La colla dei social network
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In questi giorni è successa una cosa, una cosa interessante. Un gruppo di musicologi e un gruppo di informatici hanno unito le forze per mettere a punto un’intelligenza artificiale che terminasse la Decima Sinfonia di Beethoven – iniziata e mai finita a causa della salute in rapido declino del musicista.
Ci sono voluti circa due anni di lavoro. E certamente: non sarà mai “come” se l’avesse composta del tutto Beethoven. Il processo creativo, lo sappiamo, è fatto anche di ripensamenti, cancellazioni e cambiamenti all’ultimo secondo, che per quanto un computer possa provarci difficilmente sono prevedibili “del tutto”.
La cosa interessante, però, è che l’intelligenza artificiale ha “imparato” il processo creativo di Beethoven nel corso del tempo, arrivando a completare ben due movimenti della sinfonia incompiuta, lunghi poco meno di mezz’ora l’uno.
Ahmed Elgammal, direttore del laboratorio di Intelligenza Artificiale e Arte presso la Rutgers University e tra i principali fautori del progetto, ha commentato che questo tipo di AI potrà essere utilizzato non solo per avere un assaggio di ciò che poteva essere e non è stato – tentando di fargli terminare le opere incompiute degli artisti, come in questo caso -, ma anche come validissimo aiuto per gli artisti stessi, che interpellando l’AI potrebbero ricevere suggestioni e idee alle quali “da soli” non avrebbero pensato.
E, soprattutto, questa notizia ci dà una mano a comprendere quelle che sono, possono e potrebbero essere in futuro le integrazioni tra AI e arte.
Sono ormai anni, infatti, che vengono fatti studi ed esperimenti sull’utilizzo delle Intelligenze Artificiali in campo artistico.
Nel 2018 il quadro Edmond de Belamy è stato battuto all’asta per 432.500 dollari. Nulla di nuovo, apparentemente: se non che si tratta della prima opera d’arte interamente creata da un’intelligenza artificiale che sia stata venduta all’asta. L’AI alla base del lavoro è detta Generative Adversarial Networks (o GAN), Rete Generativa Avversaria, creata dall’informatico Ian Goodfellow.
In soldoni, l’AI è formata da “una coppia di reti neurali, addestrate a competere l’una contro l’altra”.
La prima produce i dati sulla base di ulteriori dati inseriti come modello, o come “base”, ed è detta generator. La seconda deve distinguere i dati “modello” da quelli creati artificialmente, ed è chiamata discriminator. Le due, man mano che i dati vengono creati e scartati, diventano sempre più “brave”, l’una a creare i “falsi”, e l’altra a “riconoscerli”.
La GAN viene utilizzata, ad esempio, per generare quelle fotografie di persone che non esistono di cui ogni tanto si torna a parlare. L’input sono fotografie di persone reali, ovviamente, e i risultati sono sorprendentemente realistici.
Per creare il quadro di Edmond – il cui cognome, peraltro, è un omaggio a Goodfellow, o Bel-ami tradotto un po’ scherzosamente e maccheronicamente in francese -, il collettivo francese Obvious ha inserito in input circa 15.000 ritratti (reali) realizzati tra XIV e XX secolo, in modo che le due reti “imparassero” gli elementi ricorrenti degli stessi e potessero restituire un output finale tutto sommato credibile.
Il ritratto del nostro Edmond, appunto.
Un’ulteriore prova della crasi che può esistere tra arte-artista e intelligenza artificiale è data da A Woman with Technology, dell’artista Ziyang Wu. Durante un arco di tre mesi, Wu ha registrato le proprie attività su Internet, e selezionato una serie di parole chiave riguardanti i suoi interessi – K-pop, 5G, intelligenza artificiale, post verità e altre. Dunque, ha archiviato non solo video e contenuti che ha guardato, ma anche quelli che gli venivano proposti dagli algoritmi delle piattaforme su cui loggava.
L’idea era (anche) dimostrare in che modo, a seconda di cosa ci piace e cosa non ci piace, le piattaforme creino delle filter bubbles andando ad eliminare tutto ciò che non ci aggrada, mostrandoci, invece, solo contenuti che potremmo gradire.
Dopo la prima fase di raccolta del materiale, Wu ha creato un video su tre “canali”, composto da clip e frasi nelle quali comparivano le keywords da lui cercate.
Infine, ha dato in pasto sottotitoli e didascalie del video così ottenuto ad un’intelligenza artificiale, che sulla base di esse ha creato uno script e generato un video animato dagli elementi surreali, folli e totalmente “imprevedibili”.
Vale poi la pena citare Jarvis, che non è un’intelligenza artificiale “artista”, bensì “curatrice”: sarà lei, infatti, ad esaminare i database delle gallerie d’arte e delle università per scegliere quali artisti verranno esposti alla Biennale di Bucarest del 2022.
L’uso delle intelligenze artificiali per produrre, o comunque all’interno del campo artistico ha sempre destato entusiasmi da un lato e forti scetticismi dall’altro.
Già è complesso definire con esattezza cosa sia l’arte – fior fior di intellettuali e studiosi ci hanno provato e ci provano, e certo non pretendiamo di dare noi, qui, una risposta -; nel momento in cui un quadro o un’installazione vengono prodotti da un algoritmo si apre tutta una serie di interrogativi.
Se, di fatto, è la macchina a produrre l’opera, l’artista chi è? La macchina stessa? Chi ha programmato l’algoritmo? Chi ha dato in pasto i dati all’algoritmo?
E allo stesso tempo, c’è chi si chiede se le macchine, probabilmente non domani, ma in un futuro non particolarmente lontano, non possano arrivare a rimpiazzare l’artista.
La risposta, almeno a quest’ultimo interrogativo, sembra essere piuttosto chiara e quasi unanime: no. Algoritmi ed intelligenze artificiali vengono comunque create dalla mano dell’uomo, e, come accennato in apertura, difficilmente potranno mai replicare del tutto quelle che sono le (complicate) fasi del processo creativo umano – con tutte le debolezze e contraddizioni che lo rendono bello, vario e interessante.
Come sostenuto da Elgammal, le intelligenze artificiali non sono e difficilmente saranno mai una minaccia per gli artisti. Al contrario, sono validi strumenti per poter esplorare creatività e arte in direzioni nuove, e spesso imprevedibili.
Certo, la (nuova) Decima Sinfonia non l’ha totalmente composta Beethoven.
Ma grazie all’AI possiamo, se non altro, avere un assaggio di quello che sarebbe potuto essere, ma non è stato.
E questo è oggettivamente incredibile.
11 marzo 2023
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