Eppure, questa sarebbe una grande occasione: mettere insieme le forze per costruire qualcosa che non c’è o che c’è ma è dispersa in mille rivoli e decine di bei progetti che sopravvivono e galleggiano, anche facendo cose splendide.
Un giornale che non pensi a sé, al proprio editore, al profitto ad ogni costo, che non sia schiavo della propria linea editoriale o di tesi di partenza ma che si strutturi per essere sostenibile e che pensi alle persone che serve e a cui deve servire.
Per creare un ecosistema non tossico, per rispettare chi ci lavora e le persone che lo leggono, lo vedono, lo ascoltano, lo seguono.
Se fossi più giovane e meno disilluso, forse questo suonerebbe come un appello. Un appello a colleghe e colleghi che la pensano così per unire le forze, dissolvere le fatiche e gli stress, condividere i problemi e ripartire. Un appello a lettrici e lettori che potrebbero fare la loro parte e sostengano progetti del genere.
In un certo senso lo è, un appello. E da qualche parte, anche se la speranza è una trappola, spero che ci siano persone che vogliano accoglierlo per costruire insieme. In fondo, qui a Slow News ne abbiamo già trovate tante.