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Il 90% tra vestiti usati e rifiuti tessili provenienti da paesi europei sta finendo in Africa e Asia.
Il dato, allarmante, proviene dall’European Environment Agency (EEA), che peraltro sottolinea l’impatto che questo tipo di scarti hanno sull’ambiente e, di conseguenza, sull’emergenza climatica.
Una gran parte (circa un terzo) degli abiti usati che vengono “donati” ai Paesi in via di sviluppo viene direttamente gettato e finisce ammassato nelle discariche abusive, dove accade venga bruciato o entri in contatto con le falde acquifere.
Ad aggravare ulteriormente lo scenario c’è il fatto che una gran parte di questo vestiario (circa due terzi delle 5,8 milioni di tonnellate di rifiuti tessili che produciamo annualmente, spiega AfricaNews) è costituito da materiali a base di petrolio, come il poliestere, che si degrada lentamente rilasciando microplastiche e altre sostanze inquinanti che vanno a compromettere ulteriormente l’ambiente.
Come europei, dipendiamo fortemente da Africa e Asia per quanto riguarda la produzione tessile, anche se per motivi non particolarmente nobili: grazie ai costi bassissimi.
Tutto ciò ha portato ad un eccesso di produzione e, di conseguenza, a un’enorme quantità di vestiario che in qualche modo va smaltito.
È il classico serpente che si morde la coda.
Se desideri approfondire, Anna Castiglioni ha affrontato il problema del fast fashion e dell’industria tessile, e l’impatto che questi hanno sull’ambiente, all’interno della sua serie Il diavolo veste cheap.
2 giugno 2023


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