
Finché non ci uniremo tutte e tutti in una sola, grande lotta, le dinamiche malsane del mondo in cui viviamo non verranno intaccate.
In Italia si muore di sciopero della fame, nel silenzio tipico che da sempre aleggia sulle carceri, da detenuti, con il mondo che lo scoprirà quasi un mese dopo.
È quello che è successo a due detenuti nel carcere di Augusta, in Sicilia.
Il primo si chiamava Liborio Davide Zerba, aveva 45 anni ed era originario di Gela (TP): è morto carcerato in ospedale nella notte tra il 25 e il 26 aprile, ricoverato per le conseguenze dello sciopero della fame che aveva intrapreso 41 giorni prima. Protestava contro la sua condanna, dicendosi innocente (secondo Il Post la condanna sarebbe terminata nel 2029, secondo La Notizia era condannato all’ergastolo).
Il secondo si chiamava Victor Pereshchako, era cittadino della Federazione russa. Condannato all’ergastolo (come confermato dal Garante dei detenuti Mauro Palma), è morto in ospedale il 9 maggio, al termine di uno sciopero della fame lungo 60 giorni. Dal 2018 chiedeva di essere estradato in Russia per scontare lì la sua pena.
Dall’inizio dell’anno, secondo i dati dell’associazione Antigone, i detenuti morti in carcere sono 54, dei quali ben 21 i suicidi. Nei due casi che citiamo, il Garante dei detenuti sottolinea “la necessità della completa informazione che deve fluire dagli Istituti penitenziari all’Amministrazione regionale e centrale”; in questi due casi secondo il Garante è venuta a mancare “quella trasparenza comunicativa che, oltre a essere doverosa per la collettività, può anche aiutare a trovare soluzioni in situazioni difficili perché non si giunga a tali inaccettabili esiti”.
Finché non ci uniremo tutte e tutti in una sola, grande lotta, le dinamiche malsane del mondo in cui viviamo non verranno intaccate.
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