Il tennis che triggera

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.

Ho giocato a tennis in un campetto che quando andava bene avevi qualche crepa, quando andava male l’erba che ci spuntava dentro. Mi sono tagliato i jeans e li sfilacciavo apposta per Agassi.

Avevo ricevuto in regalo il completo di Mancini (non il calciatore. E mi piaceva pure, Mancini. Ma perché, poi, quel completo lì? Boh).
Avevo una pesantissima crush per Gabriela Sabatini e penso di non essere stato l’unico, anche se all’epoca non la chiamavamo crush.
Giocavo contro il muro allo sfinimento (“Glie la faccio mangiare quella pallina di m*rda” fu il gentil richiamo di una vicina del condominio giustamente esasperata una domenica pomeriggio). Avevo una vecchia racchetta di mio padre, pesante come un macigno. La palla rimbalzava sull’asfalto in modi assurdi. Le mie ginocchia sul quell’asfalto ci sono finite un sacco di volte.

Quando ebbi la prima – e unica – vera racchetta di grafite mi sembrava volasse e mi sentivo fico che si chiamava Prince, la marca.
Vedevo tennis appena potevo. Ricordo le partite-fiume e quella bella sensazione che non finisse mai, ricordo quando iniziarono le discussioni perché era troppo poco televisivo, il tennis. Ricordo che in Val di Susa Telemontecarlo non si vedeva mortacci loro. Quando passò quasi tutto in pay fu un disastro, manco gli highlights esistevano. Poi sono finito a far giornalismo di televisione, anche, ma questa è un’altra storia.

Da Canè a Federer

Quanto amavo Paolo Canè e quanto mi faceva stare male, ma poi nel gioco del Commodore 64 con i tennisti che sembravano disegnati da un bambino che gioca all’impiccato, scrivevo Lendl anche se un po’ lo odiavo.
Ricordo Chang e quell’anno assurdo ai quarti al Roland Garros e la prima volta che ho realizzato che esistesse il servizio da sotto, e quanto ero felice per quella partita. Ricordo quanto mi stesse sulle b*lle BumBum Becker e pure il fatto che Galeazzi lo chiamasse così.
Giocavo ma non per andare da qualche parte: mi piaceva e basta, vedere e giocare. Anche perché non è che lo sport fosse proprio la mia strada.
Facevano tutti calcio. Il tennis, poi, era uno sport da ricchi, ma noi non eravamo mica ricchi e allora ecco il muro e il campetto con le crepe.

Come molte cose nella mia vita, poi ho ritrovato il tennis ovunque, spesso senza cercarlo.

L’ho trovato in Infinite Jest, per esempio.

Mi sono innamorato perduramente di Roger Federer. L’ho tifato sempre, soffrendo, perché il tennis ti fa stare male. Quell’ultima finale maledetta l’ho seguita in treno – di ritorno da un viaggio negli Stati Uniti fatto per giornalismo, dove il nostro accompagnatore si portava sempre dietro la racchetta perché giocava la Davis senior (non ci credevo, ho controllato) – col segnale che andava e veniva.

Quando ho letto Wallace su Federer e sull’esperienza religiosa mi sono commosso. Mi sono commosso anche quando Federer si è ritiraro. Poi, un giorno, ho riletto Wallace e volevo vedere il punto con cui si apre il saggio e mi sono messo a vedere quella partita su YiuTube e ho scoperto che Wallace se l’è inventato di sana pianta, quel punto, e ci ho su scritto un pezzo.

E sì, lo sapevo che i tennisti stavano diventando dei privilegiati milionari e che si stava rischiando l’effetto circo, ma comunque ho sempre trovato il tennis più credibile, affascinante, di molti altri sport.

Qualche anno fa ho ricominciato a giocare capendo molte più cose di prima, ho trovato un bravo maestro a cui voglio molto bene anche se non ci vediamo quasi più: grazie a lui ho capito anche perché mi piacciono il tennis e gli scacchi. Grazie a lui ho capito che non potevo continuare a giocare con la Prince anni novanta e ho scoperto che pure la racchetta nuova sembrava volare, ma tanto i miei limiti erano sempre quelli.

Il fiato non c’è più – mai stato, forse – ma mi diverto a giocare amatorialmente con un sacco di punti deboli – a partire dalla straordinaria arma del servizio, perfetta per l’avversario.

Purtroppo, suonati i 45, mi sembra sempre più difficile trovar qualcuno sul campo che non si senta stoca*zo e immotivatamente che giochi per migliorare e divertirsi. Di recente ho fatto un doppio con sconosciuti e il mio compagno nell’ordine ha: rubato due punti agli avversari, continuato a darmi ordini per tutta l’interminabile, noiosissima ora.

Comunque, più o meno nello stesso periodo in cui ho ricominciato a giocare per muovere un po’ il c*lo – era il 2018 – in qualche scorribanda alla ricerca di partite da vedere mi sono imbattuto in Sinner e un po’ di tempo dopo mi son messo di tigna a seguirlo ho profetizzato un futuro radioso facendomi perculare assai (non ha il fisico, non vincerà mai un 500, mai un 1000, mai uno slam) ma sticaz*i: chi aveva gli occhi per vedere aveva visto.

Da allora ne ho sentite e lette di tutti i colori (quanto mi manca Gianni Clerici), fra hater, appassionati storici, improvvisati, gente che pensa al tennis come al calcio, gente che confonde la propria esperienza personale con la verità assoluta, gente che cerca il gossip, che non legge i documenti, che guarda i riassunti e pensa di sapere tutto di una partita, che pensa che lo sport sia un videogame e pensa che il numero uno debba vincere sempre 6-0 6-0 6-0.

Oggi gioco anche con mio figlio, spero di non avergli trasmesso troppo di quel che penso del tennis e di non condizionarlo e che, se vorrà continuare a giocarci, lo faccia sempre con il sorriso.
Mi piace che mio figlio sia bambino mentre c’è un Sinner campione gentile, anche se so che i gesti gentili di Sinner fanno arrabbiare alcune tipologie di persone. Mi piace anche per mia figlia – che dice che il tennis l’annoia, ma i gesti gentili e i sorrisi li apprezza molto anche lei.

Ora, il bello è che, successo quel che è successo, Sinner triggera, il tennis triggera: cose da pazzi, quando triggera una cosa che prima ti sembrava di nicchia è sempre strano e allora magari taci – così faccio di solito – ma il tennis lo metti comunque ovunque, tipo dentro Piano, che è la rivista di Slow News.

Sinner triggera anche perché non è il personaggio che il sistema media (noi inclusi) vorrebbe.

Un po’ godo che sia così.

In fondo, siccome a me piacciono le persone che non sono personaggi, spero per lui che vinca tantissimo, che continui a rifiutare Sanremo per i prossimi vent’anni e che faccia un sacco di partite belle contro quell’altro fenomeno di Alcaraz, contro Medvedev che non sbadiglia più, pure contro Djokovic che sembra immortale, contro chi verrà.

C’è un’altra cosa da dire sul tennis e sulla storia di Sinner: è anche una storia di comunità, e le recenti vicissitudini di questo giocatore straordinario – prima di tutto proprio per com’è – lo confermano.
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