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Maschio-bianco-etero-cis.
È questa la forma che ha il giornalismo italiano, anche se è difficile avere dati a supporto di questa affermazione: la carenza di dati sullo stato della professione giornalistica è un paradosso ben congegnato per un settore, il giornalismo, che vuole fare le pulci al potere ed esserne il suo cane da guardia.
Allo stato attuale delle cose più che cane da guardia si mostra cane da compagnia: secondo The Fix, un rapporto del 2020 di Carta di Roma mostra che le persone di origine straniera hanno discusso nei telegiornali solo nell’1% dei casi mentre il rapporto del Global Media Monitoring Project ha rilevato che nel 2020, nel 90% dei casi, i notiziari in prima serata sono stati presentati da conduttori bianchi e maschi. Un problema che riguarda chiunque non abbia la forma di maschio-bianco-etero-cis: tra i 20 Ordini regionali dei giornalisti solo uno ha una presidente donna e tra i 20 principali quotidiani italiani solo uno ha una direttrice donna.
Secondo questo studio dell’Osservatorio di Pavia (dati 2019) la rappresentanza femminile in tv supera il 50% solo quando la donna è componente del pubblico, mentre le situazioni più critiche si registrano soprattutto nel numero ridotto di opinion makers ed esperte ingaggiate per i talk show di approfondimento. Nel mondo della carta stampata il problema è identico: questo studio dell’Osservatorio europeo di giornalismo racconta che la stesura di articoli per mano femminile si attesta al 21% sulla totalità dei pezzi. Eppure, secondo l’AgCom, le donne giornaliste in Italia rappresentano oltre il 40% della categoria (15.000 persone).
Nel 2018 124 attrici e donne del mondo dello spettacolo firmarono una lettera appello, chiamata “Dissenso comune”, in cui chiedevano parità di trattamento con i colleghi maschi. Con questo documento anche le colleghe giornaliste avanzarono le stesse richieste.
Dopo quattro anni, quale è la forma del giornalismo in Italia? Secondo te?


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