
I giganti industriali perdono soldi e gli Stati investono in armi, ma la soluzione è sempre la stessa: scegliere su cosa vogliamo investire per costruire un mondo sostenibile
A luglio 2013, negli USA la Authors Guild, in rappresentanza di oltre 8.000 autrici e autori che hanno firmato la petizione, ha chiesto alle aziende di smettere di usare le loro opere per addestrare le macchine di intelligenza artificiale generativa.
C’è un precedente: nel 2005 Google venne accusato di scansionare milioni di libri in violazione del copyright. Undici anni dopo, nel 2016, la corte suprema degli Stati Uniti aveva dichiarato che la scansione ad opera di Google rientrava nel cosiddetto fair use, e che Google Books «offre significativi benefici pubblici».
Lo scrittore Jonathan Franzen ha detto che l’azione è «un passo importante per promuovere i diritti di tutti gli americani i cui dati, parole e immagini vengono sfruttati, per immenso profitto, senza il loro consenso. In altre parole, praticamente tutti gli americani di età superiore ai sei anni.»
Ora proviamo a de-americanizzarci per un momento. Scopriremo che, in un mondo dove la tecnologia ci consentirà di automatizzare molti lavori noiosi per concentrarci sulle cose che l’umanità può fare meglio, la frase di Franzen e l’intera azione della Authors Guild è – purtroppo inconsapevolmente – un perfetto spot per il reddito di base universale.
Qui tutte le obiezioni all’idea del RdBU.
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L’immagine è creata con un’intelligenza artificiale generativa e fa parte di una serie di Alberto Puliafito che si intitola replAIced – lavori che non esistono più fatti da robot che non esistevano ancora


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Un attacco contro il paternalismo, una malattia molto italiana che caratterizza il discorso dei giornali, della politica, della scuola e della famiglia.

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