Le soluzioni degli altri
Venezia è unica. Ma non è l’unica. E non è sola.
Per garantire un vero diritto all’aborto e difendere l’autodeterminazione delle donne, dice Vittoria Loffi di Libera di abortire
Il 1 febbraio 2023, il Senato francese ha espresso parere favorevole a qualcosa che in Europa non si era ancora mai visto: la scrittura direttamente in costituzione della “libertà della donna” di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza. Non è ancora una battaglia vinta, proprio per niente, ma è un grande passo avanti. Ben presto la Francia potrebbe essere il primo paese a riconoscere l’aborto come diritto costituzionale.
C’è un MA, però. Perché una notizia del genere, di questi tempi, purtroppo non è scontata. Tutto il contrario, perché da diversi anni, le forze politiche e sociali che si oppongono al diritto all’aborto si stanno riorganizzando e stanno crescendo, sia di numero che di potenza di fuoco, il tutto, a dimensione transnazionale.
Quella che è nata e agisce in modo molto invasivo e purtroppo efficace in tutto il mondo, infatti, è una vera e propria “internazionale anti abortista”, che grazie a grandi investimenti economici internazionali alimenta la battaglia contro l’aborto in ogni angolo del mondo, anche in Europa.
E qui in Italia, com’è la situazione? Questa ondata anti abortista ha spazio per attecchire? L’affermazione di un di estrema destra quanto peserà sul futuro del diritto all’aborto nel nostro paese?
Ne abbiamo parlato* con Vittoria Loffi, coordinatrice della campagna “Libera di Abortire”.
*Una parte di questa intervista uscirà nel numero 4 della Revue Dessinée Italia, in libreria a marzo 2023, a completare un’inchiesta a fumetti di Audrey Lebel e Aurore Petit intitolata Indietro tutte. Questa è la versione integrale.
Qual è la situazione del diritto all’aborto in Italia?
In Italia, l’accesso alle interruzioni volontarie di gravidanza è regolato dalla legge 194 del 1978: un testo che ha avuto il grande merito di arrestare la piaga dell’aborto clandestino, ma che non ha contestualmente creato un contenitore per un vero diritto all’aborto.
Che cosa significa?
Il punto di partenza della legge 194 è la situazione giuridica del concepito: significa che qui, ogni giorno da 45 anni, il principio cardine che vale e che ha condizionato le nostre vite e la nostra libertà di scelta è un generale divieto di aborto, e le situazioni in cui è permesso sono costruite normativamente come delle eccezioni. Non è un caso che la legge parli di tutela della maternità e della vita umana dal suo inizio e non di “libertà con il corpo”, cittadinanza femminile responsabile e autodeterminazione; come non è un caso che venga richiesto per legge ai consultori e alle strutture socio-sanitarie coinvolte di aiutare la persona incinta a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione volontaria di gravidanza, imponendo al momento della richiesta dell’intervento sette giorni obbligatori per “soprassedere” alla decisione. Si è dunque profilato, negli anni, un passaggio dal totale divieto di aborto di epoca fascista a un panorama di concessioni tutte da guadagnarsi.
Perché siamo ancora fermi alla 194 allora?
I continui attacchi ideologici alla legge 194 hanno spinto il fronte progressista ad utilizzare la norma come una trincea dietro cui arroccarsi per poter parare i colpi assestati a ripetizione dai movimenti no-choice nazionali e internazionali. Oggi, però, se si leggono gli articoli da cui è composta, ma soprattutto se la si vive nelle strutture sanitarie pubbliche italiane, la necessità del suo superamento è più che mai evidente.
Quali sono le minacce che incombono su tale diritto?
Sulla possibile esistenza in Italia di un diritto all’aborto riconosciuto e normato incombono minacce nazionali e internazionali. Esiste una sorta di “internazionale integralista” che va dalla destra estrema statunitense alla Russia di Putin che investe milioni di euro in giro per il mondo e finanzia quei partiti o movimenti che “difendono i diritti delle famiglie”.
Open Democracy ha tracciato l’enorme flusso di denaro, oltre 50 milioni di dollari, proveniente dagli Stati Uniti e diretto nelle casse di associazioni di cristiani conservatori che hanno forti e solidi legami con i partiti e movimenti di destra europea. La salita al potere di figure reazionarie e conservatrici in diversi paesi europei rappresenta una minaccia per i diritti riproduttivi, normati in modo disomogeneo e profondamente differente.
Non da ultimo, il 15 settembre il governo ungherese – in perenne lotta contro la libertà riproduttiva delle sue cittadine – ha introdotto una stretta che prevede l’obbligo per il personale medico di fornire la prova “chiaramente identificabile delle funzioni vitali del feto”, attraverso la rilevazione del battito cardiaco. Una forma di violenza estrema che ha spinto le attivisti e attiviste ungheresi a organizzarsi, proprio in occasione del 28 settembre, contro la nuova misura voluta da Viktor Orban.
Quali sono gli effetti di questa “internazionale integralista” in Italia?
Gli effetti che un tale assetto reazionario può avere in Italia sono evidenti: i forti legami italiani con il nuovo corso dei reazionari globali ha permesso la messa in campo di strategie innovative per minare e ostacolare l’accesso alle interruzioni volontarie di gravidanza a seconda delle specifiche regolamentazioni del paese in causa: si va a colpire là dove il risultato può essere più efficace.
Dove si va a colpire in Italia?
In Italia si sfruttano le zone grigie della legge 194: le giunte regionali guidate dal centrodestra, infatti, favoriscono le associazioni ultracattoliche all’interno dei consultori o rifiutano di seguire le linee di indirizzo ministeriali sull’aborto farmacologico in strutture extraospedaliere e possibile fino alle 9 settimane. E ancora: il moltiplicarsi dei cosiddetti “cimiteri degli angeli”, realizzati sottraendo a chi interrompe una gravidanza il diritto di scegliere la destinazione del feto, con accordi riservati fra strutture ospedaliere e associazioni no-choice che si appropriano dei prodotti abortivi e li seppelliscono con rito cattolico, è solo un altro esempio. I reazionari si affrettano da tempo a dichiarare di non voler toccare la legge 194, di volerla applicare pienamente: è arrivato il momento di capire che il problema è proprio qui.
Chi sono gli attori politici e sociali che fanno propaganda contro questo diritto?
Non solo i partiti più reazionari del panorama politico italiano sono impegnati in una vera e propria opera di smantellamento della legge 194, ma anche le grandi ramificazioni di associazioni ultracattoliche sparse su tutto il territorio che agiscono come un braccio destro di chi sta cercando di proporre una interpretazione di società che riporta la donna-madre nella dimensione privata proponendola “in positivo”, con un’importante opera di reframing e rebranding, come architrave della famiglia e della società – senza che però possa continuare a vantare partecipazione libera e indiscriminata alla res pubblica.
Perché qui a Slow News crediamo che l’informazione di qualità debba essere libera. Perché solo la conoscenza libera dei fatti e dei contesti ci permette di vivere in una vera democrazia.
I passi indietro sull’aborto negli Stati Uniti hanno o potranno avere ripercussioni anche qui da noi?
Il rovesciamento della storica sentenza Roe v. Wade e la conseguente cancellazione di ogni tutela costituzionale e federale del diritto all’aborto (che, a differenza della legge italiana, la sentenza del 1973 aveva creato) hanno globalmente rappresentato un punto di svolta nei disegni conservatori internazionali. La restituzione di totale discrezionalità agli stati sul garantire o meno un libero accesso all’aborto si inserisce comodamente nel quadro di un eterno conflitto tra il governo centrale e quelli statali eche definisce la natura degli Stati Uniti d’America dagli anni di Alexander Hamilton e Thomas Jefferson.
I risultati reazionari statunitensi, ottenuti giocando sul terreno fertile dei diritti riproduttivi, non hanno quasi mai avuto direttamente a che fare con il diritto all’aborto stesso: i dibattiti sull’aborto sono perlopiù stati un mezzo attraverso il quale è stato possibile condurre una lenta, ma inesorabile rivoluzione conservatrice e politicizzante una delle più alte istituzioni federali, ovvero la Corte Suprema degli Stati Uniti. Il diritto all’aborto – collegialmente abbracciato dalla società statunitense ai tempi di Roe v. Wade – è presto diventato il medium prescelto per governare masse di evangelici e sfruttare la Presidenza degli Stati Uniti al fine di raggiungere diversi obiettivi.
E quindi, in Italia?
Pur essendo il panorama italiano profondamente differente, è innegabile che ciò che accade negli Stati Uniti abbia delle conseguenze sociali e politiche impattanti, anche in virtù della difficile comprensione delle dinamiche storiche che si celano dietro il diritto all’aborto ‘a stelle e strisce’. La decisione della Corte Suprema ha dato nuovo slancio ai partiti conservatori e reazionari di tutto il mondo – anche quelli italiani – per perseverare nell’attacco già in atto all’accesso alle interruzioni volontarie di gravidanza. Sarebbe difficile in Italia abrogare una legge dello stato come la legge 194 – ma il suo silente smantellamento e depotenziamento, pezzo per pezzo, prosegue indisturbato da anni.
Quali sono le principali attività che portate avanti come associazione per difendere questo diritto?
Come campagna Libera di Abortire ci siamo mosse da un appello indirizzato al Ministero della Salute e che in questi anni ha raccolto più di 40.000 sottoscrizioni e sostegno in tutta Italia. Abbiamo individuato proposte per:
Per sopperire poi alla grave mancanza di informazioni su come esercitare i propri diritti riproduttivi (a fronte anche dell’assenza di una pagina sul sito del ministero della salute dedicata alle interruzioni di gravidanza e che contenga tutte le informazioni utili) abbiamo realizzato e diffuso un vademecum informativo, “Libera di sapere, libera di abortire”, autoprodotto insieme alle attiviste.
Dove lo avete diffuso?
Ci siamo assuntə la responsabilità di informare per formare e così abbiamo diffuso fuori da scuole e università di tutta Italia oltre 10mila copie di quel vademecum, non solo spiegando come accedere ai servizi abortivi, ma anche preparando le donne e le persone con utero a cosa non è (più e mai stato) lecito subiscano nel loro percorso verso una interruzione volontaria di gravidanza. Il vademecum è stato in questi mesi reso disponibile in diverse lingue, così da garantire pieno accesso all’informazione a tutte le persone che si trovano in Italia e hanno bisogno di abortire.
Far sì che le donne e le persone con utero non siano formate (oltre che informate) rispetto alla gestione dei propri diritti riproduttivi è il principale scopo dei movimenti no-choice in Italia, che si inseriscono nelle pieghe della legge 194 per minare, giorno dopo giorno, la cittadinanza femminile. Ecco perché contro le loro evidenti violazioni dei diritti delle donne abbiamo adottato anche lo strumento del contenzioso strategico, intraprendendo azioni legali specifiche per attivare un cambiamento normativo e promuovere consapevolezza e dibattito attorno al tema dell’aborto.
A settembre si è tenuta la prima udienza al Tribunale di Roma dell’azione popolare che abbiamo presentato nel marzo 2021 contro AMA, ASL Roma 1 e l’azienda Ospedaliera San Giovanni per contestare le prassi indebite che hanno portato alla creazione del cimitero dei feti al Cimitero Flaminio di Roma. Una pratica, non isolata al caso romano, che prevede la sistemazione di una croce cattolica sopra la tomba del feto con il nome e cognome della persona che ha abortito senza che questa, come nel caso di Francesca Tolino, ne sappia nulla. La nostra vittoria chiarisce una volta per tutte che è solo la persona che ricorre all’aborto a dover essere informata per scegliere. E che solo lei può prendere una decisione.
Chi sono gli altri attori in campo per difenderlo?
Al nostro fianco ci sono tantissime realtà e attiviste transfemministe che ogni giorno combattono per un diritto all’aborto libero, sicuro ed informato. Non solo, quindi, i promotori della campagna (primi fra tutti Radicali italiani, UAAR, IVG Ho abortito e Sto Benissimo e tante federazioni dei Giovani Democratici), ma anche e soprattutto le più di 40 realtà aderenti al progetto e alla visione di società proposta dalla campagna “Libera di Abortire”. È impossibile poi ricordare chi rappresenta un importante presidio territoriale di diritti e informazione come Non una di Meno e progetti di mappatura dell’obiezione e di segnalazioni dal basso come Obiezione Respinta. È insieme a queste tante realtà che continuiamo a lavorare per poter fare la differenza.
Che futuro si intravede per il diritto all’aborto in Italia?
Le tante realtà che da anni si spendono per tutelare l’accesso alle interruzioni di gravidanza sembrano finalmente allineate verso un fine: garantire finalmente un vero diritto all’aborto che passi per l’autodeterminazione, la libertà e la responsabilità piena delle cittadine. Per ottenerlo tutte insieme è necessario collaborare e fare rete. Il primo passo della campagna “Libera di abortire” è stato, infatti, la creazione di una rete di associazioni, movimenti e partiti (Radicali italiani, UAAR, IVG Ho abortito e Sto Benissimo e tante federazioni dei Giovani Democratici) che in questi anni si sono battute per il diritto all’aborto in Italia.
Cosa bisogna fare per continuare a lottare?
Mentre il fronte antiabortista si dota di nuovi strumenti finanziari, retorici e di pressione politica, è essenziale dunque continuare a unire e fare rete. Una rete di resistenza ma anche di conoscenza, denuncia, proposta. Alle donne e alle persone con utero che abortiscono in Italia viene negata informazione, cura, libero e pieno spazio di autodeterminazione e scelta, ma anche prevenzione. A causa del numero altissimo di obiettorə, delle violenze fisiche e psicologiche, dell’assenza di informazioni chiare e scientificamente corrette e delle amministrazioni anti-abortiste. Un diritto all’aborto che sappia superare i limiti culturali e strutturali della legge 194 può e deve esistere e sarà il punto di arrivo del lavoro di questi anni.
Sai chi sceglie l’agenda dei temi di cui ci occupiamo? Non gli investitori pubblicitari, non un grande editore che ci mette i soldi. Lo decidono tutte le persone che ci leggono e ci sostengono.
Venezia è unica. Ma non è l’unica. E non è sola.
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