Il primo attentato nella storia della dinastia dei Savoia, tra le più antiche dinastie d’Europa (risalente alla fine del X secolo d.C.), è quello fallito di Giovanni Passannante, nel 1878. Non ci furono morti, re Umberto rimase leggermente ferito ad un braccio, ma per quel tentato regicidio Passannante, anarchico lucano, fu condannato prima a morte e poi graziato con l’ergastolo.
La storia dell’anarchico lucano è la storia di come da sempre il Potere, in Italia ma non solo, abbia grandi problemi con la Libertà. Originario di un piccolo paese della Basilicata che si chiamava Salvia, era soprannominato da tutti Cambio. Le testimonianze dell’epoca lo raccontano come di estrazione poverissima, nato nel 1849 in una famiglia numerosa e questuante sin da piccolo, autodidatta nel leggere e scrivere, arrestato la prima volta a 21 anni per sovversione. Attorno al 1870 Passannante si trasferì a Salerno, dove frequentò i circoli mazziniani sposando l’internazionalismo e attivandosi nella propaganda rivoluzionaria. Aprì un ristorante, la Trattoria del Popolo, chiusa nel 1877, animò le Società operaie e si trasferì a Napoli nel giugno 1878, l’anno in cui morì il primo re d’Italia, Vittorio Emanuele II.
Il figlio Umberto preparò un viaggio lungo tutto lo Stivale per mostrarsi al popolo italiano con la moglie e il figlio e a novembre la sua corte arrivò a Napoli. L’accoglienza fu sfarzosa, in distonia con le condizioni in cui viveva la maggior parte della popolazione napoletana: la città fu tirata a lucido e il Comune organizzò un ricevimento reale per centinaia di persone. Il 17 novembre 1878, a largo della Carriera Grande (oggi via Carriera Grande, alle spalle della stazione Garibaldi), il corteo reale attraversava ali di folla implorante. Quella mattina Giovanni Passannante aveva scambiato la sua giacca con un coltello, una piccola lama di 12 centimetri. Centinaia di donne supplicavano rivolte alla carrozza dei reali, che percorreva lentamente la piazza, quando all’improvviso un uomo sbucò dalla folla, salì sul predellino e con un piccolo coltello avvolto in uno straccio rosso tentò di colpire il Re d’Italia, fendendolo leggermente al braccio sinistro. Era Giovanni Passannante.
“Cairoli, salvi il re!” urlò la regina Margherita rivolta al primo ministro, che prese per i capelli Passannante ricevendo un fendente alla coscia destra. In pochi secondi i corazzieri furono addosso all’anarchico, lo colpirono alla testa con una sciabolata e lo arrestarono. La piazza era talmente caotica e affollata che in pochi si accorsero di ciò che stava succedendo e, vedendo le guardie portare via un uomo ferito, la maggior parte delle persone pensò che Passanannte fosse stato investito dalla carrozza reale.
Secondo l’autore e biografo Giuseppe Galzerano, Passannante non fu portato in ospedale ma in caserma, dove venne torturato: negò l’appartenenza a un’organizzazione politica, asserì di avere agito da solo e definì “il mio testamento” una lettera indirizzata a tal Giovannino, sequestratagli dalla polizia, in cui disponeva l’eredità dei suoi miseri beni. Quella sera il prefetto di Potenza inviò i carabinieri a Salvia, a casa Passannante, dove sequestrarono alcune riviste, mentre l’intera famiglia Passannante fu dichiarata pazza e alcuni di loro vennero internati in manicomi criminali.