L’icona
A 25 anni dalla fine del conflitto in Bosnia-Erzegovina, un passaggio mancato è la causa principale del revisionismo.
Se localmente il sovranismo nazionale sublima nella violenza, globalmente questo dialoga e dibatte.
A livello locale il sovranismo sublima nella violenza ma questo ha una dimensione anche globale.
L’ideologia nazionalista e suprematista non ha una singola origine e non è la diretta conseguenza di qualcosa. Si è contaminata nel tempo diventando oggi un’ideologia globale e globalista. Il sovranismo è riuscito laddove hanno fallito tutti i movimenti plurali di sinistra, dai movimenti degli anni Settanta fino al cosiddetto “Popolo di Seattle” degli anni Novanta in poi: il sovranismo ha unito dividendo. Secondo diversi rapporti dell’Interpol oggi i nazionalisti serbi collaborano con i nazionalisti britannici, che a loro volta hanno sviluppato strategie di reclutamento grazie ai contatti intessuti con i sovranisti in Europa e negli Stati Uniti. Questa non è l’eccezione ma la regola: oggi il nazionalismo non si limita alla realtà locale ma applica le teorie inclusive più moderne per declinare lo scontro etnico più tradizionale.
Se localmente il sovranismo nazionale sublima nella violenza, globalmente questo dialoga e dibatte, crea reti basate sulle teorie del complotto, si appella alla legittima difesa, richiama alla “legalità” in difesa degli “interessi nazionali” e ogni tanto scivola con affermazioni sulla “purezza razziale” o etnica di qualcosa o qualcuno. E poi ci sono i corsi di formazione, i seminari di addestramento militare e paramilitare, le rassegne culturali di cinema, letteratura, arte. La strage di Christchurch non è un fatto locale e, per lo stesso motivo, non va trattata e analizzata come tale: è un fenomeno globale perché nata all’interno di reti globali, di modelli globali, di discussioni globali.
Nel febbraio 2017 Identitarian Movement lanciò da una sala conferenze del Parlamento Europeo di Strasburgo la campagna Defend Europe, che includeva anche il movimento Generazione Identitaria guidato da un giovanissimo ragazzo, Lorenzo Fiato, leader della campagna. L’attività di Defend Europe era promuovere e finanziare il pattugliamento della nave C-Star lungo la rotta del Mediterraneo Centrale, una missione rivelatasi fallimentare e perlopiù dimenticata dall’opinione pubblica ma che racconta tanto dei sovranisti transnazionali moderni. Uno degli attivisti più capaci nella raccolta fondi per l’autofinanziamento di Defend Europe è stato l’austriaco Martin Sellner. Nel giugno 2017 PayPal bloccò un conto online di Defend Europe (63.000€) per violazione della policy aziendale e la banca austriaca Steiermärkische Sparkasse ne chiuse un altro. Nel giro di sei mesi Defend Europe era di nuovo in pista: è bastato drenare i fondi in un conto Poste Italiane intestato a un privato, il vicepresidente di Generazione Identitaria Umberto Actis Perino. Generazione Identitaria ha un’autonarrazione rispettabile: i suoi vertici e i suoi attivisti sono tutti giovanissimi con la faccia pulita e i capelli ben rasati, pochissimi tatuaggi e vestiti come hipster ripuliti. Hanno frequentato le migliori scuole e le migliori università delle loro città conseguendo spesso ottimi risultati, parlano più lingue, sanno relazionarsi con persone di ogni età.
I volti del marketing sovranista.
Come sottolinea il professor Manes Weisskircher, ricercatore all’Università di Dresda, gli identitari «non sono in grado di influenzare la politica ma sicuramente riescono a imporre alcuni temi per loro importanti: l’immigrazione e l’integrazione, ad esempio, in particolare delle comunità musulmane». Questo è sicuramente un ottimo punto di partenza per comprendere le dinamiche comunicative dell’oggi: non si tratta di “inquinare i social” con account fasulli, che più che orientare l’elettorato ne rafforzano l’ideologia, si tratta di orientare il dibattito pubblico imponendo tematiche che gli avversari politici a sinistra rincorrono ma non controllano. Si tratta di imporre ai giornali il parlare del nulla sfruttando il modello di business delle rendite di posizione.
Martin Sellner ha avuto ed ha ancora diversi contatti con l’FPÖ, ex-alleato di governo [questa precisazione è stata inserita dopo la segnalazione di Paolo Riva] del primo ministro austriaco Sebastian Kurtz. Il suo collega italiano Lorenzo Fiato ha gravitato più volte attorno al partito Lega Nord, oggi Lega, partecipando a diverse conferenze e seminari come ospite e come relatore. Nessun mistero, nessun complotto e nessun reato: il 29 gennaio 2018 Sellner ha pubblicato una video-intervista proprio a Lorenzo Fiato il quale raccontava del suo incontro con Attilio Fontana, futuro governatore della Lombardia in quota Lega. Un mese dopo, il 21 febbraio 2018, Fiato partecipava come relatore a una conferenza al Parlamento Europeo a Bruxelles assieme a Gabriele Adinolfi (fondatore, con Roberto Fiore, di Terza Posizione nel 1977 e condannato per reati associativi dopo la strage di Bologna), l’ex-ufficiale della Marina Militare Gian Marco Concas e l’europarlamentare leghista Mario Borghezio. Sempre Fiato nel 2015 aveva partecipato, come rappresentante di Generazione Identitaria, al convegno “Verso una Lega nazionale”, durante il quale Matteo Salvini segnò la vera svolta leghista degli ultimi anni con la cancellazione della parola “Nord” dal simbolo del partito (ma mai dallo Statuto). Negli anni successivi ha organizzato diversi convegni e iniziative di autofinanziamento in collaborazione con i Giovani Padani. Un rapporto, quello tra Fiato e la Lega, che perdura ancora oggi.
Il 23 ottobre 2015 chi scrive partecipò a un convegno sull’immigrazione organizzato presso il distaccamento romano del Parlamento Europeo dal gruppo Lega Nord. Tra i relatori c’era Mario Borghezio e in sala, tra ambasciatori e curiosi, c’erano il fondatore di Avanguardia Nazionale Stefano Delle Chiaie e il presidente di Casapound Italia Gianluca Iannone. Anche in questo caso non sono un mistero i rapporti stretti tra Borghezio e l’ultradestra italiana e i dialoghi carpiti tra i due in quell’occasione, non riferibili per mancanza di registrazioni, ne sono solo una piccola dimostrazione.
Tra i leghisti meno visibili ma più attivi c’è il signor Dante Cattaneo, sindaco di Ceriano Laghetto (MB). Candidato alle europee nel 2014 e a quelle del 2019, Cattaneo a fine febbraio 2019 ha incontrato a Vienna, con alcuni esponenti del partito di governo austriaco, Milorad Dodik, Presidente della Repubblica serba in cerca da tempo di uno spazio nel gotha sovranista europeo. Secondo diverse testimonianze, mai smentite e riportate dai media bosniaci, queste tre anime politiche [l’asse Lega-FPÖ-SNSD] avrebbero trovato un accordo di cooperazione sui temi della crisi migratoria e della difesa dei “valori cristiani europei”.
Insomma, sempre nei Balcani bisogna tornare. Da quando è presidente Dodik promuove una linea politica fortemente revisionista dei crimini degli anni Novanta nella ex-Jugoslavia. Questo porta tre vantaggi: consenso politico, legittimazione della continuità storica della Republika Srpska, giustificazione di una futura possibile rivendicazione d’indipendenza.
Eccessivo? Forse. Ma nel 2016 Dodik ha intitolato la Casa dello studente di Pale a Radovan Karadžić, l’Icona che abbiamo descritto nella prima parte di questo reportage, condannato in primo grado dalla Corte Penale Internazionale pochi mesi prima. Oggi le istituzioni serbe descrivono personaggi quali Radovan Karadžić e Ratko Mladić come “padri della Patria” e promuovono nuove commissioni d’inchiesta su Srebrenica e Sarajevo annullando con voto parlamentare i rapporti precedenti del 2004, in cui si ammettevano con tutta evidenza le responsabilità serbo-bosniache sulla base dei documenti prodotti dal Tribunale internazionale per i crimini commessi in ex-Jugoslavia.
Srebrenica e Christchurch sono uniti da un sottilissimo filo invisibile. Un filo ideologico, non c’è dubbio, ma anche umano e storico-revisionista, fatto di contatti e reti di auto-aiuto. Quel filo passa per Utøya e Macerata, per Vienna e Quebec City, per Oak Creek, Charleston, Finsbury Park, Charlottesville e Pittsburgh. Sempre quel filo passa dal Sudafrica dei suprematisti bianchi che lamentano un inesistente genocidio contro di loro ma passa anche da via Bellerio a Milano, dove ha sede la Lega, e da via Napoleone III a Roma, dove c’è la sede di Casapound.
È esistita, nel recente passato, la formazione politica Sovranità che li ha portati tutti per un breve periodo sotto la stessa bandiera. Rapporti che non si sono mai interrotti: a proposito di fantomatici “genocidi dei bianchi”, l’eurodeputato leghista Danilo Oscar Lancini, eletto a Bruxelles nel 2019 e inizialmente subentrato a Salvini al seggio europeo in seguito all’elezione di quest’ultimo al Senato della Repubblica Italiana nel 2018, a fine marzo 2019 ha effettuato una missione ufficiale come europarlamentare in Sudafrica. Lo scopo della missione era acquisire conoscenza dei fatti incontrando diversi agricoltori e allevatori afrikaner.
Tra le persone recatesi con lui nel paese africano c’era il vicedirettore del Primato Nazionale e dirigente dell’associazione Casapound Italia Davide di Stefano, fratello minore di Simone, vicepresidente della stessa associazione politica. Tornati in Europa, non senza un paio di dirette Facebook dal Sudafrica, Lancini ha dichiarato che «i bianchi in Sudafrica sono visti dalla popolazione locale come gli usurpatori delle terre e si applica un vero e proprio apartheid al contrario» chiedendo formalmente alla Commissione Europea e al Parlamento Europeo di interrompere ogni flusso di denaro e ogni tipo di cooperazione con il Sudafrica. Si è letto nulla perché pochi sono stati i media a coprire la missione e le successive prese di posizione leghiste sul tema: tra questi pochi proprio il Primato Nazionale.
Fino al 1974 in Italia i privati non potevano aprire una stazione radio. Tre le eccezioni: Radio Sardegna, che ha trasmesso tra il 1943 e il 1952, Radio Ferrara, aperta e chiusa dopo pochi mesi nel 1946, e l’eccezione più importante, Radio Libera Partinico. Aperta il 25 marzo del 1970 per denunciare lo stato di abbandono delle terre colpite dal terremoto del Belice, fu chiusa meno di 24 ore dopo dai Carabinieri. Nel 1974 una sentenza della Corte Costituzionale concesse ai privati di trasmettere via cavo in ambito locale e molti pensarono che era il preludio alla liberalizzazione dell’etere. Nacque così Milano Centrale, da cui negli ultimi mesi dell’anno derivò Radio Popolare, ancora oggi punto di riferimento delle radio indipendenti italiane, e il 28 luglio 1976 una seconda sentenza della Corte liberalizzò l’intero comparto su scala locale aprendo la strada alle “radio libere”. Pochi mesi prima di quella sentenza, con tono di scommessa e di sfida marxista al potere, era nata Radio Varese, precisamente alle ore 11 del 28 febbraio 1976: gli Inti Illimani avviarono le trasmissioni sulla frequenza 100.700MHz al grido libertario di «io vedo, io sento, io parlo».
Tra i fondatori di Radio Varese vi era uno sconosciuto ragazzo lombardo di nome Roberto Maroni, in Radio noto come “l’anarchico Bobo”, che 14 anni dopo, il 16 ottobre 1990, assieme all’onorevole Giuseppe Leoni trattò l’acquisto di Radio Varese che divenne Radio Varese – Lega Lombarda e infine Radio Padania Libera il 17 maggio 1997. 100 milioni di lire il costo dell’emittente pagato dal partito politico. Maroni e Leoni, il 12 aprile 1982, erano stati tra i fondatori della Lega Lombarda e proprio Leoni, nel 1987, era divenuto deputato con quel partito. La marcia leghista iniziava a Varese: di Varese, anzi di Cassano Magnago, è originario Umberto Bossi e di Varese è anche “l’anarchico” Roberto Bobo Maroni. «Radio Varese non ha più la connotazione politica che aveva un tempo» spiegò all’epoca al quotidiano laRepubblica lo stesso Maroni: fondata da una cooperativa che rappresentava diverse anime della sinistra storica varesotta degli anni Settanta, era stata rilevata dal Partito Socialista Italiano a metà degli anni Ottanta e successivamente dalla catena di supermercati FinIper, che infine la cedette alla Lega. Leoni nel 1993 finì a processo nell’ambito di Tangentopoli per l’acquisto dell’emittente, i magistrati contestavano il finanziamento illecito alla Radio da parte del partito, ma il reato finì prescritto nel 2002. Sempre nel 1993 Umberto Bossi decise di traslocarne la sede a Milano, in via Bellerio.
Quando ci si stupisce, spesso con rabbia, di come chi ha sempre votato a sinistra possa oggi votare Lega ci si dimentica che la stessa Lega, con l’intero suo apparato di comunicazione, nasce proprio in seno alla sinistra “di lotta” degli anni Settanta e Ottanta. La nascita di Radio Padania ne è solo una dimostrazione. «Radio Varese era una radio di ultrasinistra, una radio che si definiva “l’unica radio libera dell’Occidente occupato”. La mia trasmissione non era vista di buon occhio, consisteva nel raccogliere la viva voce dei protagonisti. […] iniziai a fare un’altra trasmissione dal titolo La Lanterna Magica, in cui leggevo alla radio pagine tratte dal Diario del Che in Bolivia» raccontò Roberto Maroni nel 2016 durante un incontro con gli studenti all’Università dell’Insubria di Varese. Tra quegli studenti c’era il giovane Lorenzo Fiato di Generazione Identitaria, originario proprio di Varese.
«Il suo progetto per risolvere la crisi dei migranti è interessante e la Bosnia affronterà evidentemente dei problemi in questa area, dato che tutti siamo concordi nel ritenere che ci aspetta un’altra ondata di migranti. […] Questo non è un problema interno ma internazionale ed è per questo che cooperiamo con Lega» dichiarò il presidente Milorad Dodik nel febbraio 2019. Il suo partito, l’SNSD, alle elezioni di pochi mesi prima era stato sostenuto dal Front National francese di Marine Le Pen e dalla Lega di Matteo Salvini ma più inquietanti sono i legami con il partito Russia Unita di Vladimir Putin, certificati da nove incontri in due anni.
La sicurezza del Presidente Dodik è affidata Srbska Cast. Si tratta di una sorta di Hezbollah serba, un gruppo paramilitare ultranazionalista legato al partito SNSD e guidato da Bojan Stojkovic e Igor Bilbija, anime della marcia paramilitare di Banja Luka il 9 gennaio 2018, svoltasi alla presenza dei ministri di Interni e Difesa della Repubblica Serba.
Dalle marce paramilitari alle ronde in stazione o in spiaggia, che con l’arrivo dell’estate si ripeteranno a Ostia come altrove, il passo è molto breve. “Il cittadino” si sostituisce “allo Stato” al netto dell’inefficienza securitaria di quest’ultimo: declinata nel codice penale questa si chiama “legittima difesa” che in politica diventa il noto slogan “la difesa è sempre legittima”. Uno slogan forte, marketing puro di sicura efficacia, che in bocca a un Ministro dell’Interno stride con il suo ruolo di garante proprio della sicurezza pubblica. Un ruolo a cui si sceglie di abdicare una volta raggiunta la posizione apicale, derubricando a quel “cittadino” la garanzia della propria sicurezza.
Può sembrare un suicidio politico ma la strategia è chiara: è quella del sovranismo transnazionale.
A livello locale il sovranismo sublima nella violenza ma questo ha una dimensione anche globale.
A 25 anni dalla fine del conflitto in Bosnia-Erzegovina, un passaggio mancato è la causa principale del revisionismo.
Se localmente il sovranismo nazionale sublima nella violenza, globalmente questo dialoga e dibatte.
Se l’Unione vuole avere successo in questa nuova fase, deve rivolgersi verso il Sud. Per Amedeo Lepore, la politica di coesione può consentire di ancorare l’Europa alle profonde trasformazioni della globalizzazione, a condizione che sia in grado di sviluppare un metodo euro-mediterraneo.
Mentre il mercato del lavoro è alle prese con l’aumento delle dimissioni da un lato e il fenomeno del quiet quitting dall’altro, il benessere dei lavoratori diventa sempre più un tema centrale per le aziende.
Nel solco dei “neo-idealisti”, l’ex presidente estone riflette in questa intervista sulla necessità di continuare lo sforzo di coesione attorno al sostegno militare all’Ucraina. Secondo lei, le trasformazioni nate in mezzo alla prova della guerra dovrebbero permettere all’Unione di approfondire la sua integrazione interna e di rafforzare le relazioni con il suo vicinato a Sud.
Ridurre i divari e le disuguaglianze tra le regioni è un obiettivo fondamentale dell’integrazione europea. Destinata a favorire la convergenza e la crescita, la politica di coesione si sviluppa su un lungo periodo, ma è stata messa a dura prova dagli shock improvvisi della pandemia e della guerra in Ucraina. In 10 punti e attraverso 26 grafici e mappe, tracciamo un bilancio dello stato attuale della politica di coesione e del suo futuro, mentre gli Stati membri si preparano a un allargamento che potrebbe sconvolgerne le coordinate.