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«Una questione chiave è il ruolo che il “merito” debba avere nella società. Il principio del merito era molto presente nel documento dei valori del Pd del 2008, l’ultimo disponibile quando decisi di candidarmi. Manca invece in quello approvato a gennaio 2023 e nella mozione Schlein per le primarie.»
Scrive così, Cottarelli, nella sua lettera al direttore di Repubblica con cui annuncia le dimissioni da Senatore. Lo fa, peraltro, riconoscendo correttamente di essere stato eletto senza alcuna scelta da parte degli elettori (quindi, evidentemente, senza alcun particolare merito se non quello di essere stato inserito nelle liste elettorali del Porco dio: questo lo aggiungo io, a margine, come evidenza).
Questo merito continua a ritornare prepotente nella conversazione politica – e non solo – in Italia: si adatta perfettamente a quella storia che vorrebbe i meritevoli del nostro paese schiacciati e allontanati dai luoghi di potere.
Ma i quale merito parliamo? Chi lo misura, questo merito? Chi lo certifica? In che modo? E come, il merito, si può per esempio parametrare rispetto alle condizioni di partenza?
Giova ricordare che meritocrazia è un termine inventato da un sociologo, Michael Young, che ha scritto un romanzo distopico, L’avvento della meritocrazia. Giova anche ricordare che nel libro di Young la meritocrazia – un sistema di governo che regola la posizione delle persone nella società in base a quoziente intellettivo e attitudine al lavoro – si traduce in una società classista, di casta, «in cui la grande maggioranza è umiliata ancora più sottilmente».


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