
Storia di una domanda che sembra di stretta attualità oggi, ma che in realtà ci si pone da anni e che da anni ha la stessa risposta.
La coltivazione del tabacco è in piena espansione in alcuni paesi africani, dove il numero dei consumatori è in aumento, in netta controtendenza con il resto del mondo. A rivelarlo è l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Oltre ai tradizionali produttori come Zimbabwe (nel 2020 esportatore di 741 milioni di dollari di tabacco grezzo) e Malawi, oggi si affacciano a questo mercato anche Tanzania, Zambia, Uganda, Kenya, Mozambico, Sudafrica e, sul lato occidentale del continente, la Costa d’Avorio. Una produzione che si riflette (anche) sui consumi: “Il numero di consumatori di tabacco nella regione africana dell’OMS è aumentato da circa 64 milioni di consumatori adulti nel 2000 a 73 milioni nel 2018. Questo aumento è in parte dovuto all’aumento della produzione di prodotti del tabacco e al marketing aggressivo da parte dell’industria del tabacco”. La questione del fumo in Africa è molto vasta, complessa e interessante: il continente con la demografia più esplosiva al mondo rappresenta il futuro dell’industria mondiale del tabacco e i suoi effetti sulla salute pubblica preoccupano già diversi governi africani. Chi scrive (uno sciocco fumatore), di recente ha rischiato l’arresto in Kenya (dove è proibito fumare in qualsiasi luogo pubblico, anche in strada), e sono stato ammonito in Liberia (che si autodefinisce “smoking free country”) e in Etiopia perché beccato, ignaro, a fumare.
Su Slow News il tema non ci è per niente nuovo: abbiamo parlato ad esempio di come le multinazionali del tabacco utilizzino il continente africano come laboratorio a cielo aperto: le sigarette importate nel continente africano sono le più tossiche al mondo e no, una Marlboro non è una Marlboro ovunque e se comprata in Marocco fa più male che se comprata in Italia.
A questo aspetto se ne aggiunge un altro, che non tocca solo i consumatori di sigarette africani ma proprio tutti quanti: la coltivazione e la produzione del tabacco aggravano l’insicurezza alimentare e nutrizionale. Secondo l’OMS, la coltivazione del tabacco distrugge gli ecosistemi, impoverisce i suoli, contamina le acque e destina i terreni a colture non agricole, con i profitti del commercio del tabacco come coltura da reddito che non compensano i danni alla produzione alimentare nei paesi a basso e medio reddito.
Dei circa 828 milioni di persone che soffrono la fame nel mondo, 278 milioni (il 20%) vive in Africa. Il 57,9% della popolazione africana è esposto a un’insicurezza alimentare da moderata a grave. L’intensificazione della coltivazione del tabacco nella regione africana rappresenta una seria minaccia per la sicurezza alimentare e nutrizionale del continente: i dati disponibili rivelano che mentre l’area coltivata a tabacco è diminuita del 15,7% a livello globale, in Africa questa è aumentata del 3,4% tra il 2012 e il 2018. Durante questo periodo, sebbene la produzione di foglie di tabacco sia diminuita del 13,9% a livello globale, in Africa è aumentata del 10,6%. Negli ultimi anni, la coltivazione del tabacco è progredita in Africa grazie all’esistenza di un quadro normativo più favorevole per le attività dell’industria del tabacco, all’aumento della domanda e anche per gli investimenti della China National Tobacco Corporation, che finanzia e poi acquista la maggior parte della produzione africana.
Storia di una domanda che sembra di stretta attualità oggi, ma che in realtà ci si pone da anni e che da anni ha la stessa risposta.
Gli “accordi di pace” che si spartiscono il Medio Oriente hanno radici lontane, come l’accordo di Sykes – Picot, del 1916, che conteneva già tutto quello che sarebbe successo nei 110 anni successivi.
Fu uno dei primi, su mandato dell’ONU, a cercare una mediazione di pace tra Israele e Palestina. Fu ucciso in un agguato a Gerusalemme nel 1948.
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