Il digital divide
Dall’inizio dell’emergenza sanitaria si parla ogni giorno di smart-working, internet e comunicazione a distanza.
La quarantena, un fine inverno desertico tra le case rotte, il lockdown e un poco di neve ai lati delle strade.
Campotosto, L’Aquila, terremotato tre volte dal 2009 al 2017, ha cambiato totalmente la sua identità.
All’inizio era la quarantena. Un fine inverno desertico tra le case rotte. Il lockdown e un poco di neve ai lati delle strade. Poi è arrivata l’estate, una delle più strane. Ora è finita anche quella, lasciando spazio al vento di montagna, prima che l’inverno si riprenda tutto.
Il racconto lento di Campotosto è stratificato. Il paese sembra qualcosa, poi qualcos’altro. Vive di fasi, come il mondo in pandemia. Come un’undicenne vive di pianti e di sorrisi, gesti coraggiosi e paure quotidiane.
Ludovica, la protagonista di Campotosto, è un’altra persona. Durante la quarantena era un fiume in piena, sognava regni autonomi e proteste in comune. Oggi è sfiancata da un’estate stracolma di amici, giochi, ore piccole. Parla molto di meno. D’altronde sei mesi per una bambina di 11 anni sono tanti.
Solo a fine estate entra impetuoso sulla scena un nuovo protagonista della nostra storia: il lago. 1400 ettari a più di 1.300 metri sul livello del mare, il lago di Campotosto è uno dei bacini artificiali più grandi in Europa, secondo in Italia solo al Lago Oroseo in Sardegna. Fu creato prima della seconda guerra mondiale, con lo scopo di generare energia idroelettrica. Oggi è di proprietà dell’Enel, che lo sfrutta vendendo anche all’estero l’energia che produce.
E proprio sui terreni della multinazionale, vicino la frazione di Mascioni, nel 2013 è nata la Chioscheria. Un piccolo chiosco, oggi una casa di legno su ruote, con alcuni tavolini e una vista strepitosa. A fondarla fu Gianluca Leoncini, che aveva appena 26 anni ed ebbe un bel coraggio. Ci vuole a quell’età, per aprire un punto di ristoro sulle rive di un lago non troppo frequentato dai turisti, che ghiaccia buona parte dell’inverno, creando spettacoli magnifici ma al tempo stesso anche un po’ di malinconica desolazione.
A Campotosto ci eravamo lasciati con Giuseppina, la proprietaria del bar in piazza, che sperava in un’estate, per presenze, simile a quella del 2003. Che fu epica, secondo la gente di qui. A quanto dicono tutti in zona e a giudicare dai dati, dovrebbe essere stata accontentata. E con lei anche Gianluca, a Mascioni, e i (pochi) commercianti del borgo e delle sue frazioni: sono state registrate migliaia di presenze, come ovunque nelle aree interne, nei borghi montani, in un Abruzzo che, in generale, insieme all’Appennino centrale può essere considerato una delle mete-sorpresa dell’estate pandemica.
Nonostante l’assenza quasi totale di visitatori stranieri, la tendenza e l’umore da queste parti sono infatti diametralmente opposte rispetto alle grandi città d’arte, che hanno visto chiudere metà dei ristoranti nei centri storici. Una sorta di rivincita involontaria della provincia rurale contro la maestosità delle bellezze architettoniche nelle metropoli. La fuga dal centro verso le periferie. E verso paesi come Campotosto.
«Lavorare qui significa avere persino difficoltà a trovare personale di mestiere, perché non è facile reperire bravi camerieri che abitino in zona e non tutti sono disponibili a spostarsi per un lavoro stagionale», racconta Leoncini dando le spalle al lago. «Dopo il lockdown pensavo che saltasse tutta la stagione – confida il proprietario della Chioscheria – ma invece da fine maggio è stato un crescendo e alla fine è andata molto bene». Pochi visitatori stranieri, certo, ma una marea di persone provenienti dall’Emilia Romagna, dal Veneto, dalla Lombardia e, ovviamente, dalla capitale.
Un fiume di persone che si è riversato nelle acque del lago, così come tra le vie di un paese distrutto e ancora mai ricostruito, a quattro anni dalle scosse del 2016 e soprattutto del 2017: «La mattina del terremoto del 24 agosto 2016 eravamo aperti, ma tutta la comunità era sconvolta. Offrire il servizio gratuitamente ci sembrò il minimo», ricorda Leoncini.
Più di tre anni dopo, l’estate-boom ha visto l’attraversamento di ciclisti, camminatori, semplici curiosi. Certamente amanti del turismo selvaggio, anche perché la zona non è proprio nota per la presenza di servizi. Non c’è un nolo di biciclette, non è possibile fare una crociera sul lago. Nei fine settimana i quattro o cinque ristoranti presenti erano sempre pieni, costringendo i visitatori alla delusione della fuga.
Lo stesso Gianluca, che oggi di anni ne ha 33, per scelta torna ogni sera all’Aquila. D’altronde il supermercato più vicino è a diversi chilometri, come anche il primo distributore di benzina. Per non parlare dei trasporti pubblici, quasi inesistente come nella stragrande maggioranza delle aree interne appenniniche, abruzzesi e non solo.
Questa situazione è ancora più evidente quando il sole scende veloce dietro le montagne, il freddo s’affaccia e la maggior parte della gente se ne va. Non sarà facile l’inverno a Campotosto, non lo è mai stato.
Quel che è certo è che con la fine della bella stagione Valeria, la zia di Ludovica, si riposerà dal lavoro serrato al bar di Giuseppina, che quest’anno è diventato anche trattoria: «Dico la verità, io il paese lo preferisco vuoto. Non sono abituata a tutte quelle persone, se ho scelto di stare qui c’è un motivo», ci dice mentre mette a fare due caffè.
In realtà nel primo sabato di ottobre un po’ di gente gira ancora.
Un camper con targa tedesca si gode la vista del lago, una coppia di giovani olandesi legge su un’altra sponda. Agli anziani è ancora vietato giocare a carte, ma frequentano il bar dopo una partita in casa. Un paio di persone, per esempio, entrano chiedendo di Assunta Perilli, la tessitrice del paese, che con la sua bottega ha fatto parlare di sé negli ultimi anni. E poi ci sono Ludovica e il suo sguardo vispo. Siede vicino al bancone, ma scalpita: deve andare agli “alpini”, il luogo di ritrovo suo e dei suoi amici, a fare gli incantesimi come Harry Potter.
Le chiediamo come sono andati i primi giorni di scuola e veniamo a sapere che il rientro è avvenuto una settimana più tardi del previsto, perché la scuola non aveva né preside né corpo docente. La mente sale subito alle sue parole durante la quarantena, quando raccontava di aver fatto, a un mese e mezzo dalla chiusura della scuola, solo due lezioni a distanza.
La povertà educativa, così come il divario digitale, è un problema sottovalutato in Italia. Genera diseguaglianze laceranti tra zone urbane e aree rurali del Paese. Divide, e invece la scuola dovrebbe intrecciare, unire, contaminare. Lei non sembra curarsene affatto. È giusto così: «La scuola non mi sembra cambiata, a parte che ora facciamo file indiane, siamo costrette ad andare al bagno da sole, e durante la ricreazione si deve stare seduti». A Campotosto in 4 sono andati alle scuole superiori. Per questo nello scuolabus che ogni giorno Ludovica prende per andare ad Amatrice sono rimasti solo altri due compagni di viaggio.
In tre ci si distanzia facilmente.
Ma in fondo neanche questo sembra interessarle troppo. È preoccupata perché ha paura di perdere tempo con noi, e invece deve giocare in paese. Come ha fatto tutta l’estate, così tanto che i suoi bagni nell’acqua dolce del lago sono stati giusto un paio.
È ottobre. A Campotosto l’estate se n’è appena andata e l’inverno si avvicina. Chissà se con esso tornerà anche il peloso cappello psichedelico che aveva addosso Ludovica quella mattina di aprile. Di certo, lei sarà cambiata di nuovo.
Campotosto, L’Aquila, terremotato tre volte dal 2009 al 2017, ha cambiato totalmente la sua identità.
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Sulla didattica a distanza, in pochi pongono l’accento sulla diseguaglianza dei diritti.
«Le persone che giocavano a carte passavano anche quattro o cinque ore nel pomeriggio nel bar».
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