Il lavoro va pagato. Sempre.
È uno dei pilastri di Slow News, ma anche di ogni stato di diritto: il lavoro non è passione. Il lavoro è lavoro.
“Il lavoro va pagato. Sempre”. Fa ridere doverlo ricordare in un mondo che in teoria fonda il suo ordine costituito sul capitalismo avanzato, eppure ci troviamo a doverlo fare di continuo.
Nel 2008 Giorgio Fontana — che 6 anni dopo vinse il Premio Campiello — raccontò una parabola molto interessante che merita di essere ricordata e che io personalmente cito e riuso ogni volta che mi capita di parlare di lavoro e di diritto al compenso.
Scriveva Fontana:
«Tutte le volte che sentirete parlare di “passione”, sappiate che stanno cercando di fregarvi. Il lavoro è lavoro, ed è questo il punto più grave di tutto il blabla del precariato è così via: si sta perdendo la dignità del lavoro. Mio nonno faceva il meccanico, ed era la sua grande passione: fare il meccanico lo divertiva. Un uomo fortunato. Ma non per questo non si faceva pagare.
Io credo che fra un meccanico, un venditore di libri e uno scrittore, per molti versi non ci sia alcuna differenza. Sono lavori. E il lavoro, per definizione, va pagato in termini onesti. Se vi sembra una banalità, be’, purtroppo non lo è più.»
La parola “lavoro” deriva dal latino “labor” che significa fatica. Questa parentela tra il lavoro e il sudore, il dolore, la sofferenza e la fatica resiste in alcune lingue romanze. In francese e spagnolo, per esempio la parola “lavoro” si dice rispettivamente “travail” e “trabajo”, che in italiano ci ricordano la parola “travaglio”, che usiamo per parlare del parto, che è per l’appunto dolore, fatica e sofferenza.
Al di là di questioni etimologiche, però, il lavoro non merita di restare legato a doppio filo al concetto di fatica. Perché questo abbraccio mortale può portare a pensare, come per la storia di Fontana, che se per te un’attività è passione, divertimento e piacere, allora ne consegue che non sia un lavoro e quindi che si possa anche non pagare.
Non è vero. E spetta a noi rivendicarlo. Perché il lavoro, non è fatica, è tempo. Tempo sottratto a se stessi e dedicato a qualcosa d’altro. E il tempo è l’unica ricchezza che abbiamo ed è una ricchezza che, sul mercato del lavoro, si valuta in soldi. Non in visibilità. Non in esperienza. In semplici soldi.