La copertura negativa e stereotipata delle questioni che riguardano il continente africano costa all’Africa 4,2 miliardi di dollari l’anno.
Sbatti il mostro in prima pagina: pubblicare o no le chat?
Le abbiamo viste riportate e rimbalzate di continuo in questi giorni, e Arianna Ciccone, su Valigia Blu, si pone un interrogativo tutt’altro che banale: occorre, è una “buona pratica” pubblicare le chat degli uomini accusati dello stupro di gruppo avvenuto a Palermo, così come sta avvenendo su tutte le principali testate italiane?
No, non serve a niente, se non ad alimentare quel sensazionalismo di cui gran parte della stampa italiana si nutre e alimenta.
Il modo, spiega Ciccone, in cui chat e screenshot sono stati riportati più o meno ovunque è stato irresponsabile, privo di contesto, privo anche di riferimenti a tutti quei servizi che possono essere d’aiuto alle donne che si trovano o si sono trovate nella stessa situazione. Sono prive di un’analisi su tutte quelle dinamiche sociali, psicologiche e culturali in cui un atto del genere trova terreno fertile.
“Di fondo il giornalismo italiano, come sistema ripeto, non è in grado di gestire questi casi nel modo responsabile che richiedono, e non lo è stato nemmeno questa volta, sottovalutando il trauma che le sopravvissute a un stupro potrebbero rivivere, il rischio emulazione, il rischio di consolidare stereotipi trascurando il linguaggio e i termini che si usano, il rischio di normalizzare la violenza.
[…] Non credo che ci aiuterà a farci carico come società di quello che è successo. Anche perché il rischio ulteriore è deresponsabilizzarci collettivamente: “Sono delle bestie”, “Non tutti gli uomini sono così” – frase che non vorremo davvero più sentire – “Sono una eccezione, non sono la normalità”.
Sempre Valigia Blu, tramite Marco Nurra, aveva stilato un elenco di buone pratiche e pratiche da evitare per parlare di violenza sulle donne.
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