e ci siamo accorti che possono creare testo, immagini, musica, video. Questo genera, comprensibilmente, reazioni, pressioni, paure e preoccupazioni.
Il copyright così come lo conosciamo (di fatto un’emanazione di quello USA e del suo “Mickey Mouse Protection Act”: il nome non è casuale e dovrebbe già essere cartina di tornasole di chi sia veramente protetto dal diritto di copia) viene spesso individuato come soluzione al problema.
Tuttavia, i dati che abbiamo a disposizione (vedi qui) e i vari modelli sperimentati fin qui dall'(ormai ex?) industria culturale in tutti i suoi settori ci mostrano che il copyright non è affatto garanzia di vita dignitosa per le persone che creano contenuti.
Chi premia davvero il copyright?
E allora che fare?
D’altra parte, siamo d’accordo che le IA generative siano, attualmente, un monopolio e che vadano regolamentate: l’Unione Europea è al lavoro per questo, così come il Giappone (il suo regolamento è quello che qui preferiamo), la Cina, persino gli USA.
– democratizzano (le macchine, ma anche l’arte e la creazione).
Una di queste alternative è il reddito di base universale. Quali sarebbero i suoi vantaggi?
Maggiore libertà creativa
Democratizzazione dell'arte
Riduzione delle barriere di accesso
Più tempo per la creazione
Controllo sui diritti d'autore
Antidoto all'automazione e alle IA
Stimolo all'economia creativa
Sperimentazione e innovazione
L’assenza di pressioni economiche immediate potrebbe portare a una maggiore sperimentazione e a un’arte e cultura più innovative