Le soluzioni degli altri
Venezia è unica. Ma non è l’unica. E non è sola.
In provincia di Chieti, c’è una Residenza sanitaria assistenziale (Rsa) che, grazie ai fondi di coesione UE, applica i principi del metodo Montessori alla cura delle persone anziane
Giovanni ha quasi 65 anni. È calvo, alto e ha un fisico asciutto e slanciato. È anche molto amichevole «Da dove vieni?» chiede subito per poi presentarsi: «Io sono abruzzese e juventino. Adesso siamo amici?». Per alcuni anni Giovanni ha lavorato per il fisco italiano, si è sposato e ha avuto un figlio e una figlia che oggi sono adulti giovani ma ben affermati: lui raffinato artigiano in nord Italia, lei avvocatessa di successo dall’altra parte del mondo. Però Giovanni si è potuto godere solo una piccola parte dei loro successi perché – ancora giovane – ha avuto un crollo che lo ha obbligato a un lunghissimo ricovero in vari reparti di psichiatria.
All’improvviso Giovanni era diventato aggressivo, soprattutto nei confronti di se stesso. Si gettava in terra, si feriva, urtava volontariamente contro i pavimenti e i muri. Quando gli succedeva diventava quasi incontrollabile. Strillava, agitava le mani, rompeva gli oggetti intorno, e poi si scagliava a terra. Il personale che oggi se ne prende cura non ha dubbi: «Se fosse nato qualche decennio prima sarebbe sicuramente finito in manicomio».
Invece Giovanni in manicomio non ci è mai finito. Merito della legge 180 del 1978 – la cosiddetta Legge Basaglia – che in Italia ha decretato il superamento dei manicomi. Ma merito anche della struttura che oggi si occupa di Giovanni e una ventina di altre persone a Casoli. Qui lungo il fiume Aventino, ai piedi della Maiella, nel cuore della Val di Sangro, in provincia di Chieti, c’è una Residenza sanitaria assistenziale (Rsa) che applica i principii del metodo Montessori alla cura delle persone anziane.
La Rsa in cui vive Giovanni è totalmente pubblica e si trova nell’ospedale di Casoli. Al suo interno vi lavora personale medico e infermieristico, ma anche operatori e operatrici del socio-sanitario e assistenti sociali. Le persone che ci vivono sono prevalentemente anziane o molto anziane, ma in via eccezionale vi sono anche uomini e donne al di sotto dei 65 anni. Si tratta per lo più di persone che hanno bisogno di assistenza e affette da più patologie, ma comunque con un ampio margine di autonomia personale.
L’ottantenne Francesca, ad esempio, si muove in lungo e largo per gli ambienti della Rsa con uno straccio in mano e si impegna affinché ogni tavolo e ogni angolo sia ben pulito. Si è anche appassionata alla gestione di un piccolo acquario da 40 litri posizionato nella zona comune. Oggi è lei che si prende cura dei pesci. Ha dato nomi a ciascuno di essi e guardandoli ogni giorno dice se stanno bene o se forse sono in sofferenza. Dà loro da mangiare e si assicura che l’acqua e il filtro siano sempre ben puliti.
Così come Giovanni, anche Francesca e gli altri pazienti dormono nella struttura. Entrando dall’ascensore si accede subito a uno spazio comune ampio con vari tavoli, delle poltrone e un televisore. Dallo spazio comune nascono due corridoi, uno opposto all’altro. Lungo uno di essi c’è la parte notte, con le stanze in cui ciascun paziente dorme. Lungo l’altro corridoio invece nasce la zona giorno: c’è una cucina, un’area per la pausa caffè e alcune stanze dedicate alle attività.
Il dottor Massimo Mariano, sotto l’egida del Direttore Fioravante Di Giovanni, è colui che maggiormente si occupa della gestione della Rsa. Racconta che il punto di forza della struttura è l’adozione del metodo Montessori – nato orginariamente come metodo educativo per l’infanzia – per i pazienti anziani. Il metodo Montessori si basa sulla libertà di scelta lasciata all’infante, che deve essere libero di selezionare le attività che preferisce senza imposizione, così da sviluppare il naturale sviluppo fisico, intellettivo ma anche relazionale e sociale della persona. «Lo stesso identico concetto può essere applicato alle persone anziane, che possono esser lasciate libere di decidere in autonomia quale attività ricreativa e funzionale svolgere, così da stimolare i naturali interessi e le passioni che ciascun individuo ha sviluppato durante la propria vita», spiega Mariano.
Per dare concretezza a questa filosofia, all’interno della Rsa esiste una stanza ridenominata “Palestra della mente” all’interno della quale sono stati posizionati vari giochi e strumenti che gli ospiti possono liberamente utilizzare. C’è una bambola che può essere pettinata, ci sono giochi di logica, attività di sartoria, di conto, di precisione ma anche di calcolo o artistiche. Inoltre, non esistono giorni o orari specificatamente dedicati alla palestra della mente né ad altre attività, ma ciascuno è costantemente libero di organizzare la propria giornata all’interno della struttura come meglio preferisce.
Giovanni, ad esempio, dopo pranzo ha preferito coricarsi e riposare in stanza, mentre Francesca ha preso il telecomando e ha selezionato Rete 4 per vedere una telenovela. Luciano, che ha superato i novant’anni, si è spostato in autonomia con la propria sedia a rotelle, ha preso un caffè alla macchinetta e ha dialogato con altre persone che si trovavano nella piccola area ristoro. Tornando verso la zona comune si è scontrato con Luca, poco più che ottantenne, che era rimasto con la propria sedia a rotelle in corrispondenza di una strettoia. Il personale ha guardato la scena, ha controllato che nessuno si facesse male e che nessuno avesse bisogno di aiuto ma non è intervenuto. I due hanno risolto in autonomia.
L’applicazione del metodo Montessori è una rarità in Italia, nonostante Maria Montessori fosse nata nella provincia di Ancona. Ancor di più è raro trovarne applicazione in Italia nell’ambito della terza età. Eppure – dice Mariano – si tratta di una grande opportunità: «dare la libertà di scegliere significa assecondare gli interessi e le passioni individuali, e quindi rendere terapie ed attività più efficaci».
Il progetto è nato nel 2015 grazie a un altro medico, il professor Pasquale Falasca, che oggi dirige l’ospedale di Lanciano. Falasca ebbe l’intuizione originale di ripensare l’assistenza sanitaria in una porzione d’Italia in cui più della metà della popolazione è anziana. L’input arrivò grazie ai fondi della Strategia nazionale per le aree interne (Snai) pensata dal governo Monti e a sua volta finanziata grazie ai fondi europei. Alla fine del 2020 la Snai è passata dall’essere una sperimentazione a una politica strutturale e le aree interne (tra cui la Val di Sangro) sono finite al centro dei progetti di Next Generation Eu e della programmazione dei fondi di coesione Ue per il ciclo 2021-2027.
Con tre milioni di euro nel triennio 2018-2020 (di cui 200mila per la formazione), nel 2015 Falasca riuscì a finanziare un’ampia formazione montessoriana per tutto il personale e ad adattare la struttura a un simile approccio grazie alla realizzazione di spazi dedicati alle attività pratiche e manuali, convertendo così una Rsa tradizionale in una a trazione montessoriana. «Successero cose incredibili» ricorda il medico. «Alcuni pazienti recuperarono la manualità, altri ricordarono come fare attività che avevano fatto per una vita e poi dimenticato in vecchiaia, come ad esempio cucire o far di conto».
Oggi il progetto europeo è terminato ma continua a produrre effetti grazie alla propria onda lunga. Ha generato una trasformazione culturale all’interno del personale, che è stato tutto formato sul metodo Montessori grazie al contributo di esperti internazionali, tra cui Cameron J. Camp, ideatore dell’approccio montessoriano applicato al contrasto e al rallentamento della demenza senile. «Sono finiti i finanziamenti – spiega Falasca – ma il concetto di fondo veicolato è stato appreso ed ereditato».
Tutto ciò ovviamente contribuisce a offrire ai pazienti una vita più lunga ma soprattutto di buona maggiore. Si ricorre a una dose molto minore di psicofarmaci rispetto alle Rsa tradizionali e la cura e l’attenzione rivolte verso la singola persona sono molto maggiori. In particolare, il personale si assicura che ciascun ospite della struttura sia sempre nelle condizioni di poter scegliere se e quale tipo di attività condurre, ed eventualmente di ricevere la giusta assistenza. Vengono garantiti e promossi degli spazi di socialità e anche la gestione dei piccoli conflitti o delle attività quotidiane è demandata alla volontà degli ospiti, che dunque vengono assistiti ma mai infantilizzati.
«Nel caso di persone più giovani addirittura riusciamo a lavorare nell’ottica delle dimissioni e del progressivo ritorno alla società esterna», spiega l’assistente sociale della struttura, che negli anni è riuscita a dimettere vari pazienti in collaborazione con i servizi sociali del territorio. È il caso, ad esempio, di Luciana e Giuseppe, dimessi a distanza di anni l’uno dall’altra perché ritenuti capaci di vivere in piena autonomia all’esterno della struttura, talvolta accolti dai parenti e in altre occasioni all’interno di abitazioni trovate dai servizi sociali.
In altre occasioni alcuni pazienti hanno avuto il nulla osta per uscire dalla struttura a piacimento durante le ore diurne.
Secondo il dottor Mariano una cura così personalizzata che parte dal concetto della libertà e dell’autonomia del paziente stimola il cervello e il fisico delle persone, e rallenta il loro invecchiamento. Ciò fa sì che le persone possano partecipare più a lungo alla vita della comunità all’interno dell’Rsa, possano conversare e confrontarsi più a lungo coi propri familiari e possano restituire maggiormente la propria esperienza sul territorio. Nel caso della Rsa di Casoli questo avviene, ad esempio, grazie ad un progetto comunale che ha visto coinvolti anche studenti e studentesse della scuola locale, che hanno potuto così incontrare di frequente le persone che vivono all’interno della struttura.
Tuttavia – sottolinea Mariano – «tutto ciò è possibile solo alla luce del fatto che questa struttura è pubblica e quindi può permettersi di liberarsi dalla logica della massimizzazione del profitto». In Italia, infatti, il sistema delle Rsa pubbliche è fondato sulla compartecipazione: significa che dopo i primi trenta giorni, il paziente o la sua famiglia devono pagare una quota proporzionale al proprio Isee per la permanenza della persona all’interno della struttura. Si tratta di costi molto bassi. Pur non essendo facili da calcolare e pur variando molto da famiglia a famiglia in base a una serie di parametri, partono da poche centinaia di euro per arrivare raramente intorno ai mille. Solitamente, invece, le rette che le Rsa private o convenzionate chiedono alle famiglie sono di alcune migliaia di euro (ma anche qui c’è grande differenza territoriale).
Non è solo una questione economica. Nel nostro paese, soprattutto dopo la pandemia da Covid-19, le residenze sanitarie assistenziali sono spesso viste sotto una luce negativa. L’esperienza di Casoli, per quanto piccola e unica, dimostra il contrario. «Qui non dobbiamo minimizzare i costi ad ogni condizione», spiega Mariano, illustrando le precondizioni grazie alle quali è stato possibile sperimentare con successo il metodo Montessori. «Possiamo permetterci una struttura adeguata e funzionale, in cui il personale è più rilassato e più dedito alle esigenze del singolo», conclude.
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In data 12 settembre 2023 sono state effettuate alcune correzioni: il dottor Mariano non è professore (come precedentemente indicato), la scuola media coinvolta nel progetto con la RSA è una sola (e non molteplici, come precedentemente indicato) e la dichiarazione conclusiva di Mariano è stata modificata per rispecchiare meglio il pensiero del dottore.
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