Dell’anarchico resta lo spirito

Quando muore un anarchico qualcosa resta vivo, come uno spirito di libertà.

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“Morte al Re! Viva Orsini, viva la Repubblica universale!”
Giovanni Passannante, anarchico

All’ora di pranzo del 10 maggio del 2007, a Savoia di Lucania in provincia di Potenza, si è tenuto un funerale segreto. La sindaca Rosina Ricciardi, un giornalista del quotidiano La Nuova del Sud, una sottosegretaria della Regione Basilicata e gli operatori del piccolo cimitero, tutti osservati dagli uomini della Digos, stavano partecipando alla tumulazione dei resti di Giovanni Passannante, un anarchico morto 97 anni prima nel manicomio criminale di Montelupo Fiorentino.

Di questo anarchico, in realtà, non restava molto: fino a quella mattina il suo cranio e il suo cervello erano stati esposti al Museo criminologico di Roma, nel palazzo del Gonfalone, dove affezionati custode li hanno innaffiati ogni giorno, per quasi un secolo, con la formalina. Un grande movimento di opinione, iniziato da un comitato civico nel 1993, chiedeva di traslare i resti dell’anarchico da Roma al suo paese natale, per dargli degna sepoltura.

Quando muore un anarchico qualcosa resta vivo. A Napoli forse lo chiamerebbero munaciello, uno spiritello di natura sia benefica che malefica, ma forse lo spirito di Passannante è qualcosa più simile a uno scandalo universale.

La mattina di quel 10 maggio i suoi resti furono messi dentro una cassa, chiusi nel baule di una Lancia Lybra blindata e trasferiti in gran segreto verso il cimitero di Salvia, scortati dalla Digos. Secondo un rapporto del Sisde, il giorno dopo sarebbe arrivato a Salvia nientepopodimenochè Francesco Caruso, all’epoca deputato di Rifondazione comunista con una vita passata nei centri sociali, con un gruppo di attivisti: per questo Digos, Carabinieri, Regione Basilicata e Ministero dei Beni Culturali, ai tempi il ministro era Francesco Rutelli, preoccupati per “la pista anarchica” avevano imposto il totale riserbo sull’operazione. Vito De Filippo, all’epoca presidente della Regione Basilicata, aveva annunciato la traslazione di Passannante indicando come data il giorno successivo, l’11 maggio. Una mossa distraente che, tuttavia, ha rianimato lo spirito dell’anarchico: “Lo state uccidendo un’altra volta” è stato l’urlo di Peppino Salvatore del Comitato pro-Salvia che, accompagnato da Lina Passannante, ultima discendente di Giovanni, era accorso al cimitero. In un paese di mille anime ci vuole poco perché le notizie girino.

Stavano tumulando Giovanni Passannante in segreto, di nascosto, apponendo sulla lapide una targhetta con la data di nascita errata. L’ennesimo schiaffo alla memoria di un uomo.

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Murale del tentato regicidio, Salvia di Lucania (PZ)

Si è rotto l'incantesimo di Casa Savoia

Il primo attentato nella storia della dinastia dei Savoia, tra le più antiche dinastie d’Europa (risalente alla fine del X secolo d.C.), è quello fallito di Giovanni Passannante, nel 1878. Non ci furono morti, re Umberto rimase leggermente ferito ad un braccio, ma per quel tentato regicidio Passannante, anarchico lucano, fu condannato prima a morte e poi graziato con l’ergastolo.

La storia dell’anarchico lucano è la storia di come da sempre il Potere, in Italia ma non solo, abbia grandi problemi con la Libertà. Originario di un piccolo paese della Basilicata che si chiamava Salvia, era soprannominato da tutti Cambio. Le testimonianze dell’epoca lo raccontano come di estrazione poverissima, nato nel 1849 in una famiglia numerosa e questuante sin da piccolo, autodidatta nel leggere e scrivere, arrestato la prima volta a 21 anni per sovversione. Attorno al 1870 Passannante si trasferì a Salerno, dove frequentò i circoli mazziniani sposando l’internazionalismo e attivandosi nella propaganda rivoluzionaria. Aprì un ristorante, la Trattoria del Popolo, chiusa nel 1877, animò le Società operaie e si trasferì a Napoli nel giugno 1878, l’anno in cui morì il primo re d’Italia, Vittorio Emanuele II.

Il figlio Umberto preparò un viaggio lungo tutto lo Stivale per mostrarsi al popolo italiano con la moglie e il figlio e a novembre la sua corte arrivò a Napoli. L’accoglienza fu sfarzosa, in distonia con le condizioni in cui viveva la maggior parte della popolazione napoletana: la città fu tirata a lucido e il Comune organizzò un ricevimento reale per centinaia di persone. Il 17 novembre 1878, a largo della Carriera Grande (oggi via Carriera Grande, alle spalle della stazione Garibaldi), il corteo reale attraversava ali di folla implorante. Quella mattina Giovanni Passannante aveva scambiato la sua giacca con un coltello, una piccola lama di 12 centimetri. Centinaia di donne supplicavano rivolte alla carrozza dei reali, che percorreva lentamente la piazza, quando all’improvviso un uomo sbucò dalla folla, salì sul predellino e con un piccolo coltello avvolto in uno straccio rosso tentò di colpire il Re d’Italia, fendendolo leggermente al braccio sinistro. Era Giovanni Passannante.

“Cairoli, salvi il re!” urlò la regina Margherita rivolta al primo ministro, che prese per i capelli Passannante ricevendo un fendente alla coscia destra. In pochi secondi i corazzieri furono addosso all’anarchico, lo colpirono alla testa con una sciabolata e lo arrestarono. La piazza era talmente caotica e affollata che in pochi si accorsero di ciò che stava succedendo e, vedendo le guardie portare via un uomo ferito, la maggior parte delle persone pensò che Passanannte fosse stato investito dalla carrozza reale.

Secondo l’autore e biografo Giuseppe Galzerano, Passannante non fu portato in ospedale ma in caserma, dove venne torturato: negò l’appartenenza a un’organizzazione politica, asserì di avere agito da solo e definì “il mio testamento” una lettera indirizzata a tal Giovannino, sequestratagli dalla polizia, in cui disponeva l’eredità dei suoi miseri beni. Quella sera il prefetto di Potenza inviò i carabinieri a Salvia, a casa Passannante, dove sequestrarono alcune riviste, mentre l’intera famiglia Passannante fu dichiarata pazza e alcuni di loro vennero internati in manicomi criminali.

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Illustrazione del tentato regicidio su un giornale dell'epoca

Viva la Repubblica Universale!

Il 18 novembre 1878, il giorno dopo il tentato regicidio, una bomba colpì un corteo monarchico a Firenze uccidendo due uomini e una bambina e ferendo decine di altre persone. Nei giorni successivi furono arrestati diversi internazionalisti, tra cui Cesare Batacchi: saranno tutti scarcerati per assenza di prove ma per alcuni, tipo Batacchi, ci vorranno anche vent’anni per uscire di galera. La notte tra il 18 e il 19 novembre fu assalita una caserma a Pesaro, al cui interno vi era una santabarbara con oltre 5.000 fucili, e il 20 novembre fu arrestato per questo un internazionalista. A Pisa, quella mattina, un’altra bomba esplose vicino ad una manifestazione monarchica ma non ci furono vittime né feriti. Nelle settimane seguenti la polizia represse manifestazioni a Bologna, Genova e Pesaro e arrestò decine di persone, accusate anche solo di aver denigrato il re, a Torino, Milano, Città di Castello, La Spezia e Bologna.

Un effetto, clamoroso, il tentato regicidio lo ottenne: l’11 dicembre 1878 il ministro Guido Baccelli presentò una mozione di fiducia al governo Cairoli, respinta dal Parlamento, costringendo il primo ministro a dimettersi dopo settimane di polemiche politiche, in cui la destra e parte della sinistra accusavano il governo di non riuscire a mantenere l’ordine pubblico.

Del tentato regicidio e di Giovanni Passannante parlava tutta l’Europa e se la maggior parte della stampa condannava, e spesso dileggiava, l’anarchico lucano, c’era anche un filone di opinione che mostrava solidarietà con lui e il suo gesto: il primo giornale fu lo svizzero L’Avant-Garde, di Neuchatel, chiuso dopo un articolo apologetico su Passannante, con il direttore Paul Brousse arrestato e poi espulso dalla Svizzera, seguito dai tedeschi del Kölnische Zeitung e dagli inglesi del Daily News. Giuseppe Garibaldi inviò, alla fine del novembre 1878, una lettera al giornale Capitale, scrivendo che l’attentato a Umberto I “non è altro che una conseguenza dei pessimi governi e questi sono i veri creatori dell’assassinio e del regicidio”.

Il 28 dicembre 1878 il quotidiano Roma pubblicò un manoscritto firmato Giovanni Passannante dal titolo “Ricordo per l’avvenire al popolo universale” in cui l’anarchico esponeva la sua visione di società universale egualitaria, il suo disprezzo per la monarchia e promuoveva l’idea dell’assistenza economica dello Stato verso le fasce più deboli della popolazione, citando donne incinte, anziani e ammalati. Il quotidiano, in un commento alla pubblicazione, derideva Passannante.

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Torre della Linguella, Isola d'Elba. Foto di Federico C. su Flickr

Lo scandalo

Il processo a Giovanni Passannante durò due giorni e il 7 marzo 1879 fu condannato a morte su richiesta del Procuratore generale Francesco La Francesca, che un anno prima aveva pubblicato un opuscolo sull’abolizione della pena capitale. L’avvocato di Passannante, Leopoldo Tarantini, fece ricorso in Cassazione contro il parere dell’anarchico, ma fu respinto. Passannante non voleva chiedere la grazia perché, spiegò durante il processo, questa non avrebbe portato alcun vantaggio alla sua causa mentre la morte l’avrebbe reso un “martire politico” e avrebbe giovato alla rivoluzione. Tuttavia il 29 marzo Umberto I concesse la grazia a quel “povero illuso” di Passannante, firmando un decreto di sua stessa iniziativa e disponendone il trasferimento a Portoferraio, sull’Isola d’Elba. Qui, Passannante visse i successivi 10 anni nella Torre della Linguella, in una cella piccola e umida posta sotto il livello del mare, attaccato ad una corta catena di 18 chili e in completo isolamento.

Nel 1885, la visita di un deputato, Agostino Bertani, e di una giornalista, Anna Maria Mozzoni, aprirono una finestra sulle condizioni di detenzione in cui versava l’anarchico ma ci vollero altri quattro anni, diverse denunce pubbliche sui giornali e interrogazioni parlamentari per smuovere le cose: fu certificata una perizia psichiatrica e Passannante fu dichiarato insano di mente e trasferito segretamente, nel 1889, al manicomio criminale di Montelupo Fiorentino, vicino Firenze, dove morì a 60 anni, nel 1910. Ad oggi è ancora impossibile consultare il suo fascicolo carcerario, custodito in un magazzino giudiziario Perugia.

La sua morte però non ne ha concluso il supplizio: secondo le teorie dell’antropologia criminale in voga all’epoca il suo corpo fu sottoposto ad autopsia e decapitato, così da poterne studiare i tratti somatici, e il suo cervello fu immerso in una soluzione di cloruro e zinco. Conservati nel manicomio di Montelupo, questi furono prima trasferiti alla Scuola superiore di polizia del carcere di Regina Coeli, a Roma, e poi al Museo criminologico, dove sono state mostrate al pubblico fino alla tumulazione, nel 2007.

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La traslazione dei resti di Giovanni Passannante, Comune di Savoia di Lucania (PZ)

Lo spirito

"Le spoglie di Giovanni Passannante sono finalmente state tumulate nel cimitero di Savoia di Lucania con la sobrietà e il rigore che è doveroso avvertire in circostanze come questa”.
Vito De Filippo, Presidente della Regione Basilicata

Il 19 novembre 1878 Giovanni Parrella, sindaco di Salvia, quando i Carabinieri inviati dal prefetto gli raccontarono dell’attentato a Umberto I da parte di un suo concittadino andò a prelevare del denaro contante dalle casse del Comune per affittare un abito adeguato, recarsi a Napoli e chiedere udienza al re.

A Umberto, il sindaco Parrella portò le sue scuse più umili e chiese perdono a nome della cittadinanza, ottenendolo. Meno magnanimi furono i consiglieri del re, che dissero a Parrella che per ottenere clemenza avrebbe dovuto cambiare il nome della città di origine dell’anarchico, rinominandola Savoia di Lucania. Il Comune cambiò toponimo con regio decreto il 3 luglio 1879.

Rosina Ricciardi, sindaca di Savoia di Lucania nell’anno della restituzione delle spoglie di Passannante, nel 1999 promise per la prima volta di occuparsi della traslazione del cranio e del cervello di Giovanni Passannante. Quell’anno fu firmato il nulla osta per la traslazione, che avverrà tuttavia soltanto 8 anni dopo: nel frattempo la stessa Ricciardi ha ricevuto in Comune diversi esponenti di casa Savoia, ha cambiato posizione più volte e ha proposto di tumulare solo il cervello e di esporre il cranio al castello del paese.

Dopo la tumulazione, nel maggio 2007, alcuni membri del Comitato pro-Salvia e personalità del mondo culturale, come l’attore lucano Ulderico Pesce che ha messo in scena Passannante a teatro ed ha anche girato un lungometraggio, annunciarono lo sciopero della fame per chiederne la riesumazione, le esequie in chiesa e una nuova tumulazione, cosa avvenuta il 2 giugno 2007 quando l’Unione Monarchica Italiana, in un comunicato stampa firmato dal segretario Sergio Boschiero, criticò l’iniziativa considerandola un “atto di riabilitazione di un mancato assassino”.

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