La settimana lavorativa corta è una possibile risposta alla disparità di genere?

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Si parla molto di settimana lavorativa di quattro giorni, a parità di orario. Secondo diversi studi una settimana lavorativa corta migliorerebbe, nel breve e nel lungo periodo, salute e produttività dei dipendenti: gli esperimenti condotti in diversi paesi (Nuova Zelanda, Regno Unito, Islanda per citarne alcuni), hanno avuto ottimi risultati. Ma quelli individuali non sono gli unici vantaggi della “settimana corta”: ci si chiede, infatti, se questa rivoluzione dell’orario di lavoro non possa essere anche uno stimolo per favorire l’uguaglianza di genere sul posto di lavoro.

A parlarne è Zemorda Khelifi, vicepresidente della città metropolitana francese di Lione, i cui dipendenti pubblici, a partire da settembre, potranno aderire volontariamente alla settimana lavorativa di quattro giorni. Khelifi è anche membro del partito ecologista Europe Ecologie les Verts.

La vicepresidente Khelifi spiega che nella municipalità di Lione l’80% del personale impiegato a part-time è composta da donne, la cui scelta spesso è dettata dal volere, o dovere qualora non possano permettersi nido, babysitter o non possano contare sull’aiuto dei nonni, passare più tempo con i figli. È in questa fase che si fa più evidente il cosiddetto gender pay gap: passare ad una settimana lavorativa breve consentirebbe loro di lavorare a tempo pieno, e stipendio pieno, ma con tre giorni di pausa. Sta ai singoli, e soprattutto alle singole, valutare pro e contro in relazione alla propria situazione personale.

Chiaramente, aggiunge Khelifi, si tratta di un esperimento su base volontaria dettato dalla prospettiva di rendere più attraenti i posti di lavoro nel settore pubblico. Sebbene le prospettive siano incoraggianti, non è possibile prevederne gli effetti sin da ora: ne riparliamo tra sei mesi.

Francesca Menta
Francesca Menta
10 mesi fa

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Ultimo aggiornamento un giorno fa
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