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La “messa a terra” del Piano Mattei
Torniamo a parlare di Piano Mattei e, questa volta, lo facciamo con qualche elemento in più. Era ora!
Attualmente, presso la III Commissione Esteri congiunta di Camera e Senato, è in lettura questo documento che ci aiuta ad avere un po’ il quadro più chiaro di cosa vorrebbe essere il Piano Mattei per l’Africa e, soprattutto, quanti soldi ci sono sopra, da dove arrivano e dove andranno a finire. Luglio 2024 è stato un mese illuminante sotto questo punto di vista: ci sono stati diversi eventi ufficiali in cui sono state snocciolate le prime cifre e i primi progetti del Piano Mattei ed è iniziato il lavoro delle Commissioni parlamentari che dovranno dare al Piano un corpo istituzionale.
“Come può il Piano Mattei essere ‘non predatorio’ se, nella sua cabina di regia, l’unico attore assente del sistema di cooperazione italiana (…) è la diaspora africana?” ha chiesto Mani Ndongbou Bertrand Honore, presidente del Coordinamento Italiano delle Diaspore per la Cooperazione Internazionale audito proprio dalla Commissione, cui ha esposto “delusione e rammarico”: la diaspora africana, che è attualmente il più grande investitore privato nel continente africano, non è in alcun modo coinvolta nel Piano Mattei. E questo dice molto, se non tutto, dello stesso Piano Mattei.
Un punto è stato un po’ chiarito, quello relativo ai soldi. Come ha ricordato il consigliere diplomatico della Presidente del Consiglio Meloni Fabrizio Saggio, 3 miliardi del Piano Mattei provengono dal Fondo per il clima, il cui primo contributo al Piano è un finanziamento di 75 milioni alla filiera Eni dei biocarburanti in Kenya. Biocarburanti il cui ruolo nella transizione energetica è ampiamente dibattuto nella comunità scientifica, che solleva diversi dubbi sulla reale “sostenibilità” di questi prodotti agricoli. Come dubbi ci sono sui progetti del Piano: oggi se vengono cambiate le persiane a casa del console onorario in un Paese africano si cita il “Piano Mattei”, sotto il quale cappello sono finiti progetti anche molto precedenti (ad esempio il cavo Elmed). Saggio ha ricordato i “due grandi blocchi, la cooperazione del MAECI e il Fondo per il clima” definiti “la base da cui iniziare” e dalla quale sono stati “creati nuovi strumenti finanziari che prima non esistevano”, ovvero due fondi per investimenti in progetti di partenariato pubblico-privato in collaborazione con la Banca Africana di Sviluppo, “uno di natura multilaterale, cui possono partecipare Paesi terzi, e uno di natura bilaterale. In aggiunta, al G7 è stato firmato con la Banca mondiale una dichiarazione di intenti per avviare iniziative sulla co-progettazione e il co-investimento nell’ambito del Piano Mattei e, infine, con Cassa depositi e prestiti sono stati creati due strumenti destinati al settore privato”.
Saggio ha infine ricordato Misura Africa di Simest, uno strumento di finanza agevolata da 200 miliardi presentato 48 ore prima della sua audizione. Quest’ultimo strumento sembra essere quello in effetti più concreto: i fondi sono già stati stanziati e sono pronti per essere erogati. Ho potuto personalmente parlare con l’amministratrice delegata di Simest, Regina Corradini d’Arienzo, la quale ha insistito in particolare sui progetti di formazione, che nel continente più giovane del mondo può rappresentare la vera rampa di lancio per un futuro di sviluppo.
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