E addio alle subscription, più o meno

Molte aziende stanno abbandonando le hard subscription per modelli più flessibili basati sulla pubblicità.

Sembra che molte aziende, soprattutto le più piccole ma non solo, stiano lentamente abbandonando il modello delle hard subscription per passare a soluzioni più flessibili.
In pratica? Ti faccio pagare meno o addirittura nulla, ma in cambio ti becchi un po’ di pubblicità.

 

Un esempio lampante sono le piattaforme di streaming come Netflix o Disney+, che ora offrono abbonamenti molto economici a patto che tu accetti di guardare qualche annuncio.

Un altro esempio è Youtube, che ti fa passare come una scelta la possibilità di sottoscrivere l’abbonamento Premium, ma se non lo hai allora devi guardare gli annunci – che tuttavia in parte “pagano” anche il lavoro dei creator.

 

Stessa cosa sta succedendo nel mondo dell’editoria.

Diversi giornali stanno smantellando i loro paywall, ma in cambio chiedono di disattivare l’adblocker – gentilmente, s’intende.

 

Altri esempi? Substack sta testando un sistema per aiutare i creator a gestire campagne pubblicitarie, mentre il Chicago Sun-Times ha detto addio al paywall per puntare tutto su un modello di adesione volontaria, una sorta di membership.

 

Anche aziende come The Atlantic e Gannett hanno iniziato a ridurre i contenuti a pagamento per aumentare i ricavi pubblicitari.

Ma perché? Perché puntare tutto sugli abbonamenti richiede tempo e investimenti in contenuti premium che non tutti possono permettersi, soprattutto ora che il mercato pubblicitario è in crisi e la non disponibilità ad abbonarsi all’ennesimo servizio, tra i lettori, è sempre più evidente.

 

Ovviamente non è un problema solo dell’editoria: abbiamo già citato le piattaforme video. Ma sono coinvolte anche quelle audio. Spotify, ad esempio, sta togliendo i paywall da alcuni podcast per monetizzarli con la pubblicità.

 

Insomma, il trend sembra essere chiaro: o paghi qualcosa, o guardi la pubblicità.

Semplice, no?

 

21 marzo 2024

Fonte: Axios

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