Così muore Internet, così muoiono le piattaforme

15 aprile 2024

Le grandi piattaforme, ne parliamo ormai da mesi, stanno attraversando un periodo di enshittification: interazioni e contenuti di qualità sempre più bassa. L’esperienza del singolo peggiora, i feed altrettanto, la gente se ne va. E a volte, l’impressione è che restino solo dei bot che conversano tra loro.
Forse stiamo assistendo alla morte delle une e alla nascita di qualcosa di nuovo.

Questa percezione non è isolata. La cosiddetta Dead Internet Theory sostiene che una parte significativa di ciò che oggi incontriamo online non sia generata da esseri umani, ma da bot e algoritmi progettati per manipolare, distrarre e, in ultima analisi, influenzare il controllo sulle masse. La teoria, divenuta popolare nel 2021 grazie a un post su un forum di esoterismo, affermerebbe che il “vecchio” Internet sia “morto” intorno al 2016-2017, rimpiazzato da un ecosistema artificiale di interazioni automatizzate e contenuti calibrati per servire interessi aziendali (delle grandi e grandissime aziende, in particolare) o governativi.

 

I sostenitori di questa teoria portano alcune prove a supporto della stessa, alcune delle quali verificabili senza neanche troppa difficoltà.

 

Un rapporto del 2016 di Imperva, ad esempio, evidenziava che oltre il 50% del traffico web proveniva da bot.

Allo stesso tempo, piattaforme come Facebook, Reddit e TikTok sono sempre più invase da contenuti generati da intelligenze artificiali, che spaziano da immagini virali create da algoritmi – Facebook in particolare in questo momento ne è pieno, basti pensare alle immagini di Gesù che apparirebbe nei posti più impensabili -, ai virtual influencer utilizzati nelle campagne di marketing.

 

Il giornalista Michael Grothaus ha descritto questo fenomeno come un’ondata di “slime AI”, alimentando l’idea che il web stia progressivamente perdendo autenticità.

 

Secondo la teoria, lo scopo di tutto questo non sarebbe soltanto economico, ma anche politico e sociale.

Sostituire contenuti “reali” con materiale artificiale permetterebbe di plasmare le opinioni pubbliche, soffocare il dissenso e mantenere il controllo capillare delle masse. Insomma, saremmo di fronte ad una sorta di gaslighting digitale su larga scala.

Naturalmente, non mancano le critiche. Esperti come Caroline Busta, fondatrice di New Models, definiscono la Dead Internet Theory come una sorta di “fantasia paranoide”. Questo, pur ammettendo che la qualità delle interazioni online sta indubbiamente peggiorando.

Una parte delle preoccupazioni non può essere ignorata. Con l’avvento di strumenti come ChatGPT e altre tecnologie simili, la capacità di creare contenuti apparentemente autentici ma completamente artificiali è ora accessibile a chiunque.

Se davvero stiamo assistendo alla “morte” di un Internet autentico, rimane aperta la domanda su cosa stia prendendo forma al suo posto. Più che una scomparsa, potremmo essere di fronte a una trasformazione radicale: un passaggio verso un web sempre più regolato, sempre più distante dalla visione originaria di una rete libera e collaborativa.

 

Forse non si tratta della fine di Internet, ma della sua evoluzione in qualcosa di profondamente diverso.

 

Quello che è evidente – o almeno, pare evidente – è che così muoiano le piattaforme. Oltre al web.

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