Che te ne fai di tutto quel traffico?

Slow News non ha fretta. È un oggetto giornalistico con una sua filosofia ben precisa, a crescita lenta. Non avrebbe senso pensarlo diversamente, anche perché è un lavoro residuale per tutti noi. Slow News è anche un oggetto che ci piace raccontare nella sua lenta evoluzione. Ad affiancare la newsletter che accompagna le persone che […]

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.
Slow News non ha fretta. È un oggetto giornalistico con una sua filosofia ben precisa, a crescita lenta. Non avrebbe senso pensarlo diversamente, anche perché è un lavoro residuale per tutti noi. Slow News è anche un oggetto che ci piace raccontare nella sua lenta evoluzione.

Ad affiancare la newsletter che accompagna le persone che scelgono di provarci da ormai trentacinque settimane e mezza, stiamo cominciando a sviluppare altro. Tanto per cominciare, stiamo animando il blog di Slow News, questo posto qui, fino a questo momento utilizzato – salvo casi sporadici – per dare conto dell’ultimo numero della newsletter uscito. Lo scopo? Semplice.

Aggregare quella comunità di persone, di lettrici e lettori che non abbiamo ancora raggiunto e che piano piano vorremmo si radunassero in questo spazio, dove è bandita l’ossessione per l’attualità e dove ci si preoccupa di fare quel che riguarda l’informazione e il giornalismo in maniera lenta, sostenibile non soltanto in un senso economico – è chiaro che anche quello economico sia un fine importante, per noi che facciamo questo mestiere – ma prima di tutto in un senso più ampio, nel senso «di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri». [Treccani]. E capire se, attraverso questa aggregazione, si genera anche un meccanismo virtuoso che ci consente di aumentare il numero delle persone che scelgono di provare anche il servizio in abbonamento. E poi valutare il tasso di conversione. Che ci aspettiamo comunque coerente con il modello “lento”.

Ora, è successa, nei giorni scorsi, una cosa piuttosto curiosa a uno dei pezzi scritti proprio allo scopo di alimentare la converszione, di catalizzare qui interventi e attenzioni di chi si occupa di giornalismo in Italia oggi. È successo che da queste parti è arrivato un numero notevole di persone per un sito come questo, fino a qualche giorno fa usato esclusivamente come vetrina del progetto Slow News.

Il pezzo era questo, a proposito dell’intervista che il Corriere della Sera ha fatto a Varoufakis.

Com’è andata? Lo abbiamo condiviso sui nostri profili social: è obiettivamente un pezzo più da blogger che da giornalista.

Osservando il traffico grazie al monitoraggio in real time di Google Analytics abbiamo visto che le cose cominciavano a smuoversi, ovviamente, e che il pezzo attirava lettori. Poi, nella notte del sabato e la domenica mattina, è stato condiviso da alcuni dei nostri amici-su-Facebook. Quindi è arrivato ad alcune persone che potremmo definire – ci perdonino – influencer. Che evidentemente lo hanno apprezzato e poi condiviso a loro volta, sempre su Facebook. Il risultato? Quello che si chiama un picco di traffico, praticamente tutto di origine social.

Sì ma di che numeri stiamo parlando? Niente di stratosferico, per carità. Ecco il grafico delle visite generate da quel solo post con relativa gallery.

Dal 19 al 22, come potete vedere, il pezzo ha generato 16.417 visite. Con la gallery annessa, 21.517 visualizzazioni di pagine uniche. Tutto sommato non è male, per non essere un articolo di Scanzi sui piedi femminili.

E su Facebook e i social? Puoi vederlo tu stesso sul post: al momento, oltre 3mila like, 132 tweet, 6 g+, 21 condivisioni su Linkedin.

Qualche notizia a proposito della geolocalizzazione delle visite? Piano piano sono arrivate visite da tutta Italia, quindi dall’estero, da Parigi a Barcellona, da New York a Auckland, da Sidney a Dallas al Sudamerica. In altre parole, il post è diventato virale. Ovviamente, essendo in italiano, la maggior parte delle visite proveniva dall’Italia.

Quali condizioni lo hanno fatto diventare virale? È difficile a dirsi, sinceramente. Di solito, una delle condizioni necessarie è la tempestività. O l’aver fatto una cosa per primi. E invece, questo post arrivava quattro giorni dopo i fatti. E altre realtà – il Post, per esempio. O Giornalettismo – ne avevano già parlato. Forse è il fatto che le persone che ci seguono su Facebook fanno parte di una nicchia di lettori interessati a questo tipo di argomenti? Forse è diventato virale perché c’erano “le figure” (la gallery di immagini)? Forse lo è diventato perché è stato letto e apprezzato e condiviso dalle “persone giuste”? Chissà. Si può dire, veramente? O è solo una casualità?

Sì, ma lo puoi replicare? Ecco, appunto. Questa è una domanda che uno non vorrebbe mai sentirsi fare. Ma capisco che possa venire in mente, è chiaro che venga in mente, se si deve mettere in piedi un sistema sostenibile. La risposta è: forse sì. Troppo poco? Il fatto è che la domanda è mal posta. E bisognerebbe vederla in un altro modo. Ovvero: questa è una delle tante possibilità che si possono sfruttare per portare lettori su un sito? In quel caso la risposta sarebbe un sì convinto. La strategia migliore è diversificare. Per esempio. Questo pezzo sul MacGuffin e il giornalismo, di Andrea Coccia, non è virale quanto Varoufakis per la sua stessa natura, corretto? Bene. Però ha fatto, fino al momento in cui ho caricato l’immagine che vedi qua sotto immagine (le 14.08 di oggi, 23 settembre 2015), oltre millequattrocento accessi. Con un tempo di permanenza di 4’54”. Anche l’origine di questo traffico è puramente social. E il tempo di permanenza lascia pensare che il pezzo sia stato letto (e lo sia ancora adesso, mentre scrivo)

Qualche altro dato? Per esempio, il tempo di permanenza? A differenza del traffico che spesso proviene da Facebook attraverso azioni di clickbait, il tempo medio di permanenza sulla pagina del post è piuttosto alti, pari a 2’21”. Non è un pezzo “long form”, quindi non è affatto male. Senza contare che poi ti porta a “sfogliare” la gallery. Cosa che aumenta le pagine viste e diminuisce il tempo di permanenza sulla singola pagina, vista la struttura molto semplice delle gallery sul nostro sito.

E le interazioni con il resto del sito? Valgano due esempi per tutti, affinché io non debba mettermi a fare un’analisi dei flussi. 4 persone al giorno, mediamente, leggono la pagina Come abbonarsi a Slow News. Il giorno del picco di traffico, quella pagina è stata vista da 71 persone. Allo stesso modo, mediamente 4 persone al giorno si leggono Chi siamo.

E quanti si sono abbonati? Chiaramente non possiamo dire con certezza che si siano abbonati in virtù di quel post. Ma quel giorno abbiamo registrato 3 abbonati nuovi in più (due mensili, uno annuale), e nei due giorni successivi altri 4. La media è sensibilmente più alta degli altri giorni per così dire normali.

Non ti sembra un tasso di conversione basso? Lo è? Dici? Probabilmente sì, dipende da quali obiettivi ci si pone. Di sicuro passare da tanto traffico a qualche abbonato richiede una serie di micro-conversioni (per esempio: leggere chi siamo, vedere la demo, leggere come ci si abbona). Ma il punto è che non è proprio possibile convertire direttamente un picco di traffico in qualcos’altro (come un abbonamento a una newsletter) in maniera facile e immediata.

L’unica conversione immediata possibile è quella del modello banner pubblicitari: traffico –> “impression” –> $. Quindi, Adsense o pubblicità cosiddetta “premium” o altri strumenti analoghi.A proposito, i banner.

E quindi, cosa te ne fai di “tutto” quel traffico? Cosa succede quando arriva un picco? Bella domanda, vero? Vale per numeri piccoli ma vale anche per numeri grandi, naturalmente. Quanti utenti tornano? Quanti potranno essere computati nel tasso di conversione finale? Dipende, chiaramente, dall’obiettivo e dalla definizione del famigerato modello di business. È assolutamente normale che un sito d’informazione generalista punti a fare molto traffico. Ma se tutti dicono che questo modello è “morto” – leggasi: destinato a morire nei prossimi anni, probabilmente – allora è chiaro che se si prova a fare qualcosa di nuovo, si debba fare qualcosa di diverso. E anche i “grandi”, ecco, dovrebbero diversificare.

Ci sono cose che non hanno prezzo. Grazie al pezzo su Varoufakis, molte persone ci hanno conosciuti. Grazie ai pezzi come quello di Andrea – e probabilmente come questo, ma chissà? Magari è più ostico e meno interessante – “tastiamo” il gusto delle persone per certi tipi di lettura.

[Nota: nel pezzo che abbiamo proposto su Varoufakis, linkiamo la traduzione dell’intervista ripubblicata da Varoufakis, perché era già stata fatta, bene, da altri. E dunque, vale il principio di Jeff Jarvis, Cover what you do best, link the rest (22 febbraio 2007, Buzzmachine). È uno dei principi ispiratori della newsletter di Slow News, a pensarci bene]

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