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Come stiamo usando le tecnologie per un lavoro sul 2 agosto 1980
Non è una novità: durante i periodi di conflitto aumenta la disinformazione, e se aumenta la disinformazione anche la moderazione sulle piattaforme si fa più dura.
Non è una novità: durante i periodi di conflitto aumenta la disinformazione, e se aumenta la disinformazione anche la moderazione sulle piattaforme si fa più dura.
Non valutiamo i casi per cui, per un motivo o per l’altro, le piattaforme “spingono” i contenuti di una fazione o di un’altra.
Aumento della disinformazione, dicevamo: la gente vuole informarsi e c’è chi, per profitto o per spingere una certa ideologia, inizia a spargere contenuti disinformativi o fake news. La gente condivide, commenta, e la girandola della disinformazione gira sempre più forte.
Entra in gioco la moderazione da parte della piattaforme, quindi. Ma a moderare, quando non sono degli algoritmi (ancora peggio) ci sono delle persone umane. Entra in gioco la soggettività, si rischia di commettere errori.
Si rischia, insomma, che alcuni contenuti vengano censurati – anche ingiustamente – per un errore umano a monte.
Bene, quali sono le possibili alternative?
Spoiler: anzitutto, iniziare a “punire” seriamente quei contenuti sensazionalistici che generano tante interazioni potrebbe essere un primo passo. Ridurre la spinta all’interazione per questi contenuti potrebbe limitare l’incentivo per chi li crea solo per visibilità o guadagni rapidi, scoraggiando la diffusione virale di fake news.
Allo stesso tempo, potrebbe essere d’aiuto “spingere” quegli account che promuovono contenuti positivi e verificati.
Più facile a dirsi che a farsi, indubbiamente, soprattutto perché sono le piattaforme stesse, col loro design, a incoraggiare spesso la condivisione di contenuti controversi, in nome dell’engagement.
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