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In Europa abbiamo un problema con l’agire secondo stato di diritto. Formalmente tutti i Paesi membri dell’Unione Europea sono stati di diritto, anzi sono quegli Stati nazionali in cui la cosiddetta “rule of law” è la meglio e più sviluppata al mondo. Di questo dovremmo essere contenti: nasciamo e viviamo nella parte più libera di mondo, la parte in cui i nostri doveri sono ben delineati ma sono anche molto ben bilanciati dai nostri diritti. Ma la libertà, anche in uno stato di diritto ha bisogno di cura, manutenzione e attivismo.
In Italia, come in Europa, è oggi un momento difficile per la salute dello stato di diritto. Questa cosa è evidente da noi, dove lo “stato d’emergenza” è la forma che lo Stato si è dato da decenni su un numero sempre crescente di materie: dalla sicurezza nazionale alla decretazione d’urgenza, dall’emergenza per qualsiasi cosa fino alle vere emergenze, democratiche, sociali e politiche, che inevitabilmente vanno in secondo piano. Lo dimostra il caso Cospito, che da mesi costringe un’intero sistema penale e giudiziario a guardarsi allo specchio e valutare le storture del diritto intrinseche in pratiche come il regime di 41-bis o l’ergastolo ostativo, misure emergenziali divenute pratica quotidiana di uno Stato che viola le proprie stesse regole.
Quelle stesse regole che anche in Europa non ci si fa problemi a violare, quando l’occasione è ghiotta per sollevare polveroni: la scarcerazione senza condizioni, dopo quasi due mesi di custodia cautelare, di Niccolò Figà-Talamanca, responsabile della Ong No Peace Without Justice, per “nuovi elementi” emersi dalle indagini e che lo scagionerebbero fa a cazzotti, ad esempio, con il rifiuto di appena una settimana prima del Tribunale di Bruxelles. Secondo la Corte europea dei Diritti dell’Uomo la custodia cautelare “deve soddisfare le esigenze dell’indagine penale e non dare sfogo ad una possibile sete di vendetta e punizione da parte dell’opinione pubblica”: siamo sicuri che la procura belga abbia rispettato, anzi stia rispettando, questo principio con l’indagine Qatargate?
A leggere la storia di quest’uomo viene da dire che, in Europa, la legge non è uguale per tutti. E che, sempre più spesso, sia la legge del consenso, della folla, ad avere la meglio sullo stato di diritto. La storia di un uomo che, il 27 gennaio, ha subito un violento tentativo di espulsione proprio dal Belgio, via Roma, verso la Tunisia, è emblematica: l’uomo, un tunisino, era rinchiuso da mesi nel centro migranti belga di Vottem, in Vallonia, provincia di Liegi. Il 27 gennaio, alle 7 del mattino, l’uomo è stato informato dell’imminente espulsione: è stato caricato a forza su un’auto diretta all’aeroporto e scortato fino al suo sedile del volo ITA Airways Bruxelles-Tunisi via Roma, in partenza alle 11:40.
AUDIO témoignage d’une expulsion violente depuis le centre fermé de #Vottem vers #Tunis à travers #Rome.
Il a résisté et les passagers se sont levés pour empêcher cette expulsion. Ensuite il a il a été transféré au centre fermé de #Merksplas.https://t.co/RUMaiMcLy5 pic.twitter.com/AOEvHoJyI8— GettingTheVoiceOut (@GettingVoice) February 5, 2023
L’uomo, che rifiutava l’espulsione senza il suo consenso, ha cominciato a protestare denunciando il tentativo di deportazione ed è stato solo grazie agli altri passeggeri, chi filmava e chi chiedeva spiegazioni, che le autorità belghe si sono convinte a desistere dal tentativo di espellerlo con la forza, facendolo scendere dall’aereo e trasferendolo al centro di Merksplas.
Qui puoi ascoltare l’audio di quanto accaduto.
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