
A Roma attaccano la politica della mobilità del Comune come “ideologica”, ma non c’è nulla di più anti ideologico e fattuale del fatto che le auto sono il traffico e che per vivere meglio in città dobbiamo usarle il meno possibile
Guardavo una serie documentario prodotta, fra l’altro, da Darren Aronofsky – suo l’indimenticabile Requiem for a dream – e condotta da Will Smith. Si intitola One strange rock e racconta la storia del pianeta Terra usando come punto di vista, fra l’altro, quello di 8 uomini e donne che hanno una sola cosa in comune: hanno vissuto per un po’ nello spazio. Se perdoniamo alla scrittura un bel po’ di machismo statunitense, è un buon prodotto da guardare con minori interessati alla storia del pianeta. E anche per adulti curiosi.
Ma c’è una cosa che non sono proprio riuscito a perdonare: mentre si parla delle stagioni e di come la loro alternanza – come tutta la vita così come la conosciamo – sia frutto di una serie di casualità e catastrofi, la voce di una delle astronaute intervistate dice questa cosa qui.
Dice: «La giornata tipo: svegliarsi, fare colazione, lavorare 8 ore, cenare. Giorno dopo giorno. Questo ciclo è nel nostro DNA».
Ecco. No, proprio no. Lavorare 8 ore non è nel nostro DNA. Questa non è scienza, non è documentario. Questa è pura ideologia.


A Roma attaccano la politica della mobilità del Comune come “ideologica”, ma non c’è nulla di più anti ideologico e fattuale del fatto che le auto sono il traffico e che per vivere meglio in città dobbiamo usarle il meno possibile

La cosa che resta di oggi è una cosa tutto sommato “leggera”, anche se si tratta di venti minuti abbondanti di colpi pesantissimi, giocati il 5 luglio del 1980 tra due icone della storia del tennis sul Centre Court di Wimbledon. Da una parte c’era Bjorn Borg, 24 anni, svedese, glaciale e impeccabile, dall’altra John […]

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