In Cina starebbero prendendo piede delle intelligenze artificiali che consentirebbero di “parlare” con i cari defunti, e che, secondo alcuni, aiuterebbero a superare il lutto e i momenti di down, fisiologici, a seguito della perdita di una persona cara.
Si chiamano deathbot, dei chatbot creati con lo scopo di “imitare” persone defunte. Replicano le loro voci, possono ricreare le loro sembianze, possono inviare messaggi. Chiaramente, venendo “nutriti” da contenuti forniti da chi quel chatbot vuole usarlo. Fotografie, messaggi vocali o scritti “reali”, in modo che l’intelligenza artificiale possa rimaneggiarli per creare qualcosa di originale e credibile.
Come facilmente intuibile, psicologicamente può risultare estremamente complicato – a maggior ragione in un momento di fragilità come quello immediatamente successivo ad un lutto – porre la giusta distanza tra il reale e il virtuale in questo contesto. In particolare, in Cina vi sarebbero poche risorse pubbliche dedicate alla gestione del lutto, e il governo limiterebbe le pratiche religiose comunitarie.
Ma vengono sollevate anche delle questioni etiche. In primis, alla lunga che effetto ha tutto questo sulla psiche di una persona, già segnata dal lutto in sé?
E secondariamente: ci sono casi di persone che utilizzano questi chatbot per nascondere la morte di familiari a persone potenzialmente vulnerabili, come bambini o anziani. E infine, casi di utilizzo senza il consenso delle famiglie e dei parenti dei defunti.
Insomma, all’interno di una sfera così delicata, quanto la tecnologia può esserci d’aiuto, e quanto, invece, rischia di fare ancora più danni?