La cosa che resta di oggi è un articolo uscito ieri su Jacobin, firmato da Silvia Gola e Mattia Cavani, redattori e attivisti di Acta, intitolato Sfruttamento editoriale, il personale e il politico. Parla della precarietà del lavoro culturale prendendo spunto da uno sfogo dello scrittore Jonathan Bazzi di qualche tempo fa, ma mette al centro un punto chiave sia per capire il mondo in cui viviamo, sia per agire per cambiarlo: «per fare davvero un passo avanti bisogna immaginare il conflitto. E azioni collettive».
Il punto è sempre la costruzione di un Noi, necessario punto di partenza per lottare insieme e cambiare la realtà. E il Noi prevede il superamento dell’Io, l’ombelicale lamentarsi della propria situazione personale senza mai riuscire a incontrarsi con il lamentarsi degli altri. Senza mai riuscire a cambiare le cose.
Scrivono Gola e Cavani: «È dal conflitto che nasce il cambiamento, ed è il conflitto che manca nel dibattito, e ancora di più il conflitto collettivo. Fuori dai social c’è chi prova a fare il suo pezzetto e a scontrarsi con lo stato delle cose: ma anche qui, battaglie, pur meritorie, come ad esempio quelle di singole autrici e autori che si rifiutano di fare presentazioni non retribuite, dimostrano l’inefficacia dell’approccio individuale a un problema sistemico. Se infatti non si riesce a portare avanti tali azioni tutti e tutte insieme, diventano inefficaci, se non dannose, in primo luogo per chi le porta avanti e si trova così nella posizione di essere più facilmente «scaricabile» dal sistema».
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