Ep. 07

Europee 2024: voto e coesione

Le prossime elezioni europee possono essere osservate anche attraverso la politica di coesione Ue.

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Fra sei mesi esatti, i cittadini e le cittadine di tutta l’Unione Europea saranno chiamati a votare

 

Le elezioni europee potranno essere seguite come una competizione politica continentale, che inciderà su questioni cruciali come la transizione verde o l’allargamento dell’Unione. Potranno essere percepite come un gioco di potere per capire chi saranno i nuovi leader delle istituzioni Ue. Oppure potranno essere vissute, come spesso accade, solo in ottica italiana, per vedere come andranno governo e opposizione a un anno e mezzo dal voto delle politiche. 

 

Ma le prossime elezioni continentali, forse in maniera un po’ insolita, possono essere osservate anche attraverso la politica di coesione Ue. Che, da un lato, potrebbe anche avere alcuni effetti sui comportamenti elettorali. E che, a sua volta, verrà influenzata in futuro dai risultati del voto.

Vediamo come. 

Il voto anti europeo e la politica di coesione

Anche in questa tornata elettorale, una delle grandi domande che accompagneranno il voto riguarda il risultato dei partiti populisti ed euroscettici, soprattutto a destra. Secondo POLITICO Europe, che in una sezione del suo sito fa una media di tutti i sondaggi disponibili a livello nazionale, il gruppo Identità e democrazia (ID, di cui fanno parte la Lega e il Rassemblement National di Marine Le Pen, in Francia) potrebbe eleggere 85 eurodeputati, mentre quello dei Conservatori e riformisti (ECR, di cui fa parte Fratelli d’Italia, il PiS polacco e Vox in Spagna) potrebbe toccare i 79.

Fuori dal Parlamento Europeo, a Bruxelles - Foto: Parlamento Europeo
Fuori dal Parlamento Europeo, a Bruxelles - Foto: Parlamento Europeo

Se i sondaggi fossero confermati, e a sei mesi dal voto è un enorme se, ID ed ECR sarebbero rispettivamente la terza e quinta forza del nuovo parlamento, con il Partito popolare europeo (EPP – 168 seggi) sempre al primo posto, seguito dai Socialisti e democratici (S&D – 141 seggi). I risultati dei due gruppi di destra ed estrema destra, entrambi con forti componenti euroscettiche, però, potrebbero essere decisivi per gli equilibri politici dell’eurocamera e, quindi, anche per la nomina della nuova Commissione Ue. 

 

E qui entra in gioco la politica di coesione. 

 

«Le tendenze mostrano che l’euroscetticismo è in aumento nell’Unione europea a causa del disagio e del malcontento dei cittadini. La politica di coesione potrebbe essere l’antidoto a questa tendenza preoccupante, poiché dimostra come l’Unione contribuisca ogni giorno a migliorare le condizioni economiche e sociali dei suoi cittadini» si legge in un testo della Commissione UE.

Quanto l’antidoto sia efficace è tutto da dimostrare (ci arriviamo), ma il punto interessante è il nesso tra euroscetticismo e condizioni di vita in certe zone dell’Ue. 

 

Lo hanno studiato gli accademici Andrés Rodríguez-Pose, Lewis Dijkstra e Hugo Poelman (questi ultimi due lavorano per la Commissione UE).

Dentro al Parlamento Europeo, a Bruxelles - Foto: Parlamento Europeo
Dentro al Parlamento Europeo, a Bruxelles - Foto: Parlamento Europeo

«Le regioni che si trovano in una trappola dello sviluppo (development trap, in inglese – ndr) registrano una crescita inferiore del reddito, della produttività e dell’occupazione rispetto ai propri risultati storici; al Paese in cui si trovano; e/o all’UE», sostengono gli studiosi in un paper. «Quanto più intensa e profonda è la trappola dello sviluppo, tanto maggiore è la quota di voti dei partiti euroscettici», aggiungono Rodríguez-Pose, Dijkstra e Poelman.

 

Per contro, hanno argomentato gli stessi accademici in un altro loro lavoro, «una maggiore quantità di investimenti della politica di coesione è legata a un minore sostegno per i partiti contrari all’integrazione europea». Questo non significa che le applicazioni territoriali della politica di coesione Ue siano l’unico elemento che influenza il voto euroscettico. I fattori sono, ovviamente, molti e anche più importanti, ma anche la presenza e l’utilizzo di questi fondi contribuisce, nel bene e nel male. 

 

«Il legame tra gli investimenti dell’UE nello sviluppo regionale e la riduzione del voto euroscettico – continuano gli autori – dipende fortemente dal tipo di investimenti effettuati nelle diverse regioni dell’UE e dalla loro efficienza». La loro tesi, quindi, vale anche per il nostro paese?

E in Italia?

Uno studio in questo ambito esiste anche in Italia, seppur con dati non molto recenti. A realizzarlo sono stati Giuseppe Albanese, Guido De Blasio e Guglielmo Barone. 

«Abbiamo studiato l’effetto delle politiche europee di coesione territoriale sulle elezioni politiche italiane del 2013, focalizzandoci su alcuni comuni del Centro-Sud Italia», hanno spiegato su LaVoce.info.

 

In particolare hanno analizzato il voto in comuni vicini geograficamente e molto simili tra loro per caratteristiche sociali, economiche e demografiche, ma che appartengono a regioni diverse e quindi hanno ricevuto quantità di fondi di coesione Ue diverse. Da un lato, vi erano i centri di Campania e Puglia, i cui abitanti avevano ricevuto circa 125 euro di fondi UE pro capite in media all’anno nel quinquennio precedente le elezioni. E, dall’altro, quelli di Molise e Lazio, con una media di circa 30 euro pro capite nello stesso periodo.

Fuori dal Parlamento Europeo, a Bruxelles - Foto: Parlamento Europeo
Fuori dal Parlamento Europeo, a Bruxelles - Foto: Parlamento Europeo

Nei primi, spiegano i ricercatori, «il voto anti-sistema è stato sensibilmente più basso», scendendo «del 5 per cento rispetto al suo valore medio».

 

«I fondi europei – spiegano gli autori – fanno scendere il numero assoluto dei voti anti-establishment, senza che peraltro salga il sostegno ai partiti più tradizionali. Diminuisce infatti la partecipazione elettorale: con maggiori fondi ricevuti, alcuni cittadini non manifestano pienamente il loro disagio con un voto, ma semplicemente si astengono». 

 

In primavera, all’indomani weekend elettorale del 6-9 giugno, sarà interessante capire se i voti espressi in Italia e negli altri paesi Ue confermeranno quanto avvenuto e studiato in passato. Certamente, i risultati che usciranno dalle urne avranno un impatto sul futuro della politica di coesione. Che sembra molto lontano, ma in realtà non lo è. 

Il futuro della politica di coesione

Il bilancio dell’Unione Europea va di sette anni in sette anni. 

Ancora non siamo arrivati a metà dell’attuale ciclo, che va dal 2021 al 2027. Ma a Bruxelles già si lavora per quello successivo, che comincerà nel 2028. 

 

Come indica un’utile pubblicazione del Parlamento europeo, benché il processo legislativo non sia ancora iniziato, «i primi lavori sulla riforma della politica di coesione dell’UE dopo il 2027» sono in corso. 

 

«Questo processo di riflessione non è solo tecnico, ma anche altamente politico perché tocca molte delle sfide che l’UE sta affrontando. Tra le questioni chiave figurano il grado di sostegno agli obiettivi di coesione da parte di altre politiche dell’UE; l’equilibrio tra l’uso della politica nelle crisi e la sua attenzione agli obiettivi a lungo termine; la futura governance della politica; dove e come è possibile migliorarne l’efficacia; la continua necessità di sviluppare la capacità istituzionale; l’impatto di eventuali nuovi Stati membri che potrebbero entrare nell’UE durante il prossimo periodo di finanziamento», spiega il documento, facendo un riferimento non tanto velato alla possibilità che paesi come Ucraina o Moldova possano diventare parte dell’Unione. 

Fuori dal Parlamento Europeo, a Bruxelles - Foto: Parlamento Europeo
Fuori dal Parlamento Europeo, a Bruxelles - Foto: Parlamento Europeo

«Si prevede che la politica di coesione cambierà radicalmente nei prossimi anni» continua la pubblicazione. Il punto è in che modo l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze interne all’Unione verrà perseguito in futuro: con quanti fondi, quali regole per distribuirli tra i territori e quali modalità per usarli. 

 

Alcune iniziali proposte sono state avanzate da tutte le istituzioni Ue coinvolte. 

 

La Commissione europea ha istituito un gruppo di specialisti di alto livello, che pubblicherà i risultati del suo lavoro ad inizio 2024. Il Consiglio, che rappresenta i governi degli stati membri, ha approvato una serie di principi guida mentre anche il Comitato delle regioni, che rappresenta regioni e comuni di tutta l’Ue e ha un ruolo consultivo, ha adottato un parere

Lo stesso Parlamento Europeo è stato molto attivo, con diversi documenti di indirizzo e chiedendo già nel 2022 che la nuova programmazione fornisca alla politica di coesione  «almeno lo stesso livello di di finanziamento del periodo 2021-2027».

Dentro al Parlamento Europeo, a Bruxelles - Foto: Parlamento Europeo
Dentro al Parlamento Europeo, a Bruxelles - Foto: Parlamento Europeo

Tutte queste linee convergono su alcuni principi chiave che la maggior parte delle parti interessate sembra voler mantenere. Tra queste vi sono il coinvolgimento delle regioni nella governance della politica di coesione, il riconoscimento delle specificità dei territori e l’inclusione di tutte le parti interessate nel progettare e attuare i programmi in cui vengono suddivisi i fondi. 

Infine, vi è il grande tema di come l’esperienza del PNRR, il Piano nazionale di ripresa e resilienza finanziato anch’esso da fondi Ue ma secondo regole diverse da quelle della coesione, influirà sul futuro anche di questa politica. 

I prossimi passi

Il punto però è che la riforma della coesione e il confronto sull’intero bilancio UE 2028-2034 avranno per protagonisti il nuovo Parlamento Europeo, quello che verrà eletto il prossimo giugno, la nuova Commissione Europea (che deve essere votata anche dagli europarlamentari) e il Consiglio col suo nuovo presidente. 

 

Anche sulla base del ritmo delle riforme precedenti, infatti, il documento del Parlamento UE ipotizza «che il processo legislativo per stabilire le regole della politica di coesione post-2027 sarà avviato circa 2 anni prima della fine del periodo di finanziamento, nella prima metà del 2025».

 

Sembra che manchi molto tempo. Ma, in realtà, quello che succederà allora sarà influenzato anche da come voteremo già il prossimo giugno

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