Una comunità è un gruppo di persone unite da un interesse comune, un social object. Crediamo fortemente che il giornalismo possa mettersi al servizio della comunità umana. E che ogni singolo progetto giornalistico debba servire la propria comunità. Crediamo che le persone che fanno parte di quella comunità debbano essere messe al centro del progetto giornalistico, che non debbano essere infantilizzate, ma che debbano, al contrario, venire incluse nel lavoro come esperte di vari settori, ambiti e tematiche che conoscono.
Per questo, per esempio, ci siamo inventati il concetto di consu-lettrice e di consu-lettore. Per questo cerchiamo di proporre in anteprima alle persone che hanno scelto di sostenere Slow News le cose di cui ci stiamo occupando, i lavori che abbiamo in cantiere, i nostri progetti editoriali. Per questo cerchiamo di avere, se lo desiderano, il loro parere su tutto quel che facciamo.
Crediamo, infatti, che il futuro del giornalismo sia un futuro fatto di relazioni, di partecipazione, di varietà, di membership – termine, questo, che non trova una corretta traduzione in italiano.
Costruiamo relazioni
Un tempo le redazioni dei giornali sedevano sul pulpito dei giusti e ti raccontavano quel che era meglio per te. Oggi c’è chi, in maniera completamente anacronistica, lo fa ancora.
Ma non si può più! Le redazioni devono mettersi al servizio di lettrici e lettori. Devono ascoltare.
Abbiamo realizzato un grosso sondaggio per sapere cosa cercano le persone da un giornalismo diverso. E sulla base di quel sondaggio e delle nostre conversazioni quotidiane con chi segue Slow News stiamo strutturando il nostro lavoro. Questo non significa snaturare il nostro giornalismo ma fare un giornalismo che pensa, prima di tutto al suo pubblico.
Inoltre, il pubblico, per noi, non è un’entità astratta e passiva: è un insieme di persone, tutte diverse, che nutrono un’esigenza comune. Quella di avere un giornalismo che sia davvero utile per la loro vita. Che non le renda più aggressive, più ciniche, più divise.