Ucraina, dall’Africa una missione poco credibile

Incidente diplomatico in Polonia, missili su Kiev e baci della pantofola a San Pietroburgo: un viaggio poco serio per la delegazione africana di Ramaphosa.

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Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il presidente russo Vladimir Putin hanno incontrato, il 16 e il 17 giugno, una delegazione di pace africana, composta da sei presidenti, dall’Unione Africana e dalla Fondazione Brazzaville (Marco Perduca ha scritto un approfondimento su questo attore diplomatico semi-sconosciuto per HuffPost) per provare ad avviare un dialogo che conduca alla fine alla guerra Russia-Ucraina.

 

Questa delegazione, nata da un’iniziativa del presidente sudafricano Cyril Ramaphosa e composta dallo stesso Ramaphosa, dal capo dell’Unione Africana e Presidente delle Comore Azali Assoumani, dai presidenti Macky Sall del Senegal e Hakainde Hichilema dallo Zambia, dal primo ministro egiziano Mustafa Madbuli e da funzionari delegati dei capi di stato della Repubblica del Congo e dell’Uganda (il presidente ugandese Yoweri Museveni ha dato forfait perché affetto da Covid-19), ha incontrato Zelensky venerdì a Kiev, in Ucraina, e Putin sabato al Palazzo di Costantino, a San Pietroburgo in Russia. All’incontro di San Pietroburgo, durato più di tre ore, erano presenti anche il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov e il consigliere politico del Cremlino, Yuriy Ushakov.

 

Il viaggio è iniziato giovedì sera in Polonia, quando all’aeroporto di Varsavia sono atterrati gli aerei presidenziali con le varie delegazioni a bordo. E forse già in quest’occasione è emersa con chiarezza la debolezza, o meglio la pessima organizzazione, di questa delegazione: gli uomini della sicurezza di Ramaphosa sono stati bloccati a bordo del volo presidenziale dalle autorità polacche, che sostenevano non avessero l’autorizzazione per sbarcare con le armi, che i sudafricani hanno ammesso di avere e di non aver denunciato prima di partire. Un piccolo fatto, ma nemmeno troppo piccolo, che dimostra una forte approssimazione nei protocolli delle delegazioni, almeno di quella sudafricana.

 

Il giorno dopo i leader africani hanno raggiunto Kiev in treno. Zelensky ha incontrato e dialogato con i suoi colleghi, ringraziandoli per l’iniziativa ma inquadrando il tutto in un contesto più difficile di quello dal quale sembra partire la proposta di mediazione, che parte dal cessate il fuoco e da un tavolo di trattative: “Oggi, durante il nostro incontro, ho detto chiaramente che consentire qualsiasi negoziato con la Russia ora, quando l’occupante è sulla nostra terra, significa congelare la guerra, congelare il dolore e la sofferenza” ha detto Zelensky ai suoi colleghi africani: “La Russia ne approfitterà per diventare più potente, per armarsi ancora di più e per attaccare ancora di più l’Ucraina”.

 

Proprio durante l’incontro tra i leader africani e il presidente ucraino sono caduti missili su Kiev, che hanno costretto la delegazione africana a rifugiarsi in un bunker per ovvie ragioni di sicurezza. La dimostrazione, ha detto il leader ucraino, che “Putin non ha alcuna intenzione di fermarsi”. Nel corso della conferenza stampa che ha seguito l’incontro di Kiev, il sudafricano Ramaphosa ha prima negato e poi ammesso i bombardamenti di quella giornata: “Ringraziamo il Presidente Zelensky per la sua apertura mentale che ci permetterà di portare avanti questa iniziativa. Noi leader africani siamo pronti”. Al di là delle parole, Ramaphosa ha fatto di tutto per mantenere le distanze dal presidente ucraino, ad esempio rifiutando di condannare le atrocità russe commesse nella città di Bucha, da lui stesso visitata quella stessa mattina: “Abbiamo visto cosa è successo”, ha detto ai media, aggiungendo che “mi è stato detto che c’era un’indagine in corso. Penso che debba continuare”.

 

Il giorno dopo, tornati in treno in Polonia, la delegazione africana è volata a San Pietroburgo: “Siamo aperti a un dialogo costruttivo con chiunque voglia stabilire la pace, sulla base dei principi di giustizia e tenendo conto dei legittimi interessi delle parti” ha detto Putin all’inizio dell’incontro citato dalle agenzie russe. Dopo aver ascoltato l’offerta di pace in 10 punti di Ramaphosa (puoi leggerli qui), il presidente russo ha detto che il problema è iniziato in Ucraina dopo il “sanguinoso e incostituzionale colpo di Stato sostenuto dall’Occidente” nel 2014 e ha aggiunto che tale colpo di Stato sarebbe la “fonte di potere” dell’attuale amministrazione Zelensky.

 

Sottolineando l’impegno russo per “gli ucraini del Donbass” Putin ha detto che gli Accordi di Minsk sono stati firmati da ambo le parti per “risolvere il problema con la pace” ma, nella narrazione del Cremlino, l’amministrazione di Kiev si è ritirata dal processo di pace non aderendo agli accordi: “Dopodiché, la Russia ha dovuto riconoscere la Repubblica popolare di Donetsk e la Repubblica popolare di Lugansk” ha detto Putin, specificando che secondo lui il riconoscimento di tali amministrazioni segue il diritto internazionale e la Carta delle Nazioni Unite.

 

Snocciolando i dati sulle esportazioni alimentari dall’Ucraina datati 15 giugno, Putin ha evidenziato gli sforzi del presidente turco Recep Tayyip Erdogan per mediare all’accordo sul grano: un totale di “31,7 milioni di tonnellate di prodotti agricoli sono stati esportati dai porti ucraini con l’aiuto di Russia e Turchia, 976.000 tonnellate di prodotti agricoli sono stati inviati ai paesi africani bisognosi, Gibuti, Somalia, Sudan, Libia ed Etiopia” ha detto Putin, accusando “l’amministrazione europea neocoloniale” che avrebbe “ingannato la comunità internazionale e i paesi africani bisognosi” e chiarendo:”la Russia non ha mai rifiutato i negoziati”.

 

Sebbene l’Africa sia lontana migliaia di chilometri dalla Russia e dall’Ucraina, questo continente è quello che maggiormente ha risentito degli effetti economici negativi della guerra in corso tra i due paesi, ed è questo il senso della Missione di pace africana, che si è data l’obiettivo di convincere Mosca e Kiev ad avviare colloqui volti a porre fine al conflitto.

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Guardare la mappa qui sopra aiuta molto a capire la dimensione geografica e politica delle nuove politiche russe in Africa. E l’importanza, sia per la Russia che per l’Ucraina, di una fruttuosa “campagna acquisti”, utile soprattutto in fase di stallo alle Nazioni Unite.

 

Molti paesi africani che dipendono dalla Russia e dall’Ucraina per grano, fertilizzanti e olio vegetale stanno affrontando una carenza di cibo e prezzi elevati, in un contesto di parziale ripresa post-pandemica ma con un’inflazione che in alcuni paesi africani raggiunge il 29% settimanale. In questo contesto, in cui ci sono diversi conflitti in cui la Russia è presente ma in un conflitto per procura utilizzando i mercenari del gruppo privato Wagner, è interessante guardare la settimana che ha preceduto questa missione: giovedì Putin ha chiamato al telefono il leader della giunta militare in Mali Assimi Goita e venerdì il ministro degli Esteri del Mali ha chiesto la partenza “immediata e senza condizioni” del contingente di caschi blu dell’ONU MINUSMA. In questi stessi giorni in Burkina Faso, nella capitale Ouagadougou, si è organizzato il primo Forum Russia-Africa, alla presenza dell’ambasciatore russo e della ministra degli esteri burkinabé, come preambolo ai lavori della Conferenza Russia Africa che a fine luglio si terrà a San Pietroburgo, in Russia. Appena una settimana prima invece era stato il presidente algerino Abdelmajid Tebboune a recarsi a Mosca per siglare accordi, anche nel settore energetico. Non più di dieci giorni prima era stato il presidente eritreo Isaias Afwerki a recarsi a Mosca in visita ufficiale.

 

Questo senza contare il peso che i russi hanno in Repubblica Centrafricana, la porta principale d’accesso della Russia all’Africa, in Sudan e in Libia, dove è presente il gruppo Wagner, ma anche in Mozambico e Sudafrica (la Russia, come il Sudafrica, è un paese membro dei BRICS).

 

A proposito di BRICS: nell’ultima settimana sia l’Algeria che l’Egitto hanno chiesto di entrare a farne parte. Un’ipotesi che fa gola anche ad altri.

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