
Fu uno dei primi, su mandato dell’ONU, a cercare una mediazione di pace tra Israele e Palestina. Fu ucciso in un agguato a Gerusalemme nel 1948.
In questi giorni e settimane di scioperi e di manifestazioni che hanno come baricentro la solidarietà verso il popolo palestinese e il tentativo di fermare, facendo pressione sul nostro governo, il genocidio in atto nella striscia di Gaza e in Cisgiordania, decine di migliaia di persone si sono incontrate per strada, condividendo un pezzo di manifestazione, ma soprattutto molte chiacchiere, sfoghi, discussioni sui massimi sistemi e mille altre conversazioni sul mondo che va a rotoli e sulla cieca furia di politici che superano per cattiveria i peggiori cattivi delle saghe di supereroi americane.
Ma non sta succedendo solo quello. Molte delle persone che si stanno ritrovando in piazza e in strada per urlare al cielo la propria rabbia e impotenza nei confronti di dinamiche enormi e internazionali che sentono più grandi di loro e che fino ad ora credevano di non poter cambiare, sono contemporaneamente impegnate in altre lotte.
Una di queste è quella per avere strade più sicure, ma non “sicure” dal punto di vista di chi confonde sicuro con securitario e cerca di riempire le strade di polizia armata di pistole e di taser. Sicure dal punto di vista opposto, quello che c’entra con la libertà di muoversi in sicurezza, la libertà di non avere paura se tua figlia esce in bici da sola, la libertà di sapere che se saluti un’amica che torna a casa in bici sei sicuro di poterle dire “A domani” senza la paura di doverla piangere qualche giorno dopo in un presidio di commemorazione dell’ennesimo omicidio stradale.
Per chiedere questa libertà, che dopo l’approvazione del nuovo codice della strada è diventata ancora più difficile da ottenere con i mezzi della politica locale, domenica 5 ottobre a Milano, circa 4mila persone, bambini compresi, tutte in sella alle le loro bici hanno percorso le strade della città prendendosi lo spazio che durante la settimana è occupato da mille mila automobili.
La bellezza di questa iniziativa è tutta in una foto, quella che hai visto all’inzio di questa Cosa che resta. Oggi è questa la cosa che vorremmo restasse. Perché simboleggia l’inversione di un punto di vista che, durante il Novecento, ci ha resi dipendenti da qualcosa che ci ha isolati invece che unirci.
L’ha scattata Filippo Giraudi e ritrae un fiume di felicità che si riversa sul ponte della Ghisolfa, per una volta libero dalle automobili.
Se sei di Milano e vuoi che la città cambi e diventi a misura delle persone, puoi firmare questa petizione organizzata da Città delle persone. Se abiti in qualsiasi altro punto d’Italia e ti interessa sapere come e dove puoi partecipare a degli eventi simili per riottenere uno spazio pubblico adatto alla libertà di tutte e tutti puoi seguire le attività di associazioni nazionali come la FIAB, Legambiente e molte altre che sono anche distribuite sul territorio nazionale, sia in città che in provincia.
Se ti interessa questo tema, qui su Slow News ne abbiamo parlato spesso, ti consigliamo di cominciare da questo articolo di Andrea Coccia. Si intitola La lentezza non è una ideologia e parla della prima città 30 d’Italia, che non è governata da anarcoambientalisti, ma da un sindaco di Forza Italia.
Fu uno dei primi, su mandato dell’ONU, a cercare una mediazione di pace tra Israele e Palestina. Fu ucciso in un agguato a Gerusalemme nel 1948.
La cosa che vogliamo che resti di oggi, venerdì 3 ottobre 2025, è un testo effimero che tra meno di 24 ore sparirà, scritto dal cantante torinese Andrea Lazslo De Simone
Nella storia del Novecento, chi ha usato la nonviolenza ha cambiato il mondo molto più spesso di chi ha usato le armi e tutto è sempre partito da poche persone
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