Le soluzioni degli altri
Venezia è unica. Ma non è l’unica. E non è sola.
Giuseppe Patrucco e sua moglie Mirella hanno rispettivamente 85 e 86 anni. Si sono sposati nel 1962 e da poco hanno celebrato il 61esimo anno di vita passato insieme. Il signor Patrucco è originario di Casale Monferrato e ancora oggi le sue parole sono scandite da un elegante accento piemontese smorzato dalle molte case che ha abitato. Per quarant’anni ha lavorato nel dipartimento commerciale di un’importante impresa, dovendo trasferirsi prima a Bologna, poi a Milano e poi infine a Treviso.
Anche la signora Mirella è piemontese, di Torino. E anche lei ha conservato un accento cordiale ed elegante, nonostante abbia accompagnato suo marito Giuseppe e abbia vissuto con lui in città diverse.
Oggi si tengono per mano e parlano insieme di un viaggio a Roma che vorrebbero organizzare, del futuro e della loro morte. «Vorremmo vedere di nuovo la Domus Aurea, ma bisogna prenotare e c’è fila. Con tutti questi acciacchi, chissà se faremo in tempo…». I coniugi Patrucco immaginano la loro morte vicina nel tempo, ma ci ridono su. E lo fanno in un piccolo appartamento ristrutturato da poco in centro a Treviso.
«Abbiamo deciso di vendere il nostro appartamento poco fuori città e di venire in affitto qui» spiega il signor Patrucco.
La casa in cui abitano è parte di un progetto di cohousing lanciato nel 2015 da Israa (Istituto di servizi di ricovero e assistenza agli anziani), un’istituzione pubblica di assistenza e beneficenza di Treviso. Il progetto – finanziato in parte dall’Unione Europea con fondi Fesr 2014-2020 – ha visto il recupero di alcuni edifici storici nella zona di Borgo Mazzini, all’interno delle mura trevigiane. Gli edifici, che già’ erano di proprietà dell’istituto, ora sono efficientati da un punto di vista energetico e dedicati alla quotidianità degli anziani. Oggi il cohousing è casa per 27 persone, che grazie ad alcune ristrutturazioni in corso potranno diventare fino a 82.
Nota per i distretti industriali e la ricchezza diffusa, Treviso oggi è una città in progressivo invecchiamento. Tra il 2002 e il 2021 l’età media è passata da 41,6 a 45,5 anni, mentre l’indice di anzianità è aumentato da 124 a quasi 170. Significa che per ogni giovanissimo ci sono quasi due pensionati, il cui numero è aumentato dell’86 per cento solamente tra il 2014 e il 2015.
Il crescente e progressivo invecchiamento della popolazione trevigiana ha costituito un’opportunità ma anche una sfida per l’Israa, che nell’arco di un decennio si è ritrovato ad essere il principale interlocutore di una popolazione sempre più vasta e con esigenze sempre più diversificate. Accanto al cohousing, infatti, Israa gestisce anche Rsa (le residenze sanitarie assistenziali), assistenza domiciliare e altri servizi per la terza età.
«Il nostro istituto si occupa dell’anziano in varie fasi della sua vita», spiega Laura Lionetti, una delle coordinatrici del progetto di cohousing. «Per questo motivo accanto all’assistenza ai non autosufficienti, abbiamo pensato di investire sugli anziani che godono di buona salute». Passare la vecchiaia in buona salute è importante e non scontato: garantisce aiuti alle famiglie e abbattimento di spese sanitarie e assistenziali. Oggi, in media, un anziano italiano passa meno della metà della propria anzianità senza malattie importanti. È un dato in miglioramento progressivo ma lento, anche per la scarsità di progetti che investono sul tema.
Treviso non è la sola città europea ad invecchiare. I dati più recenti forniti dall’Istat dicono che alla fine del 2020 le cinque province con l’indice di vecchiaia più alto d’Italia erano Biella (con indice di vecchiaia pari a 275,8 per cento), Oristano, Savona, Trieste e Ferrara. Nessuna traccia dunque del Veneto, il cui indice di vecchiaia è perfettamente allineato con la media italiana, fissata oggi a 179,2.
L’Italia è il paese più vecchio di un continente già vecchio di per sé. Nell’ultimo decennio il nostro paese ha registrato tassi di natalità progressivamente inferiori di anno in anno, mentre la speranza di vita aumentava. Anche alla luce del tragico impatto della pandemia sulla popolazione anziana, in Italia continuano a morire più persone di quelle che nascono. Ma in Europa le cose non vanno molto meglio, con dati di fertilità in progressivo calo già dal 2008.
«L’aumento della speranza di vita da un lato e il progressivo diminuire delle nascite dall’altro determina un rapido invecchiamento della popolazione e un altrettanto rapido aumento degli anni mediamente passati in pensione», spiega a Slow News Franca Maino, direttrice del laboratorio Percorsi di secondo welfare. «L’invecchiamento è un tema che già oggi ci tocca sul vivo e sempre più lo farà nel prossimo decennio. Ci tocca sul piano fiscale, sociale e umano.
Dobbiamo quindi pensare già oggi a delle soluzioni per prenderci cura degli anziani e offrire loro un sistema di welfare che sia insieme avanzato in termini di servizi e sostenibile da un punto di vista economico e sociale».
Simonetta Tazzer è un’altra ospite del cohousing dell’Israa. Trevigiana doc, Simonetta ha occhi verdi smeraldo e una parlantina lunga e piacevole. Dopo una vita da impiegata dell’Inps, da pochi anni si gode la pensione leggendo moltissimo. La sua nuova casa ha libri accatastati sotto le mensole, in cucina, in camera da letto. Le finestre affacciano sul cortile interno di un ex convento ora riammodernato. A pochi passi c’è il chiostro del convento, in ristrutturazione e circondato da glicine viola in fiore.
«Poco prima che mia madre morisse ho capito che mai e poi mai avrei voluto pesare sui miei cari», racconta mentre mostra fieramente casa propria, che dopo un ingresso con sala e angolo cottura si sviluppa in lunghezza. Simonetta è agile e iperattiva e ha quasi vent’anni in meno dei coniugi Patrucco. Nonostante questo, anche lei è considerata anziana.
È il risultato di una classificazione meramente lavorativa dell’anziano, che è definito dall’Organizzazione mondiale della sanità come la persona uscita per questioni anagrafiche dal mondo del lavoro. «Parlare genericamente di anziani è fuorviante», prosegue Franca Maino. «Tra i neopensionati e le persone vicine al secolo d’età ci sono trent’anni di differenza, e nel mezzo esistono bisogni e disponibilità che cambiano».
«Sono classificazioni generali e che presentano molte eccezioni, eppure più precise del semplice utilizzo generalizzato dell’etichetta di anziani», ragiona Franca Maino, aggiungendo che chi si occupa quotidianamente di welfare sa che c’è poco da discutere sul ruolo attivo degli anziani di prima fascia e di quello passivo degli anziani di terza fascia. Esiste invece un ampio dibattito sulla gestione del gruppo intermedio. In una società sempre più anziana, infatti, diventa fondamentale implementare politiche che allunghino la loro completa autonomia e ritardino quanto più possibile il momento in cui essi avranno necessità di assistenza.
«Qui ho modo di socializzare e di fare attività di gruppo», racconta Simonetta, che ha preso parte a visite guidate a piedi della città di Treviso e quasi ogni giorno partecipa alle lezioni di ginnastica dolce messe a disposizione dall’Israa. «Visitando la città con la guida ho scoperto cose incredibili. Qui, a pochi metri da dove abito e di fronte a dove sono passata per una vita, ci sono degli affreschi nascosti e pregiatissimi che non avevo mai notato», dice con voce entusiasta.
Simonetta ha deciso di lasciare gratuitamente la casa di proprietà alla nipote poco meno che trentenne e di pagare l’affitto per l’appartamento in cohousing.
Al momento dell’ingresso in casa gli anziani devono infatti sottoscrivere un contratto e una carta dei valori con l’Istituto, che a fronte di un canone mensile garantisce servizi ordinari, manutenzione e assistenza medica leggera, oltre ovviamente all’utilizzo della casa. Firmando l’accordo, gli anziani si impegnano anche a prender parte ad alcune attività e in generale a «favorire il senso di appartenenza alla comunità» e a «dare valore al vicinato». Il prezzo mensile varia a seconda della metratura. Le case, tutte nuove e già arredate, possono essere richieste da anziani single o in coppia di età compresa tra i 65 e gli 80 anni.
Nel caso di Simonetta l’affitto ammonta a poco meno di 800 euro mensili per un appartamento di circa 60 metri quadrati nel pieno centro della città.
«Il progetto del cohousing è stato reso possibile da un grande patto sociale stretto con la popolazione trevigiana», racconta il direttore dell’Israa Giorgio Pavan. La sua frase racchiude anni di lavoro passati dall’istituto a presentare il proprio progetto alla popolazione in un’ottica di progettazione partecipata. «Nel 2015 il nostro CdA decise di puntare su questa idea. Organizzammo tre grandi incontri col territorio. Erano invitati i singoli cittadini, ma anche le entità locali, i comitati di quartiere e le associazioni di categoria. Abbiamo presentato loro la nostra idea e raccolto suggerimenti e critiche, che poi sono entrate nella bozza del progetto» ha spiegato Pavan.
Secondo Pavan la natura partecipata di questo progetto «è alla base del suo successo». La pensa così anche Vanna Incrocci, vedova 80enne che oggi vive all’interno del cohousing di Borgo Mazzini dopo aver preso parte alle prime riunioni preliminari organizzate sul territorio. Vanna è una viaggiatrice. In una grande vetrinetta conserva ampolle in vetro di ogni forma e dimensione riempite dalla sabbia raccolta in molte decine di spiagge diverse.
«Da quando è illegale ho smesso di raccoglierla» ci rassicura. «Ma nel frattempo son riuscita a portarmi il mare in casa». Ogni ampolla è archiviata minuziosamente con un’etichetta che ne indica provenienza e data di raccolta.
«Nel periodo più brutto della pandemia abbiamo avuto modo di ricevere la spesa a casa, i vaccini non appena disponibili e assistenza h24», spiega Vanna.
«Il modello di Treviso è senz’altro un’eccellenza in Italia» commenta Notarnicola della Bocconi.«Il punto di forza è l’investimento su persone che sono del tutto autonome ma che senza cohousing finirebbero presto con lo sviluppare malattie croniche o condizioni di vita solitarie. In Italia quasi non esistono casi simili, ma se esistessero ne gioverebbe l’intera comunità».
Il Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza recentemente approvato per favorire la ripresa economica post-pandemica, presenta alcune linee di finanziamento per gli anziani non autosufficienti, mentre latitano i fondi per garantire un ingresso nella non autosufficienza il più tardi possibile. Lo conferma anche Elisabetta Notarnicola, per cui «in Italia come in Europa la pandemia non è bastata per far capire che l’anziano ha bisogno di attenzioni già prima che la sua malattia diventi cronica, anche a titolo di investimento»
300 dei 500 milioni stanziati riguardano la riconversione di Rsa e case di riposo per anziani in gruppi di appartamenti autonomi affinché, si legge nel piano, si possa «assicurare, per quanto possibile, la massima autonomia e indipendenza delle persone anziane».
«Per questo riteniamo che il nostro progetto possa diventare un modello replicabile», dice con tono fiero il direttore Pavan, che sottolinea che già vari comuni limitrofi hanno chiesto consulenze sulla replicabilità del cohousing. In Italia esistono già progetti simili, come ad esempio il Paese ritrovato di Monza dedicato ai malati di Alzheimer, ma il modello non è ancora messo a sistema e comunque riguarda il più delle volte solo persone che necessitano di assistenza sanitaria.
A fronte di grandi spese, il sistema delle Rsa riesce a prendere in carico al massimo 19 persone ogni mille abitanti, contro una media Ocse di 47 ogni mille. Nel complesso, l’80% degli anziani italiani vive in case inadatte ai propri bisogni, spesso troppo grandi. Ma tra di essi, più di sei su dieci non sono disposti a trasferirsi in abitazioni più adatte, ad esempio più piccole e arredate in funzione dei limiti motori.
«Alla nostra età cambiare casa e trasferirsi in un posto più piccolo ha significato dover perdere oggetti che raccontavano la nostra vita», dice la signora Mirella. La casa in cui abitava prima del cohousing insieme al marito Giuseppe era un grande appartamento di 200 metri quadrati. «Ci è voluto tanto sforzo, ma alla fine ora stiamo meglio», conclude Giuseppe Patrucco.
Il fatto che casa nuova fosse in centro ci ha aiutati e spronati. Siamo stati fortunati e anche un po’ bravi», dice guardando la moglie Mirella e stringendole la mano. «Non sappiamo bene cos’è che verrà nel nostro futuro, però è qui che vogliamo rimanere finché ci sarà concesso ancora del tempo».
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