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Gli stereotipi costano un sacco di soldi
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Gli stereotipi che i media cavalcano, specialmente qui in Occidente, per raccontare le vicende che succedono nel continente africano costano un sacco di soldi all’Africa. Dicono 4,5 miliardi di dollari l’anno, anche se ancora non ho capito bene come si calcola questa cifra.
Sicuramente, il giornalismo italiano, europeo, occidentale (sì, quello fatto a forma di maschio-alfa-bianco-boomer-catto-etero-cisgender) manifesta delle gravi lacune nel suo racconto del continente africano, lacune che sono storiche, sono culturali e sono ideologiche. Ma che, anche, sono inaccettabili nel 2024. Uno studio realizzato da Africa Practice, una società di consulenza strategica, e da Africa No Filter, una lobby di difesa, intitolato “Il costo degli stereotipi mediatici per l’Africa”, sostiene che la “copertura negativa e stereotipata” delle questioni che riguardano il continente africano costa alle economie del continente circa 4,2 miliardi di dollari all’anno. Lo studio prende ad esempio i recenti processi elettorali in Kenya, Nigeria, Sudafrica ed Egitto e sulla copertura di questi eventi da parte dei media globali. La ragione è molto semplice: “I Paesi africani ricevono maggiore attenzione da parte dei media durante le elezioni, ma con un’attenzione sproporzionata a questioni negative come la violenza e i brogli elettorali”, si legge nello studio.
Confrontando la copertura mediatica di quei paesi africani con altri Paesi (Malesia, Danimarca e Thailandia, nazioni con profili di rischio simili) i ricercatori hanno notato come la narrativa dei media sulle tornate elettorali africane sia stata più negativa rispetto a quella data al gruppo di controllo: le narrazioni negative dominano la copertura delle elezioni africane, con l’88% degli articoli occidentali sul Kenya durante il periodo elettorale citati come negativi, rispetto a solo il 48% per la Malesia. Inoltre, il cosiddetto sentiment dei media può influenzare i grandi prestatori internazionali (il Fondo Monetario, la Banca Mondiale, le grandi banche d’interesse, etc) che quindi applicano ai Paesi africani tassi di interesse sui prestiti fino al 10%.
Questo ci pone davanti ad un prisma di problemi: c’è l’aspetto che riguarda i bias cognitivi di chi, da questo lato del Mediterraneo, scrive di Africa, c’è sicuramente l’aspetto economico e reputazionale ma, nel 2024, un altro aspetto del problema sale prepontentemente di livello: l’educazione e l’addestramento delle AI, che rischiano di assorbire e riprodurre all’infinito, con effetti devastanti, i bias degli autori, dei produttori di contenuti da cui le AI attingono e di chi addestra ed utilizza le stesse AI.
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