Con chi firmiamo gli accordi in Libia?

I viaggi di Giorgia Meloni in nord Africa e la firma degli accordi tra Eni e Sonatrach in Algeria e tra Eni e Noc in Libia per le forniture di gas naturale sono descritte come un successo politico straordinario del governo italiano. Un successo che arriva dal lavoro di altri, di chi c’era prima, e che mostra una miope visione politica di quello che può (o dovrà, o potrebbe) essere il ruolo italiano nel Mediterraneo.

L’accordo, da 8 miliardi di dollari, tra la Compagnia nazionale petrolifera libica ed ENI era già stato annunciato dall’amministratore delegato della compagnia petrolifera libica Farhat Bengdara il 31 ottobre, quando il governo Meloni era in carica da appena una settimana. Questo accordo, che fa il paio con quello firmato in Algeria con Sonatrach, è solo una delle ricchissime eredità ricevute dai predecessori del governo guidato da Giorgia Meloni: è dai tempi di Gheddafi che l’Italia, in Libia, vive di rendita. Da quando Berlusconi invitò l’ex-dittatore libico a Roma, nel 2009, la politica italiana nei confronti della Libia si concentra sui guadagni politici a breve termine, in materia di energia e di migrazioni. Una linea politica portata avanti con coerenza da 9 governi diversi, di centrodestra, tecnici, di centrosinistra e grandi coalizioni pentastellate, e che ha sempre attirato forti critiche da parte di chi indica come prioritaria la tutela dei diritti umani e la pacificazione della Libia.

Ma non è l’unica criticità: è legittimo l’interlocutore con cui l’Italia ha firmato questi accordi? 

Poche settimane fa la Corte d’Appello di Tripoli ha stabilito infatti che un accordo di cooperazione energetica sugli idrocarburi firmato tra il Governo di Unità Nazionale libico e la Turchia il 3 ottobre scorso va sospeso: secondo la sentenza il governo libico non ha giurisdizione per firmare accordi di questo tipo. Tripoli ha detto che questa sentenza “non è da prendere sul serio” ma su questo l’Unione Europea sembra voler dare ragione alla Corte d’Appello libica, anche perché Bruxelles ha già posto il problema della sovranità delle acque greche violata proprio da quell’accordo tra Turchia e Libia. La direzione intrapresa da Roma con Tripoli rischia quindi di avere un doppio effetto: quello di mettersi in scia alla Turchia e di emergere così come un giocatore egoista e poco affidabile per l’Europa.

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