
Gli “accordi di pace” che si spartiscono il Medio Oriente hanno radici lontane, come l’accordo di Sykes – Picot, del 1916, che conteneva già tutto quello che sarebbe successo nei 110 anni successivi.
“La nostra battaglia per la sostenibilità globale sarà vinta o persa nelle città” ha dichiarato l’ex Segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-moon nel 2012 a New York durante un incontro di delegazioni di amministrazioni locali. È vero. Lo è della mobilità, della giustizia sociale, dell’energia, dell’inquinamento, dell’abitare, del consumo di suolo.
Quest’ultimo è un tema fondamentale: quanto spazio delle nostre città è ricoperto di asfalto e quanto è invece lasciato alla natura, agli alberi, alla terra? Un bell’articolo pubblicato dal progetto Lab24 del Sole 24 Ore, attraverso svariati set di dati, ci mostra le esatte dimensioni del punto debole delle nostre città: non ci sono alberi.
Il problema? «Gli alberi sono ancora troppo spesso considerati un arredo urbano, l’ultimo elemento da aggiungere alla fine di una pianificazione urbana. Dovrebbe accadere esattamente l’opposto, con un una visione ecosistemica del verde urbano e periurbano attorno a cui sviluppare la progettazione urbanistica».
Gli “accordi di pace” che si spartiscono il Medio Oriente hanno radici lontane, come l’accordo di Sykes – Picot, del 1916, che conteneva già tutto quello che sarebbe successo nei 110 anni successivi.
Fu uno dei primi, su mandato dell’ONU, a cercare una mediazione di pace tra Israele e Palestina. Fu ucciso in un agguato a Gerusalemme nel 1948.
Ritrae mille mila bici che percorrono libere e sicure uno spazio che di solito è pericoloso e proibito a chi non è in automobile ed è una cosa che dovremmo rifare dovunque.
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