Nox e Dust, le intelligenze artificiali e la creatività
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Regolamentare l’uso delle intelligenze è importante. Ma se le regolamentiamo male non faremo che amplificare le disuguaglianze. Sta già accadendo.
Ragionando sulle intelligenze artificiali generative, Valerio Bassan scrive che «la forza delle Big Tech non risiede solo nella possibilità di investire più degli altri, ma anche nell’avere a propria disposizione un giacimento di dati senza eguali (pensiamo a YouTube, a Google Immagini, a Instagram o a Facebook) da cui un giorno attingeranno per allenare i propri modelli».
Ha ragione.
Aggiungerei addirittura che questo addestramento è già in atto, genera un divario all’accesso delle intelligenze artificiali enormi e amplifica le disuguaglianze. Noterai che praticamente tutte le cose di cui parliamo al futuro stanno già accadendo.
In effetti, prosegue Bassan, «gli equilibri di potere dell’internet di domani sono già molto simili a quelli di oggi».
La frontiera successiva delle intelligenze artificiali in termini di addestramento sarà un addestramento dei modelli di intelligenza artificiale a partire dall’osservazione naturale: il comportamento degli animali, delle piante, dei funghi, di sistemi naturali sui quali diventerà complicato avanzare istanze protettive. Di chi è il moto di uno stormo di uccelli? A chi appartiene la vita dei pesci? E la forza di gravità? E il modo in cui una persona scarica una cassa?
Forse, se la mettiamo così diventa più evidente il motivo per cui quelle persone che insistono – come me – sul tema dell’open access rispetto alle idee, alla cultura, alla creazione non sono nemici dei creativi o della privacy, ma sono, in realtà, amici della crescita dell’umanità.
Diciamo, per ipotesi, che si riesca davvero a mettere delle limitazioni, delle regole al modo in cui i large language model vengano addestrati o in cui possono generare output.
Quello che accadrà è facilmente ipotizzabile.
Se queste regole riguarderanno i contenuti per l’addestramento (i testi, i video, le immagini, la musica, ma anche il modo in cui cammino, il modo in cui digiti sulla tastiera, fai una moka, carichi e scarichi un peso), nel mondo capitalistico le grandi aziende continueranno a godere del loro vantaggio competitivo.
Saranno capaci di chiudere accordi economici per assicurarsi il meglio della produzione contenutistica dell’umanità e avere, dunque, modelli più performanti. Ho usato il futuro ma, appunto, sta già succedendo. OpenAi paga alcuni editori e lo stesso fa Google attraverso la Google News Initiative. Facebook fa accordi con Substack. E via dicendo.
Se queste regole riguarderanno gli output delle intelligenze artificiali (idem come sopra), si genereranno persone che avranno accesso a servizi di serie A e altre che avranno accesso a servizi di serie B. In realtà accade già adesso: prendiamo le limitazioni imposte per programmazione ad alto livello a ChatGPT – puoi averne un assaggio in questo file, leak da Reddit – non sono superabili da chi usa il modello pagando un abbonamento semplice. Ma se hai i soldi per pagare un team di sviluppatori o le competenze per far da te, allora tutto cambia e si può accedere alle funzionalità della macchina ad alto livello.
Non solo. Ciascuno di noi possiede il proprio giacimento personale. Un controllo completo dei nostri dati, per esempio, può darci molti superpoteri nelle cose che facciamo: penso a tutte le idee che si possono estrarre dalle mie mail, dai miei documenti lasciati in bozza per esempio. O anche da tutti i testi che ho scritto. Non vedo l’ora di poter dire a una macchina di trovarmi le idee incompiute, le potenzialità. E questo può avere applicazioni di vario genere, non solo nel mondo di chi lavora con la creatività.
Insomma: detto che è molto importante regolare l’uso delle intelligenze artificiali, è un bel problema se non ci rendiamo conto di quali regole ci faranno bene e di quali, invece, ci faranno malissimo.
Le immagini che illustrano il pezzo sono create da Alberto Puliafito a partire da una sua foto e con l’ausilio di strumenti di intelligenza artificiale generativa.
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