La difesa dell’informazione non si fa senza soldi
C’è uno specifico frammento del lavoro giornalistico che è particolarmente costoso: la responsabilità di ciò di cui si scrive.
Quelli di chi non ha voce, di chi ha meno, della cittadinanza tutta, delle persone.
L’8 aprile del 2024 l’inserto economico di la Repubblica, Affari&Finanza, avrebbe dovuto contenere un articolo firmato da Giovanni Pons che parlava dei rapporti economici fra Italia e Francia, fra cui anche quelli di Stellantis. L’articolo è stato sostituito, per volere del direttore del giornale Maurizio Molinari, da un altro pezzo a firma Walter Galbiati. Quest’ultimo è quello che è stato effettivamente pubblicato.
Gianni Barbacetto e Alberto Mazzocchi hanno ricostruito così l’essenza di questa sostituzione.
«Pons scriveva che “l’Italia e le aziende italiane sono state trattate negli ultimi vent’anni come terre da conquistare con le bandierine francesi”. Ricordava che Gianni Agnelli “spianò la strada alla conquista di Edison da parte del colosso francese statale Edf”. E poi chiudeva l’articolo così: “In conclusione si può dire che i francesi sono più bravi a muoversi uniti e a individuare le debolezze altrui, gli italiani sono specialisti nel farsi la guerra tra loro”.
Nell’inserto arrivato ieri in edicola questi brani erano spariti e l’articolo era firmato dal vicedirettore Walter Galbiati. Il titolo, “Affari ad alta tensione sull’asse Roma-Parigi”, è diventato “Affari ad alta tensione sul fronte Roma-Parigi”. E “le polemiche sul rapporto sbilanciato tra Italia e Francia” sono state trasformate in affari che “funzionano quando è il business a guidare”. È sopravvissuto alla censura il racconto dei tanti casi di affari Italia-Francia, da Stm a Tim, da Arcelor-Ilva a Essilor-Del Vecchio, e dello shopping in Italia di Bnp Paribas e Crédit Agricole».
Secondo Open l’articolo originale avrebbe trattato anche i rapporti fra Stellantis e il governo Meloni e alcune voci parlano anche di una prima edizione del giornale da 100mila copie mandata al macero per evitare che arrivasse in edicola, mentre il comunicato della redazione di Repubblica parla solo di stampa del giornale bloccata.
Il quotidiano la Repubblica appartenente al Gruppo Editoriale GEDI, a sua volta parte del gruppo Exor che controlla, fra l’altro, proprio la Stellantis (che appartiene in percentuali diverse a Exor, appunto, e poi Peugeot Invest, Bpifrance, Dongfeng Motor Corporation), in cui era confluita nel 2021 proprio la Fiat di Gianni Agnelli.
L’operazione ha suscitato una reazione da parte del comitato di redazione del quotidiano. Istituito nelle redazioni che hanno almeno dieci redattori, il comitato tutela i «diritti morali e materiali derivanti ai giornalisti» dal contratto di lavoro giornalistico e dalle norme di legge.
Questa reazione è sfociata una mozione di sfiducia al direttore (votata con 164 sì, 55 no, 35 astenuti, in forma anonima) e in uno sciopero di 24 ore delle firme degli articoli sul quotidiano.
Cosa succederà ora nel quotidiano? Probabilmente niente, perché la sfiducia non è vincolante.Però a margine si è sviluppata un’interessante polemica che ha a che vedere con l’essenza stessa del giornalismo.
Il Foglio è uscito con un editoriale firmato dalla redazione in cui si dice che «gli editori esistono e gli interessi pure. Un giornale che non difende interessi non vince grazie alla purezza ma perde per inconcludenza». «E chi lo nega, sorry, è fuori dalla realtà», dice l’occhiello del pezzo. La redazione di la Repubblica ha risposto: «Sul Foglio, quotidiano dalla forte impostazione per un libero mercato senza regole e che al contempo riceve importanti finanziamenti pubblici diretti, leggiamo un editoriale rigorosamente anonimo con una tesi fantasiosa: la redazione di un giornale con la storia e l’identità di Repubblica dovrebbe limitarsi a tutelare gli interessi del suo editore, abdicando così alla funzione per il quale i giornali esistono (informare i cittadini e l’opinione pubblica)».
E poi è arrivato un pezzo a firma Giuliano Ferrara, sempre sul Foglio, che finisce così: «non ha senso battersi contro chi rischia del suo per tenerti a galla e farti eventualmente prosperare. La cosa vale sia nel caso di un editore che produce automobili o altro sia nel caso di un editore che produce solo giornali. Anche nel secondo caso un editore “puro” sta nel gioco della politica, ha interessi e valori da difendere e promuovere, è un potere tra i poteri e non un romantico contropotere, e dalla nascita di una stampa libera o borghese o indipendente si sa che il succo della libertà sta nella possibilità sociale di avere più editori in conflitto liberale tra loro, non dalla deontologia farlocca del giornalista il cui unico padrone, bum, è il lettore».
Quella che per Ferrara è un’ideologia farlocca, qui è il faro.
Crediamo fortemente che un giornale debba rendere conto solamente a cittadine e cittadini.
E che debba difendere, prima di tutto, gli interessi degli sconfitti, dei depredati, di chi ha meno, di chi non ha voce, di chi è schiacciato.
Questo genera problemi di sostenibilità economica? Sì, non c’è dubbio.
Eppure, questa sarebbe una grande occasione: mettere insieme le forze per costruire qualcosa che non c’è o che c’è ma è dispersa in mille rivoli e decine di bei progetti che sopravvivono e galleggiano, anche facendo cose splendide.
Un giornale che non pensi a sé, al proprio editore, al profitto ad ogni costo, che non sia schiavo della propria linea editoriale o di tesi di partenza ma che si strutturi per essere sostenibile e che pensi alle persone che serve e a cui deve servire.
Per creare un ecosistema non tossico, per rispettare chi ci lavora e le persone che lo leggono, lo vedono, lo ascoltano, lo seguono.
Se fossi più giovane e meno disilluso, forse questo suonerebbe come un appello. Un appello a colleghe e colleghi che la pensano così per unire le forze, dissolvere le fatiche e gli stress, condividere i problemi e ripartire. Un appello a lettrici e lettori che potrebbero fare la loro parte e sostengano progetti del genere.
In un certo senso lo è, un appello. E da qualche parte, anche se la speranza è una trappola, spero che ci siano persone che vogliano accoglierlo per costruire insieme. In fondo, qui a Slow News ne abbiamo già trovate tante.
C’è uno specifico frammento del lavoro giornalistico che è particolarmente costoso: la responsabilità di ciò di cui si scrive.
La risposta veloce è: no, non ancora. Quella lunga è qui sotto.