I temi emersi sono tanti, quasi quanto i singoli interventi; naturalmente, a tenerli insieme tutti, quasi a dettare la linea, c’è il genocidio di Gaza perpetrato dall’esercito israeliano, una delle atrocità più sistemiche e documentate del XXI secolo, da qualche mese ammantata anche del sudario ipocrita del “cessate il fuoco” buono per i titoli delle testate mainstream, ma nei fatti molto lontano dall’essere reale.
Le parole chiave che si ripetono più spesso sono quattro: crisi abitativa, Ddl sicurezza, crisi climatica, economia di guerra. In un universo di temi, tutti sacrosanti e degni di approfondimento, avere dei punti di partenza condivisi facilita il lavoro.
La casa, oggi, sembra non essere più un diritto basilare: in Italia gli affitti sono cresciuti del 50% in dieci anni, quattro volte più che nel decennio precedente. Se si aggiunge che gli stipendi non crescono da trent’anni (secondo alcuni dati sono addirittura in contrazione), il tema dell’abitare non può che essere una pietra miliare in una strategia di ricomposizione.
L’autoritarismo incarnato dal decreto sicurezza (Decreto Legge n. 48/2025) è un altro nodo evidenziato in più di un intervento. Nella nostra società post-industriale lo sciopero generale non blocca più la produzione come un tempo, mentre la pratica dei blocchi incide direttamente sulla circolazione di persone e merci — la vera linfa del capitalismo contemporaneo. Non a caso il decreto sicurezza colpisce duramente i blocchi stradali. Come non considerarlo uno degli ostacoli principali da rimuovere?
La crisi climatica è tornata a essere un tema dibattuto, dopo qualche tempo in una sorta di dimenticatoio, o forse meglio un “parcheggio dell’ovvio”, quando anche le manifestazioni dei Fridays for Future hanno perso slancio. Non c’è però impellenza più ineludibile del contenimento del riscaldamento globale, e la natura stessa della deriva climatica — così interconnessa con ogni attività umana — richiede un approccio multidisciplinare e intrinsecamente intersezionale, perché altrimenti non sarebbe sufficiente.
Il quarto capitolo pluricitato è il riarmo: il tentativo, soprattutto europeo, di rilanciare l’economia attraverso politiche industriali belliciste. Al di là delle velleità italiane, che anche in questo caso, con la legge di bilancio per il 2026, sembrano una partita da dilettanti wannabe, spaventa davvero vedere il riarmo della Germania, questa volta finanziato in maniera massiccia e capace di riaprire questioni storiche e geopolitiche che l’Europa non può ignorare.
Fatta salva l’enumerazione dei temi, non è poi fondamentale gerarchizzare: serve capirne la radice comune, per rompere l’isolamento delle singole battaglie. Così la convergenza — lungi dall’essere uno slogan — si configura come strumento strategico per costruire forza, rete, possibilità reali di contare.