Il problema dell’istantismo

Istantismo fino a pochi anni fa era una parola che non esisteva, ecco perché l’abbiamo inventata

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.

Istantismo è una parola che non esiste. Ce la siamo inventata Andrea Coccia ed io in una conversazione volta proprio a creare un termine che identificasse quel che è scritto nella definizione Io puntavo a presentismo (che pure è già stata usata). Istantismo l’ha tirata fuori lui. Questa è la definizione:

Istantismo [i-stàn-tì-ṣmo] s.m.

  • 1 Il commento istantaneo di un evento o di un fatto – vero o falso –, che viene elaborato, prodotto, reso pubblico in un brevissimo lasso di tempo rispetto all’accadimento, spesso spacciato per analisi
  • 2 estens. Polemichetta [cfr. Francesco Farabegoli]
  • La conversazione diffusa che avviene come conseguenza a un accadimento – vero o falso – che interessa gruppi di persone, la cosiddetta opinione pubblica
  • La tendenza a commentare il presente come se un determinato fenomeno non si fosse “mai verificato prima”

Al di là della paternità, è una parola di cui abbiamo molto bisogno. È la natura umana che ci porta a commentare tutto quel che ci accade intorno.

Il fatto è che il commento istantaneo è previsto dal modo in cui siamo fatti: il nostro cervello ha bisogno di scorciatoie per consentirci di non pensare in ogni momento a quel che dobbiamo fare per vivere, muoverci, comunicare, esistere. Quando queste scorciatoie vengono applicate al pensiero, però, si generano storture.

Anche se si hanno solide basi dalle quali commentare un accadimento, il commento istantaneo non può in alcun modo prevedere una fase di orientamento e di decisione che sarebbero molto importanti (cfr. il famoso OODA loop). Si osserva, si agisce.

L’azione, per come la intendiamo in quella bolla di persone che leggono o commentano cose sui social, di solito è un post su Facebook o simili.

I motivi per cui lo si faccia sono molteplici. Risiedono nella nostra voglia di relazionarci, nella vanità, nel meccanismo di soddisfazione generato dal consenso che otteniamo sulle piattaforme sociali – a volte persino dalla battaglia verbale che si genera quando c’è dissenso –, dalle dopamine, dalla frenesia, dalla “tossicità” del meccanismo delle notifiche.

Sia chiaro: non è colpa di Facebook. Non è neanche colpa della tecnologia. Sono scelte che facciamo, liberamente e consapevolmente.

Ma, proprio per questo, credo sia il momento di farsi una serie di domande, che riguardano in particolare gli addetti ai lavori della comunicazione e che poi ricascano, per forza di cose, su chi lavora in altri ambiti e su chi quei contenuti li “consuma”.

Che valore aggiunto generiamo per noi stessi e per chi ci legge, quando commentiamo l’istante nell’istante?
I contenuti che produciamo sono pensati per durare o sono destinati a svanire velocemente?
Quando conversiamo scrivendo è proprio come quando conversiamo di persona?
Il fatto che esistano social che ti consentono di produrre contenuti effimeri vuole forse dire che i contenuti da produrre debbano essere tutti effimeri?
L’istante ci consente di fare un’analisi sensata?

Su Slow News (e su Wolf) cerchiamo di lavorare a contenuti pensati e fatti per durare nel tempo e per creare valore aggiunto per i lettori, sempre nel tempo. L’idea di fondo di questo lavoro è che il contenuto richieda tempo e riflessione, ricerche, analisi, per essere prodotto. E che, siccome richiede tempo per essere consumato, debba ripagare in qualche modo chi ne fruisce con un valore aggiunto, possibilmente informativo.

È un modello radicalmente alternativo a quello della produzione di contenuti fatti per inserirsi nella conversazione istantanea e che mi sembrano produrre poco valore e consumare tanto tempo.Non solo. Questo tipo di contenuto richiede una griglia interpretativa della realtà resiliente, che però non prescinda mai dal passato, dallo studio di quel che è già avvenuto.

Non solo. Qualsiasi contenuto consuma il tempo delle persone – nel produrlo e anche nel “consumarlo”.
E il tempo delle persone – così come la nostra attenzione – è una quantità finita. Non è scalabile.

Abbandoniamo progressivamente l’istantismo. Non serve proprio a niente. Consuma il tempo delle persone inutilmente, lo erode, non crea valore sul lungo periodo, crea un sacco di rumore di fondo, con effetti spesso nulli se non addirittura deleteri.

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