La grande truffa delle news

Un’intervista a Rolf Dobelli, scrittore, imprenditore e autore del saggio Avoid News.

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.

Suona il telefono, con un leggero anticipo rispetto al breve ritardo annunciato poco prima via mail.

La chiamata arriva dalla Svizzera. «Pronto?», dico in inglese. Dall’altra parte della comunicazione risponde una voce che ho sentito più volte in alcune registrazioni online.

Avevamo concordato l’orario e la data di un’intervista con un breve scambio di posta elettronica, complici anche uno dei miei soci e la casa editrice italiana del mio interlocutore. A dire il vero, avevo proposto anche un’intervista live su Facebook, ma l’ipotesi era stata gentilmente declinata. Devo ammettere che ero molto curioso di parlare con lui per la prima volta di persona, anche se col filtro telefonico di mezzo.

Chi è al telefono e perché ci interessa?

Ci scambiamo un paio di convenevoli che ben presto sfuggono alla convenzione e si trasformano in genuino interesse reciproco: non potrebbe essere altrimenti, visto che ci sono molte cose che mi fanno sentire vicino a Rolf Dobelli.

Rolf Dobelli è uno scrittore, un imprenditore, autore di un famoso libro di auto-aiuto. Nel 2010 aveva pubblicato un saggio dal titolo Avoid News: Towards a Healthy News Diet, che potremmo rendere in italiano come “Evita le notizie: per una dieta informativa sana”.

Il saggio inizia così:

Questo articolo è un antidoto alle news. È lungo, e probabilmente non potrai leggerlo scremando. Grazie al consumo massivo di notizie, molte persone hanno perso l’abitudine alla lettura e faticano ad assorbire più di quattro pagine consecutive. Questo articolo ti propone una strategia per uscire da questa trappola (se non ci sei già troppo dentro).

Siamo ben informati, eppure conosciamo così poco. Perché? Siamo in questa condizione poco piacevole perché 200 anni fa ci siamo inventati una forma di conoscenza tossica chiamata “notizia”. È arrivato il momento di riconoscere gli effetti dannosi che le news hanno sugli individui e sulla società, e di fare ciò che serve per difenderci da quei pericoli.

Seguono 15 punti, solidi e argomentati, di spiegazione di questo incipit, con le motivazioni per cui non ha senso farsi intrappolare dal ciclo infinito delle notizie e con le modalità per uscirne.

Quando ho letto il saggio, per la prima volta ho incontrato in maniera esplicita un parallelismo fra il cibo e le notizie: «[…] news is to the mind what sugar is to the body» (le notizie sono per la mente quel che lo zucchero è per il corpo).

Queste tesi, come puoi immaginare, non sono particolarmente amate dai giornalisti tradizionali.

Nel 2013, per esempio, Dobelli era stato invitato in redazione al Guardian per presentare il suo libro L’arte di pensare chiaro (e di lasciare agli altri le idee confuse).

Ma prima che potesse iniziare a parlare del suo best seller di fronte a una cinquantina di giornalisti di uno dei giornali più famosi del mondo, Alan Rusbridger, che all’epoca era il direttore, prese la parola e disse: «Ero sulla sua pagina web e ho trovato il suo articolo vergognoso. Ci parli di quello, non del suo nuovo libro». L’articolo vergognoso, scrive Dobelli, «elencava i principali argomenti contro il consumo di ciò che quei professionisti riconosciuti in tutto il mondo producevano ogni giorno: notizie. Volente o nolente, cominciai a sciorinare tutte le ragioni per cui si dovrebbe rinunciare al prodotto più amato di un intero settore. […] Dopo una ventina di minuti avevo esaurito le mie argomentazioni e conclusi con la frase: «Siamo onesti: ciò di cui vi occupate qui, signori e signore, è in sostanza intrattenimento». […] Rusbridger strizzò gli occhi, si guardò intorno e disse: ‘Vorrei che pubblicassimo le tesi di Dobelli. Oggi’».

E in effetti, News is Bad For You (Le notizie ti fanno male) venne pubblicato e si trova ancora oggi sul sito del Guardian. Il pezzo fece più di 400 commenti e «divenne paradossalmente uno dei più letti dell’anno».

Il nuovo libro di Dobelli, pubblicato anche in Italia per Il Saggiatore, sette anni dopo l’affaire-Guardian, inizia proprio con questo aneddoto.

Si intitola Smetti di leggere notizie.

Riprende, aggiorna e amplia le tesi del saggio del 2010 cercando di guidare lettrici e lettori verso un percorso di crescita informativa non tossico.

A proposito di tossicità: potresti chiederti perché fino a questo momento non hai ancora trovato alcun link. A quell’articolo del Guardian, per esempio. O al saggio o al libro. Ho deciso di mettere tutti i link di approfondimento al fondo di questo pezzo per un motivo che scoprirai proseguendo con la lettura.

 

Fa notizia un libro contro le news?

Immagino che non ti sorprenderà scoprire che la rassegna stampa italiana di Smetti di leggere notizie è praticamente inesistente.

Per prima cosa, qui da noi non c’è il Guardian con un direttore come Rusbridger. E poi, be’, perché mai un giornale dovrebbe pubblicare una recensione di un libro in cui si invitano lettrici e lettori, di fatto, a non leggere quel giornale?

Un po’ per fortuna e un po’ per scelta, qui non siamo su un giornale tradizionale. Anzi, per essere davvero chiari, è stata la lettura del primo saggio di Dobelli sulle News che mi ha fatto conoscere per la prima volta questo tipo di tesi, che mi ha indotto, pensando al cibo, a quel che facciamo come giornalisti immersi negli ingranaggi tradizionali, velocissimi, a cercare su Google le paroline “slow news” (sì, ovviamente pensavo a Slow Food) e che mi ha fatto conoscere il lavoro di un’altra persona a cui si deve molto rispetto a tutto il percorso che stiamo facendo qui, su Slow News: Peter Laufer.

Insomma, Avoid News è uno dei motivi perché esiste il giornale-non-tradizionale che stai leggendo. Ecco perché, fra l’altro, ero curioso di sentire Dobelli.

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.

L’intervista a Rolf Dobelli

Ed ecco perché abbiamo deciso di pubblicare quest’intervista, che finalmente ti puoi leggere: se sei qui, dovrebbe incuriosire anche te (l’adattamento dall’inglese è del sottoscritto).

Per cominciare, Rolf, potresti darmi la tua definizione di “news”?

Certo. Le notizie sono eventi che avvengono in tutto il mondo. Non esiste una definizione nitida di “news”: quando le vedi, le riconosci. Per esempio, un incidente aereo in Australia, o un attacco terroristico in qualche parte del mondo, o un colpo di stato in un altro paese. Oppure un attore che divorzia da un’attrice. Uno scandalo completamente irrilevante per la tua vita.

Se è qualcosa di molto visibile, allora è un qualcosa che riempie i quotidiani. A volte si chiamano breaking news (ultime notizie). A volte si chiamano top world headline (ultimissime dal mondo), così si rendono più attraenti per chi legge, per i lettori, per dirti che tutte sono rilevanti, anche se la maggior parte di esse non lo è affatto. Queste sono le news.
Come dicevo, non c’è una definizione nitida: le riconosci quando le vedi.

C’è differenza fra una notizia e l’informazione?

Certo che c’è. L’informazione è in un certo senso neutrale, anzi, è meglio delle notizie. Ma c’è una spinta precisa per le news e non per l’informazione. La spinta è data dal modello di business: più le news girano, più la pubblicità paga. C’è una spinta per il sensazionale, per ciò che è colorito, per ciò che va veloce.

E così, ci sono informazioni che non vengono trasportate dalle notizie, magari perché sono informazioni noiose, ma potrebbero essere enormemente rilevanti. Solo che non si traducono in fotografie o in personalizzazione o in qualche scandalo, non generano rumore, non sono cose che cambiano rapidamente.

Ecco perché l’informazione è in qualche modo neutrale, anzi, è meglio: può essere rilevante o irrilevante per la tua vita, ma è meglio delle news. Che invece frullano per attirare i lettori, i click, le visualizzazioni, i commenti e tutta quella roba lì.

Come sei arrivato all’idea che dovremmo evitare completamente tutto questo? E perché?

Be’, allora, prima di tutto nella mia vita precedente ero un drogato di notizie. Come qualsiasi drogato di notizie medio, leggevo di tutto, specialmente da quando avevo avuto una connessione a internet. Ma anche prima di internet, leggevo giornali di carta di ogni genere, ero un lettore di notizie particolarmente avido.

E quando arrivò internet, be’, c’era di tutto, disponibile, gratis.

Così, passavo un sacco di tempo semplicemente frugando fra i siti di notizie. E dopo un po’ – più o meno 10 anni fa – mi sono fatto due domande.

Quali?

La prima domanda era: «Aver consumato così tante notizie [Dobelli usa l’espressione “pieces of news”, la semplice traduzione in “notizie” rende solo parzialmente il senso. Ho scelto di mantenere la parola “consumato” anche se in italiano probabilmente non lo diremmo così, ndR] mi aiuta a prendere decisioni migliori per la mia vita? Prendo decisioni migliori per la mia vita privata, per la mia famiglia, per la mia carriera lavorativa, per la mia comunità?»
E la risposta era: no.
No. Non prendo decisioni migliori perché ho consumato tutta quella roba.

La seconda domanda era: «Almeno capisco meglio il mondo?»

E la risposta?

No. Anche in questo caso la risposta era: no.

Ora, avevo passato – letteralmente – migliaia di ore riempiendo il mio cervello di tutto quel tipo di informazione lì. Eppure non capivo il mondo meglio di prima, perché le news non portano con loro le connessioni, non trasportano il contesto. E non prendevo decisioni migliori.

Così ho smesso.

Non immediatamente, è stato un processo graduale, ma comunque avrei anche potuto smettere molto velocemente.

E quindi pensi che tutti noi dovremmo smettere di consumare notizie?

Sì, proprio così. Tranne il fatto che…

Be’, allora, prima di tutto dovresti definire le tue cerchie di competenze [in inglese, letteralmente, circles of competence. In italiano l’espressione si può rendere anche come “aree tematiche”, ndR]. Per inciso, quella della cerchie di competenze non è una mia idea. È un concetto introdotto da Charlie Munger e Warren Buffet ed è un concetto molto importante.
Devi chiederti: quali aree sono importanti per te?
Prima di definire quel che è davvero rilevante per te, non dovresti semplicemente consumare news.

E poi, una volta che hai definito quelle aree, allora consuma tutte le notizie che afferiscono ad esse: così migliorerai le tue conoscenze in merito.

Ecco il compito che dovresti fare prima di ogni altra cosa.
Ciascuno di noi ha almeno due aree tematiche, qualcuno ne ha tre, non ho mai incontrato persone che ne abbiano quattro o cinque o sei.

Ora, una delle tue aree tematiche è la tua vita privata. Di sicuro vorrai fare il meglio possibile come madre, come padre, come parte del vicinato, come tuo/tua personal manager.

Poi c’è l’altra area tematica, l’altra cerchia di competenze: la tua professione. Anche in questo caso vorrai fare meglio che puoi. E, sì, potrebbe darsi che qualcuno abbia due lavori o due hobby ed eccella veramente anche nel secondo hobby e nel secondo lavoro. Ma davvero, è proprio difficile incontrare qualcuno che abbia quattro o cinque o sei cerchie di competenza.

Fra l’altro, non è importante quanto siano ampie le tue cerchie di competenza: è importante che tu le conosca bene, che tu sappia dove finiscono.

Perché, be’, semplicemente non puoi fare il meglio in tutto quanto.

Una volta che conosci davvero le tue cerchie di competenza, definire ciò che ti interessa veramente dal punto di vista delle informazioni diventa un processo automatico.

Un esempio?

Se sei un chirurgo, vorrai leggere tutto ciò che racconta le nuove tecniche e le ultime ricerche nel campo della chirurgia. Approfondirai e sì, leggerai anche articoli di giornale, ma saranno news molto specifiche.

Il fatto è che non ti serve proprio a niente consumare news che non rafforzino la tua cerchia di competenze, a meno che tu non voglia semplicemente concederti un po’ di intrattenimento. Che va benissimo, eh. Ma allora, se vuoi l’intrattenimento, ci sono forme molto più belle di intrattenimento. Puoi leggere un romanzo, ad esempio. Puoi guardare un film.

Non ti sembra, però, che sia una scelta un po’ limitante ed egoistica, essere così focalizzati sulle proprie competenze?

No, non lo è perché non c’è altro modo per far bene nel mondo. Vorrei tanto che ci fosse, intendiamoci. Vorrei davvero che fosse possibile avere una conoscenza superficiale su tutto quanto e farla funzionare nel mondo. Ma non è proprio così e lo sarà sempre meno. Bisogna esser bravi a fare quel che si fa e si sa fare. Bisogna cercare di essere i migliori, o almeno di migliorare quanto più possibile quel che si fa.
Allora sì che si può vivere bene. Se sei nella media o sotto la media, non avrai una vita professionale soddisfacente e probabilmente non sarà soddisfacente nemmeno la tua vita privata.
Sì, forse può sembrare una scelta egoistica, in un certo senso, ma il mondo è troppo grande perché un cervello da solo lo comprenda e lo padroneggi completamente. Ecco perché si parte dalla propria cerchia di competenze.

E allora che ne è della possibilità di essere una parte attiva nella tua comunità?

Puoi farlo anche senza le news! Certo, questa è una delle obiezioni più frequenti contro il mio libro e i miei saggi sul tema: come fai a vivere in un paese democratico, come fai a essere un buon membro della società senza le news? La mia risposta è: puoi.
Anzi: puoi fare ancora meglio per la comunità, per la società se non consumi le news.

Montesquieu, Locke, Rousseau, questi pensatori che hanno contribuito a costruire le democrazie liberali, non facevano affatto affidamento sulle notizie per creare una democrazia. Quando gli U.S.A. sono stati fondati come prima liberal-democrazia moderna, non c’era il business delle news. La democrazia ateniese, certo, non era perfetta: le donne non votavano, c’erano gli schiavi e non votavano, le persone sotto i 30 anni non votavano, ma era comunque un inizio di democrazia senza che ci fossero news.

Puoi essere un buon membro della società se scambi punti di vista, se cerchi di capire e di conoscere, se parli con altre persone.

C’è qualcosa che si potrebbe aggiungere per quanto riguarda i media iper-locali (non necessariamente quotidiani, magari mensili), perché possono avere un ruolo molto importante per la comunità, ma non ho mai visto un business model che funziona davvero. Non ancora.

Ok, ma allora, per esempio, se dobbiamo decidere se installare o meno la app Immuni [la app di contact tracing italiana, ndR], come facciamo? È vero che, mentre te lo chiedo, penso che i giornali non mi abbiano affatto aiutato a prendere una decisione in merito, ma comunque, come si fa a farsi un’idea? Davvero anche in un contesto come quello dell’emergenza COVID dobbiamo evitare le news?

Devo ammettere che in questi 10 anni ho interrotto la mia dieta di news facendo due eccezioni.
La prima è stata nel 2016, quando Donald Trump è stato eletto: semplicemente, non potevo crederci. E così sono tornato a consumare news per almeno due settimane. Ma poi ho smesso nuovamente, perché ho capito che non mi portavano da nessuna parte.
La seconda eccezione è stata quando è iniziata l’emergenza COVID. Non c’era altro posto dove trovare informazioni, almeno all’inizio, che non fra le news.

E in questo caso, per tre settimane sono ritornato a leggere le news, ma se ci pensi era una situazione che toccava fortemente le mie cerchie di competenza, in particolare la mia vita: dovevo sapere alcune cose. Come devo comportarmi? Posso costruire in qualche modo una teoria del mondo che mi aiuti a superare la crisi che verrà? Dopodiché, ho realizzato che anche in questo caso le news non mi aiutavano.

E allora cosa ci aiuta in una situazione come quella che stiamo vivendo?

Le statistiche nazionali e internazionali, per esempio il sito che la Johns Hopkins ha messo in piedi. E poi, lo so che sembra buffo, ma su YouTube si trovano video interessantissimi di epidemiologi e virologi: ci sono tantissime cose interessanti là fuori, che ci aiutano a capire, o almeno che ci danno qualche elemento per capire qualcosa, anche se non penso che al momento ci sia una reale comprensione globale della situazione. Ma almeno ho avuto un po’ di elementi per capire meglio cosa stava succedendo. E così ho di nuovo smesso di leggere le news.
Del resto, i giornalisti cosa facevano? Perlopiù copiavano quel che dicevano gli epidemiologi senza essere epidemiologi. E allora, meglio andare direttamente alla fonte e seguire lezioni di epidemiologia.

Devo dire che non c’è stato nessun giornalista che mi abbia portato qualcosa di nuovo a proposito dell’emergenza COVID. E devo ammettere che è stato molto deludente.

Però molti giornalisti non saranno d’accordo. Ho anche letto alcune critiche giornalistiche specifiche alle tue idee. In particolare ne ho trovata una proprio sul Guardian, firmata da Madeleine Bunting. E la sua domanda specifica è questa: com’è possibile la democrazia, se le persone non vogliono sapere?

Sì, me la ricordo bene, è stata pubblicata poco dopo la mia visita in redazione.
Ma la democrazia non ha bisogno delle news. E nemmeno dei media che propongono news.

C’è bisogno, se mai, di spazi pubblici di confronto (anche locali: penso davvero che la democrazia sia, prima di tutto, iper-locale).
E poi, se hai bisogno di conoscere, di sapere qualcosa in più su un argomento, allora non hai bisogno di opinioni e voci su quell’argomento.
Ci sono anche troppe opinioni in giro.

Io sono stanco, stufo delle opinioni. Voglio capire le cose. E per capire le cose abbiamo bisogno degli esperti. Oggi degli epidemiologi, durante la crisi del 2008 di qualcuno che capisse almeno un po’ le basi economiche di quel che stava succedendo, capace di comparare una determinata situazione col passato. Ecco, servirebbero giornalisti esperti.
Ma è davvero difficile trovarne, perché devono essere prima di tutto esperti di un argomento specifico e poi devono esser capaci di scriverne in maniera piacevole e chiara.

Ecco, il giornalismo è la classica professione che puoi fare dopo i 30, i 35 anni, una volta che hai imparato bene qualcosa. Prima non puoi fare il giornalista. Ci dev’essere almeno una cosa che padroneggi perfettamente prima di scriverne.

Troppo spesso vedo persone che vogliono fare i giornalisti perché amano scrivere. Lo capisco, eh, scrivere è bello. Ma se non padroneggi davvero un argomento, allora non c’è alcuna utilità reale nello scriverne. Forse bisognerebbe studiare davvero e poi fare i giornalisti come secondo lavoro!

[Ridiamo entrambi]

Tutto questo però riguarda la sfera privata, le scelte e le azioni individuali. Ma se siamo così coinvolti in questo ecosistema così inquinato, come si fa a fare questa scelta? Come si aiutano i più poveri, quelli che hanno meno possibilità, per esempio, a non farsi travolgere dalle news e a capire che hanno bisogno d’altro?

Eh, sì, è una scelta individuale e non sono qui per far proseliti.

Quel che suggerisco di fare di solito è: prova. Esci dalle news per 30 giorni (che è il tempo minimo per capire se effettivamente ti stai perdendo qualcosa o meno. Ti assicuro che non ti sarai perso niente!). E poi puoi sempre ritornarci dentro. Prova per 30 giorni e poi vediamo come ti senti a non subire l’agitazione, l’ansia delle news, il bombardamento di fatti completamente irrilevanti, di migliaia, milioni di opinioni.
Come minimo, risparmi un sacco di tempo!
Il problema è che le news diventano sempre più attraenti, gli algoritmi migliorano, diventeranno in grado di scrivere articoli e creare video personalizzati e sarà sempre più difficile uscirne. Quindi, meglio farlo presto, perché fra un anno sarà più complicato. E fra 10 ancora di più.

Ma quindi tu non credi nemmeno nel fact checking?

Ma certo che credo nel fact checking. Solo che non ci credo se si presenta nel formato news. Diciamo che c’è qualcosa che non va nel tuo Paese, per esempio: il Presidente mente. Se lo confuti con le news ottieni un risultato peggiore che non attraverso articoli approfonditi che non sono news, sono, per esempio, articoli lunghi o molto lunghi, che si chiamano… libri! E che magari arrivano un anno dopo.

Prendiamo il Watergate, per esempio. Quando ne parliamo è come se pensassimo a un paio di titoli usciti sul Washington Post. Ma non è affatto così. Se andiamo a vedere il lavoro di inchiesta [di Bob Woodward e Carl Bernstein, ndR], scopriremo che gli articoli erano molto lunghi e approfonditi, che non uscivano con regolarità, che passava anche molto tempo fra un pezzo e l’altro e che il tutto è durato molto a lungo. L’inchiesta Watergate non era una news, era una serie di articoli molto approfonditi, quasi dei saggi.

E quindi non abbiamo bisogno di risposte veloci, per esempio, a una dichiarazione di Trump?

No, perché se aspetti del tempo, puoi fare qualcosa di molto più approfondito. Non c’è bisogno di tirar fuori l’ennesima opinione contro un’altra opinione. Un’argomentazione più solida e ragionata ha più impatto. E rimarrà più a lungo.

Senza contare che una persona come Donald Trump vive del fatto che c’è chi gli si contrappone velocemente. E se vuoi contrapporti a lui, allora non devi giocare al suo gioco, non devi reagire velocemente.

Perché se no gli dai la possibilità di lamentarsi, di prendersela con il suo nuovo nemico?

Esatto.

Diciamo che ci portiamo a casa un po’ di lettrici e lettori che cominciano ad informarsi in maniera diversa dalle news. Come si fa a rendere questo “altro” giornalismo sostenibile?

Eh, questa è La Domanda. Molti miei amici sono giornalisti che lavorano nei quotidiani. E sono frustratissimi, perché devono produrre tantissimi articoli, tutti i giorni, tutto il giorno, per anni. E l’unica cosa che conta [per l’editore, ndR] è quanti click generano, quanti like.

I giornalisti amerebbero tornare a fare un lavoro approfondito, investigativo, specializzarsi ancor di più nelle loro aree. Questo è il giornalismo che i giornalisti amerebbero fare e che le persone amerebbero leggere.

Ma non so se esista un modello di business: sembra che The Correspondent, per esempio, funzioni.

C’è bisogno di 50, 100mila persone che diventino member [preferisco mantenere l’inglese anziché parlare di abbonati, ndR]. Allora puoi lavorare con un modello di membership. Diversamente, è molto difficile.

E in effetti una delle obiezioni più frequenti quando si propone ai giornalisti di non produrre più news è: ma tu ne hai bisogno, hai bisogno persino delle schifezze per rendere sostenibile il resto. Pensi che sia vero?

No, penso che sia proprio sbagliato. Una volta che hai schifezze varie sul tuo sito, le persone si concentreranno su quelle, perché sono quelle che attirano attenzione. Quindi bisognerebbe ripulire tutto da quel tipo di contenuti: lo ammetto, il mio formato preferito è il libro, perché è con il libro che puoi davvero approfondire un argomento.

Ed ecco di nuovo il problema della sostenibilità: la maggior parte dei libri non sono davvero scritti per soldi. Se gli autori dovessero considerare quanto tempo ci mettono a far ricerche e a scrivere un libro, dividendo quel che guadagnano per le decine, centinaia di ore che hanno dedicato al loro libro, scoprirebbero di guadagnare davvero poco all’ora. Il punto è che se cerchi di far tanti soldi con il giornalismo approfondito rischi di rimanere deluso.

D’altra parte è come se volessi contare le ore che investi come padre o come madre nel prenderti cura dei figli: non lo fai davvero per guadagnarci, lo fai prima di tutto perché è la cosa giusta da fare.

E in un certo senso è quel che succede anche al tuo business: fare Slow News.

Già. E quindi, in tutta questa chiacchierata c’è il motivo per cui tu arrivi addirittura a definire “truffa” le news. Sono completamente inutili.

È così. Il 99,999% è completamente inutile.

Forse l’errore di fondo è nascosto nella parola news? È come se il meccanismo delle news cercasse di venderti qualcosa di nuovo dicendoti: «Siccome è nuovo, allora è di valore. questo il problema?

Sì. Questa è la truffa. Ti vendono il nuovo come se fosse rilevante. E questo è l’errore di calcolo. E c’era fin dall’inizio del mondo dei giornali, è sempre stato questo il punto. E naturalmente è cresciuto esponenzialmente con l’online.
Ma il nuovo non è automaticamente rilevante. Anzi, la maggior parte delle volte è irrilevante.

Essere rilevanti non ha nulla a che vedere con l’essere una novità.
È rilevante quel che fa parte della tua cerchia di competenze, della tua vita privata, professionale, della tua città, della tua comunità, della tua famiglia.
E naturalmente i giornalisti, le persone che fanno i giornali, lo sanno.

Sanno che la maggior parte di quel che pubblicano è irrilevante. Ma non lo ammetterebbero mai.

Vivono di questa frode, definendo rilevante quel che fanno. Ecco perché le chiamano top world headlines, breaking news.

Ho un’ultima domanda: nella tua dieta, eviti anche le piattaforme digitali? Facebook, Twitter, Instagram…

Sì, sì. Ero su Twitter, ci vado una volta ogni sei mesi giusto per controllare che nessuno si sia preso il mio account. E devo ammettere che evito spesso anche le letture digitali, perché le trovo distraenti. Trovo che la carta stampata sia bellissima perché non ha i link, i collegamenti ipertestuali.

Nel momento in cui vedi un link, il tuo cervello deve decidere se cliccarci o no. E questo ti fa perdere automaticamente concentrazione. Ti allontana dal contenuto. Come i video incorporati, ad esempio.

Avevo detto che era l’ultima domanda, ma in realtà me ne è venuta in mente un’altra. Ed è questa: non hai paura che tutto questo sembri troppo paternalistico?

No, no, perché la domanda da farsi è sempre la stessa: che tipo di vita vuoi vivere? In che modo credi di poter fare qualcosa di buono non solo per te ma anche per gli altri? Se sai fare qualcosa veramente bene, allora crei valore per tutti, se no, be’, non creerai molto valore per il mondo in cui vivi.

Concentrarsi sulle proprie capacità e sulla propria cerchia di competenze ti rende automaticamente un buon membro della società, ti permette di apportare qualcosa: conoscenza, esperienza, tecniche, metodo.
Invece, limitarsi a girovagare qua e là consumando [news, ma evidentemente non solo, ndR] non ti rende parte sana della società.

Contro gli equivoci

Mentre saluto Dobelli e ripenso a quel che ci siamo detti, mentre rileggo la trascrizione e riadatto in italiano, posso già immaginare quali sono i problemi di questa intervista, a chi non piacerà.

So anche quali possono essere gli equivoci più grossi: Dobelli è contro i giornalisti e i giornali. Dobelli è elitario. Dobelli è fuori dal tempo. Dobelli è contro l’intrattenimento. E via dicendo.

Spero di aver fatto le domande giuste per uscire da questi equivoci perché, va detto, anch’io penso che quella delle news sia una truffa colossale.

Per approfondire:

Ovviamente, i link e il video non potevano che essere qui in fondo

La pagina web di Dobelli
Avoid News: Towards a Healthy News Diet, il saggio del 2010
Slow News: manifesto per un consumo critico dell’informazione, il libro di Peter Laufer
Le tue aree di competenza, la spiegazione tecnica
Can you quit the news and still change the world?, Rolf Dobelli conversa con Rob WijnBerg, The Correspondent
Smetti di leggere notizie, il libro di Dobelli pubblicato da Il Saggiatore
Rolf Dobelli’s ideas about not needing news are dangerous, il commento alla visita di Dobelli al Guardian

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