
Un articolo del 1972 uscito in Olanda che parla di qualcosa che a distanza di più di 50 anni, qui in Italia, è ancora la normalità.
Sui giornali si parla di vittime della strada in due occasioni: quando la storia è abbastanza raccapricciante da “fare notizia” o quando riguarda un personaggio famoso. Oggi, per esempio, se ne parla perché la vittima è un anziano che percorreva una pista ciclabile su una carrozzina elettrica e l’investitore è il secondo portiere dell’Inter.
Ma il problema della sicurezza delle nostre strade e della convivenza tra le persone che non vanno in auto con quelle che vanno in auto va molto oltre fatti singolari come questi. Nei soli primi sette mesi del 2025, sulle strade italiane sono morte 658 persone.
La tragedia è quotidiana. E il problema non riguarda solo i pedoni, o i ciclisti, o chi va in moto, o in scooter, o in monopattino. Il problema riguarda tutte le persone che si spostano e che usano la strada, un luogo inospitale e pericoloso.
Per conoscere la situazione, al di là delle storie tragiche delle vittime, ci sono i dati. Dati che non sempre si riescono a reperire in modo trasparente e utile. IN direzione contraria, ovvero verso la trasparenza e l’utilità, c’è un gigantesco lavoro fatto dal Politecnico di Milano e presentato pochi giorni fa.
Si chiama Atlante italiano dei morti e feriti gravi in bicicletta, ed è la più dettagliata mappatura del fenomeno mai realizzata in Italia. Si basa sui dati dell’Istat e geolocalizza ogni incidente, strada per strada.


Un articolo del 1972 uscito in Olanda che parla di qualcosa che a distanza di più di 50 anni, qui in Italia, è ancora la normalità.

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