«Ciao sono Simon Roche. Rappresento i bianchi del Sudafrica, ai quali è stato detto di aspettarsi un genocidio contro di loro» dice in un video in inglese un signore giovane dal mento volitivo, barba corta e ben curata, occhi e camicia azzurri e marcato accento afrikaner. 800.000 visualizzazioni su Facebook e un tour mondiale che sembra non finire mai: Stati Uniti, Unione Europea, America Latina. Roche è un vero giramondo.
Simon Roche è il leader e portavoce dei Suidlanders, il più importante gruppo dell’ultradestra sudafricana, e aspira al ruolo di portavoce internazionale della razza bianca. In tempi di globalizzazione il razzismo rischia di scomparire se il nemico, l’Altro, non diventa anch’egli globale. In quel video Roche si riferisce ad alcune controverse e mal riportate dichiarazioni di Julius Malema, parlamentare del partito di estrema sinistra Economic Freedom Fighters (EFF) e da molti descritto come il futuro leader del Sudafrica. Malema è stato il principale promotore della riforma agraria approvata di recente dal Parlamento sudafricano ed è il politico che attualmente più di tutti riesce a stare sulla cresta dell’onda, grazie anche a dichiarazioni controverse sbocconcellate ai media poco per volta.
Ma è bene andare con ordine.
Quello di portavoce dei bianchi nel mondo è un ruolo decisamente ambito: il candidato più eccellente è decisamente famoso e risponde al nome di Steve Bannon, ex-capo stratega del Presidente Donald Trump, ma non è l’unico e non è quello con maggiore possibilità di successo. Con i Suidlanders infatti parliamo di veri professionisti del vittimismo della supremazia bianca: il gruppo sudafricano, la cui ideologia si basa sulle teorie di Nicolaas van Rensburg, si ritiene da oltre un decennio vittima di una guerra di razza, di un vero e proprio genocidio dei bianchi che con la fine dell’Apartheid non ha fatto altro che accelerare. Van Rensburg, un boero che combatté la seconda guerra anglo-boera i primi del Novecento in quella che allora si chiamava Repubblica del Transvaal (oggi Sudafrica), nacque in una fattoria, ricevette 20 giorni di formazione scolastica in una vita intera, imparò a leggere solo ed esclusivamente la Bibbia e fu vittima in vita di oltre 700 episodi documentati di delirio. Deliri che sono stati, e sono ancora, interpretati come fossero delle visioni. Rifacendosi a quelle visioni i Suidlanders, che affermano di essere non meno di 130.000 individui tutti bianchi e tutti afrikaner (numeri non verificabili e probabilmente gonfiati), denunciano a livello internazionale il complotto nero contro di loro, una grande e massiccia operazione di genocidio dei bianchi in quella che fu la terra dell’Apartheid.
27 ottobre 2018. Robert Gregory Bowers, 46 anni di Pittsburgh, Ohio, USA, alle 9:50 del mattino è entrato in una sinagoga della città americana armato di fucile semiautomatico d’assalto Colt AR-15 e di tre pistole automatiche Glock .357 SIG. Ha sparato per 20 minuti facendo 11 morti e 7 feriti. Arrestato, agli inquirenti che gli hanno imputato 44 crimini ha raccontato di averlo fatto perché voleva fermare «gli ebrei dal compiere un genocidio contro la razza bianca» usando i neri come braccio armato.
Nel 2017, durante un discorso tenuto proprio in Ohio, Simon Roche ha affermato di stare lavorando «per preparare la minoranza cristiana protestante sudafricana per la prossima violenta rivoluzione» e per questo cerca l’amicizia e il sostegno di diversi gruppi di ultradestra sparsi nel mondo. Diverse decine di migliaia di uomini bianchi conservatori e persino il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump (che a gennaio 2017 avrebbe dovuto incontrare il cantante suprematista bianco Steve Hofmeyr, membro dei Suidlanders) sono incuriositi, sodali o parte attiva del network internazionale creato da Roche, di cui anche in Italia si sono avute tracce. Il giornale online Il Primato Nazionale ha pubblicato diversi pezzi sul presunto genocidio dei bianchi e lo stesso hanno fatto testate meno note come Il Populista, nato nel 2016 come blog dell’attuale Ministro degli Interni Matteo Salvini mentre il suo attuale direttore della comunicazione personale Luca Morisi ne curava la parte social, oggi punto di riferimento per i leghisti salviniani.