
I giganti industriali perdono soldi e gli Stati investono in armi, ma la soluzione è sempre la stessa: scegliere su cosa vogliamo investire per costruire un mondo sostenibile
In seguito alla decisione del Parlamento Europeo di vietare, a partire dal 2035, la messa in commercio delle automobili a combustione interna, le reazioni sono state immediate e molto forti da ogni lato: da parte del mondo politico, soprattutto da esponenti del Governo Meloni e in generale dall’area dell’estrema destra conservatrice, ma anche da parte dei giornali, soprattutto quelli legati a doppio filo — o pubblicitario o direttamente di proprietà — alle industrie del comparto dell’automotive.
Tra queste reazioni, c’è stata anche quella di Federico Rampini, che sul Corriere ha scritto un lungo articolo intitolato È boom di auto elettriche, ma ora gli ambientalisti le combattono, che muove accuse molto forti e molto pretestuose a una parte del movimento ecologista.
«I guardiani della purezza del movimento ambientalista», scrive Rampini, «se sono contrari all’auto elettrica, che cosa propongono come alternativa? Un mondo popolato di pedoni, di biciclette, e di treni, è la loro idea della mobilità. Un’idea molto tipica da “ZTL”, da privilegiati che abitano in centri urbani ben serviti dai mezzi pubblici. Più realisticamente, se vince questa nuova crociata delle frange più estremiste dell’ambientalismo, significa che saremo schiavi più che mai delle autocrazie e dei loro monopoli».
Di fronte a un messaggio così virulento è importante mettere in circolo degli anticorpi, per due motivi:
Per questo la soluzione è liberarsi dalla schiavitù delle autocrazie e dei loro monopoli e dare a tutte le persone accesso a una mobilità aperta, inclusiva e sostenibile. Esattamente il contrario di quella delle automobili.


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Un attacco contro il paternalismo, una malattia molto italiana che caratterizza il discorso dei giornali, della politica, della scuola e della famiglia.

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